CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 novembre 2017, n. 28079
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Sentenza di appello – Vizio di motivazione
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate, in esito al rinvenimento di una borsa contenente documenti extracontabili, che riportavano annotazioni concernenti cessioni di beni e prestazioni di servizi inerenti all’attività d’impresa svolta da s.a.s. C. E., oggetto di un processo verbale di constatazione del 28 dicembre 2005, rettificò la dichiarazione ai fini dell’iva, dell’irap e delle imposte dirette proposta dalla società e per conseguenza le dichiarazioni Irpef dei due soci, con le relative addizionali, in relazione all’anno d’imposta 2003. Ne scaturirono altrettanti avvisi di accertamento, che furono rispettivamente impugnati da società e soci, senza successo in primo grado.
Di contro, la Commissione tributaria regionale ha parzialmente accolto gli appelli proposti dai contribuenti, facendo leva su un successivo processo verbale di constatazione del 2008, in base al quale ha ritenuto che i calcoli in precedenza svolti dall’Agenzia fossero errati con riguardo al computo di quanto evaso rispetto a quanto dichiarato.
Contro queste sentenze l’Agenzia propone distinti ricorsi per ottenerne la cassazione, che affida rispettivamente a sei (quanto ai primi due ricorsi) ed a tre motivi (quanto agli altri tre), cui società e soci replicano con controricorsi.
Ragioni della decisione
1. – Va disposta la riunione dei ricorsi, perché oggettivamente e soggettivamente connessi.
2. – La riunione dei giudizi esclude la fondatezza del primo motivo del ricorso iscritto al n. 12297/11, corrispondente al secondo motivo del ricorso iscritto ai n. 12309/11 ed al primo degli altri tre ricorsi, con i quali l’Agenzia denuncia la mancata integrazione del contraddittorio, giacché si verte in tema di litisconsorzio necessario.
E ciò in applicazione dell’indirizzo di questa Corte (tra varie, Cass. 16 gennaio 2015, n. 673), di cui ricorrono nel caso in esame i presupposti in base a quel che si evince dai numeri progressivi delle sentenze impugnate, che riportano a loro volta quelli ravvicinati delle sentenze di primo grado, secondo il quale qualora siano stati incardinati simultaneamente diversi giudizi di merito, relativi, rispettivamente, alla rettifica del reddito di una società di persone e alla conseguente automatica imputazione dei redditi stessi a ciascun socio, nonché alla pretesa per irap, che si fondino su identiche difese e siano trattati contemporaneamente, non si dovrà dichiarare la nullità del giudizio reso a contraddittorio non integro. In tal caso, si può disporre la riunione dei giudizi per connessione oggettiva, che comporta la sanatoria del difetto di litisconsorzio necessario originario.
3. – Infondata è l’eccezione d’inammissibilità o d’improcedibilltà dei ricorsi iscritti ai nn. 12297 e 12309/11 per mancata produzione del processo verbale di constatazione del 28 dicembre 2005.
Ciò perché i ricorsi per cassazione non si fondano su tale verbale, bensì su quello successivo del 2008, dall’esame del quale s’intende evincere l’erroneità delle sentenze impugnate.
4. – Inammissibile è poi l’eccezione di giudicato esterno proposta dai contribuenti, che fanno leva sul passaggio in giudicato delle sentenze nn. 68 e 69/10 della Commissione tributaria regionale della Liguria, concernenti, in relazione al medesimo anno d’imposta, la cartella di pagamento scaturita dalla pretesa impositiva di cui si discute.
4.1. – L’eccezione è inammissibile, perché non è corredata della produzione delle sentenze munite di attestazioni di passaggio in giudicato; laddove questa Corte ha già in più occasioni stabilito che affinché il giudicato esterno possa fare stato nel processo è necessaria la certezza della sua formazione, che deve essere provata, pur in assenza di contestazioni, attraverso la produzione della sentenza munita del relativo attestato di cancelleria (Cass. 9 marzo 2017, n. 6024; 19 settembre 2013, n. 21469).
