CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 ottobre 2017, n. 25295
Tributi – Imposta di registro, ipotecaria e catastale – Pluralità di atti – Collegamento – Riqualificazione dell’operazione
Rilevato
che la Commissione tributaria regionale del Piemonte, con sentenza n. 40/2/10, depositata in data 18/5/2010, ha accolto l’appello con il quale M.G. aveva censurato la sentenza di primo grado, sostenendo la illegittimità dell’avviso di liquidazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, determinate dall’Agenzia delle Entrate secondo la regola ordinaria dell’imposizione in misura proporzionale, in base alla qualificazione, ai sensi dell’art. 20, D.P.R. n. 131 del 1986, come compravendita immobiliare, dell’operazione posta in essere mediante una pluralità di atti, dall’Ufficio unitariamente considerati, e distinta nel seguente modo: in data 14/12/2004, veniva stipulata tra il G. ed un Istituto bancario un contratto di mutuo fondiario, garantito da ipoteca sul suddetto compendio immobiliare, in forza del quale il mutuatario riceveva la somma di Euro 1.500.000, in data 28/12/2004, veniva costituita tra il G., ed altre tre persone, la società a responsabilità limitata T.B., la quale si accollava il mutuo del G., mentre costui conferiva il predetto compendio immobiliare ipotecato, in tal modo acquisendo la quota societaria di € 1.000, pari alla differenza tra il valore (€ 1.501.000) dell’immobile conferito e l’importo (€ 1.500.000) del mutuo sul medesimo gravante ed, infine, in data 31/12/2004, il conferente cedeva ad uno degli altri soci la quota sociale a lui attribuita, con conseguente uscita dello stesso G. dalla compagine sociale, così che il capitale sociale risultava paritariamente ripartito tra i restanti soci;
che il gravame del contribuente è stato accolto in quanto il Giudice di appello ha ritenuto insussistente un collegamento tra “la stipulazione del mutuo fondiario” ed il “successivo conferimento di immobili nella T.B. s.r.l.”, e rientrante in una legittima “scelta economica” del contribuente “la successiva cessione … della quota societaria di € 1.000, a lui intestata a seguito del conferimento, ad uno dei soci della T.B. s.r.l.”;
che l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione deducendo due motivi, mentre il contribuente non ha svolto attività difensiva;
Considerato
che con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 4, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 111, comma 2, Cost., 101 c.p.c, 14 e 19, d.lgs. n. 546 del 1992, per non avere la CTR considerato, ai fini della integrità del contraddittorio, la circostanza che il G., socio della T.B. s.r.I., aveva impugnato l’avviso di liquidazione emesso sia nei suoi confronti, quale conferente nella società l’immobile gravato dall’ipoteca, sia nei confronti della società medesima, quale conferitaria dell’immobile, e che il relativo giudizio si sarebbe dovuto svolgere necessariamente nel contraddittorio tra il socio e la società con quest’ultima, ed invoca quindi il principio affermato da questa Corte a Sezioni Unite con la sentenza n. 14815/2008;
che il motivo d’impugnazione non è fondato stante l’inapplicabilità del litisconsorzio necessario nelle controversie, come quella per cui è causa, che coinvolgono debitori solidali, in relazione all’imposta di registro, ai sensi dell’art. 57, d.P.R. n. 131 del 1986, e del resto la stessa giurisprudenza invocata dalla ricorrente chiarisce che “la disposizione di cui al d.lgs. 546 del 1992, art. 14, comma 1, si muove in una prospettiva diversa da quella nella quale si collocano le regole relative all’obbligazione solidale, obbligazione la cui (eventuale) sussistenza non realizza un presupposto per l’applicazione della norma in questione” (Cass. n. 24063/2011, S.U. n. 1052/2007);
che, infatti, la solidarietà, più che determinare l’inscindibilità della causa tra più soggetti nel senso inteso dal d.lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1, pone problemi relativi al rapporto tra giudicati, ed eventualmente legittima, ai sensi del citato art. 14, comma 3, un intervento nel processo che, nella specie, non si è verificato; che con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986, per avere la CTR trascurato di considerare che la citata disposizione attribuisce prevalenza, nell’interpretazione degli atti registrati a fini impositivi, alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici degli stessi rispetto al loro titolo ed alla loro forma apparente, e che il meccanismo della pluralità di negozi, in quanto destinato a realizzare gli stessi effetti economici della vendita, faceva conseguire al contribuente un illegittimo risparmio fiscale, evitando il pagamento delle imposte altrimenti dovute in misura notevolmente superiore, come nell’ipotesi avesse utilizzato un unico atto di compravendita, ed evidenzia come il rilevante importo, percepito dal conferente, grazie al mutuo ipotecario, poi oggetto di accollo da parte della società, che avesse ridotto il valore dell’immobile conferito nella società T.B.;
che il motivo d’impugnazione è fondato in quanto la decisione non pare aver colto l’essenziale profilo giuridico della controversia, il quale involge l’assunta natura di compravendita del cespite immobiliare nell’ambito di un’operazione che, necessariamente, dovevasi considerare nel complesso dei suoi elementi costitutivi;
che lo schema operativo adottato dalle parti, nel quale si susseguono la stipula, tra il G. ed un Istituto bancario, di un contratto di mutuo garantito da ipoteca su cespite immobiliare, il conferimento del bene, così gravato, nella costituenda società T.B., con accollo da parte di questa della relativa passività, ed infine la cessione, da parte del conferente, dell’intera partecipazione nella società conferitaria ricevuta in contropartita, propone uno schema sussumibile nell’ipotesi di trasferimento mediato della proprietà di un immobile, alternativa al trasferimento con un unico atto di compravendita, da cui derivano vantaggi fiscali;
che l’impugnata sentenza incentra la propria ratio decidendi sull’assunto – involgente questione giuridica – secondo cui ai fini impositivi sarebbe inibita all’Ufficio l’opera di qualificazione dell’atto in base a elementi extratestuali, assunto da cui consegue l’esclusione della preminenza dei dati effettuali, e di tipo economico, rispetto alla veste giuridica in concreto utilizzata dai contraenti;
che si tratta di tesi giuridicamente errata in quanto, secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, nell’opera di qualificazione del negozio, ai sensi del d.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, l’Agenzia delle Entrate può apprezzare il collegamento tra contratti, come pure tra operazioni societarie, senza essere affatto inibita dalla necessità di svolgere un’esegesi di tipo esclusivamente testuale, quanto alla veste giuridica (formale) assunta da ciascuno degli atti sottoposti a registrazione, per cui l’interprete è tenuto a privilegiare il dato giuridico reale rispetto ai dati meramente formali enunciati – anche frazionatamente – in uno o più atti presentati alla registrazione;
che, pertanto, una pluralità di operazioni societarie e di negozi, strutturalmente e funzionalmente collegati al fine di produrre un unico risultato giuridico finale, costituito dal trasferimento della proprietà di beni a seguito di conferimento, dapprima in una società, e poi con cessione delle relative quote, ben può essere considerata, ai fini dell’imposta di registro, come un fenomeno unitario, in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva e all’evoluzione della prestazione patrimoniale tributaria dal regime della tassa a quello dell’imposta, essendo suscettibili di produrre, ai fini del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, un unico effetto giuridico, quale è appunto quello tipico della compravendita (ex multis, Cass. 10216/2016