Nel processo tributario, difatti, in mancanza di una previsione specifica sulla certificazione del passaggio in giudicato della sentenza, va applicato per analogia legis, secondo la previsione dell’art. 1, 2° comma, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, l’art. 124 disp. att. c.p.c., sicché è necessario che il segretario della commissione tributaria, provinciale o regionale, certifichi, in calce alla copia della sentenza contenente la relazione della notificazione alla controparte o alla copia della sentenza non notificata, che nei termini di legge non è stata proposta impugnazione (Cass. 21 ottobre 2015, n. 21366).
5. – Infondato è poi il primo motivo del ricorso iscritto al n. 12309/11, col quale l’Agenzia lamenta ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 11 e 18 del d. lgs. n. 546/92, nonché dell’art. 2320 c.c., sostenendo che sia il ricorso di primo grado, sia l’appello dovessero essere dichiarati inammissibili, perché proposti da soggetto non legittimato, ossia dalla socia accomandante.
Il motivo, che contrariamente a quanto dedotto in controricorso, non è inammissibile per tardività, giusta il principio affermato dalle sezioni unite di questa Corte (con sentenza 16 febbraio 2016, n. 2951), secondo cui la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa, è però infondato.
5.1. – In tema di contenzioso tributario, difatti, il socio accomandante, quale contribuente e, dunque, soggetto passivo del rapporto tributario, esposto alla definitività dell’atto impositivo, è legittimato ad impugnare anche l’avviso di accertamento tributario inerente a crediti iva ed irap della società, oltre che quello riguardante il proprio reddito da partecipazione (Cass., ord. 28 luglio 2016, n. 15748; 23 dicembre 2014, n. 27337).
6. – Col secondo e col terzo motivo del ricorso iscritto al n. 12297/11, da esaminare preliminarmente rispetto agli altri perché ad essi logicamente prodromici, l’Agenzia lamenta, ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 del d.lgs. n. 546/92, nonché, ex art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., l’omessa motivazione sul punto, là dove il giudice d’appello non si è avveduto dell’inammissibilità del ricorso di primo grado, che si risolveva nel richiamo per relationem del contenuto del ricorso proposto dalla s.a.s. C. E. avverso l’avviso di accertamento che rettificava redditi, volume di affari e di produzione di questa società.
6.1. – La complessiva censura è infondata, perché non è congruente col contenuto del ricorso introduttivo, integralmente trascritto in ricorso.
Si legge difatti in ricorso che la contribuente aveva lamentato che “nella motivazione dell’accertamento si fa esclusivamente riferimento al fatto che il maggior reddito è conseguenza dell’imputazione al socio nella misura del 50% del maggior reddito accertato nei confronti della C. E. s.a.s. per il periodo d’imposta 2003”.
La relatio risulta quindi, nell’impostazione del ricorso proposto dalla socia, pienamente congruente con la deduzione dei vizi dell’accertamento riguardante la società, in considerazione del nesso di derivazione e dipendenza delle due posizioni; sicché quell’atto introduttivo è da ritenere adeguatamente illustrato.
7. – Infondato è altresì il quarto motivo del ricorso in esame, col quale l’Agenzia si duole, ex art. 360, 1° co., n. 4, c.p.c., della nullità della sentenza impugnata là dove il giudice d’appello, pur trovandosi al cospetto della richiesta della contribuente, proposta in primo grado e reiterata in secondo, di determinare il reddito di partecipazione come conseguenza del reddito che sarebbe stato accertato per la C. E. s.a.s., ha comunque proceduto a determinare il reddito societario.
Il giudice d’appello ha difatti correttamente operato ad accertare il reddito di partecipazione come conseguenza del reddito societario, che ha determinato nell’esercizio del proprio potere- dovere decisorio, non delegabile ad altri.
8. – Col terzo motivo del ricorso iscritto al n. 12309/11, nonché col secondo motivo dei ricorsi iscritti ai nn. 13967, 13964 e 13980/11, da esaminare congiuntamente perché riguardanti la medesima censura, l’Agenzia delle entrate, ex art. 360, 1° co., n. 4 c. p.c., denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 57 del d. lgs. n. 546/92. Secondo l’Ufficio il giudice d’appello, nel sostenere che, in base al processo verbale di constatazione del 2008, i dati risultanti dalla contabilità parallela corrispondevano a quelli della contabilità ufficiale, così accogliendo l’appello proposto dai contribuenti, ha violato il divieto di ius novorum, giacché con i ricorsi introduttivi non si era puntato sulle risultanze del verbale del 2008, bensì sulla genericità del contenuto di quello precedente del 2005, che aveva conformato gli avvisi di accertamento impugnati.
8.1. – La censura è infondata, in base al consolidato orientamento di questa Corte (in espressione del quale si veda, fra varie, Cass. ord. 22 settembre 2017, n. 22105; ord. 3 maggio 2016, n. 11223), secondo cui, nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame stabilito dall’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario, che restano sempre deducibili.
Nel caso in esame le contestazioni svolte in appello riguardano giustappunto i fatti costitutivi della pretesa impositiva, quindi mere difese.
9. – Le considerazioni che precedono determinano l’assorbimento del quarto motivo del ricorso iscritto al n. 12309/11, col quale si ripropone la medesima censura sotto il profilo dell’omessa motivazione.
10. – Con i restanti motivi dei quattro ricorsi (“ossia col quinto e col sesto di quelli iscritti ai nn. 12297 e 12309/11, nonché col terzo dei restanti tre) l’Agenzia delle entrate deduce vizi d’insufficiente e omessa motivazione delle sentenze impugnate.
Lamenta che la conclusione raggiunta dal giudice d’appello, secondo cui “nei dati di incasso riscontrati nei quaderni e dati “in nero” erano compresi anche i ricavi dichiarati in ogni singolo periodo d’imposta” si fonda in realtà non già su dati esposti nel processo verbale di constatazione del 2008, sibbene su una mera ipotesi, nel resto smentita da altre considerazioni riportate nel verbale, trascritte nei ricorsi.
A tanto aggiunge che il verbale del 2008 aveva un contenuto parziale, poiché non esaminava i conti correnti della società, dando atto perdipiù del fatto che la contabilità sociale non consentiva di combinare i dati dichiarati nella contabilità ufficiale e quelli esposti in quella parallela nella documentazione extracontabile.
10.1. – Questi elementi, contrariamente a quanto dedotto in controricorso, sono potenzialmente idonei ad orientare diversamente la decisione.
Ciò perché le considerazioni svolte al riguardo dall’Agenzia evidenziano elementi che, se riscontrati, spoglierebbero il processo verbale di constatazione del 2008 della forza e del peso che ad esso è stato assegnato dal giudice d’appello, sia per il suo carattere parziale, sia per la dedotta formulazione in termini d’ipotesi dell’affermazione che le operazioni commerciali riportate nella contabilità in nero non si sommassero al reale volume di affari dichiarato dalla società.
10.2. – Contrariamente a quanto eccepito in controricorso, difatti, l’Agenzia non propone una diversa ed in quanto tale inammissibile rilettura delle risultanze processuali. Il giudice d’appello, difatti, si è limitato ad affermare, in maniera del tutto insoddisfacente, che “calcoli svolti dall’ufficio sulla base del precedente verbale di constatazione della Guardia di Finanza erano inficiati da errore riguardo al calcolo di quanto evaso al fisco dalla società contribuente rispetto a quanto la stessa aveva dichiarato per quel periodo d’imposta”; e ciò sulla base del mero richiamo, non altrimenti illustrato, a “tutti i controlli eseguiti dalla guardia di finanza”.
11. – In definitiva, vanno accolti il quinto ed il sesto motivo dei ricorsi iscritti ai nn. 12297 e 12309/11, nonché il terzo motivo dei restanti tre ricorsi.
Le sentenze impugnate vanno cassate in relazione ai profili accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Liguria per il riesame della fattispecie e la regolazione delle spese.
P.Q.M.
Dispone la riunione dei ricorsi, accoglie il quinto ed il sesto motivo dei ricorsi iscritti ai nn. 12997 e 12309/11, nonché il terzo motivo di quelli iscritti ai nn. 13967, 13964 e 13980/11, cassa le sentenze impugnate in relazione ai profili accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Liguria in diversa composizione.
Rigetta nel resto i ricorsi.
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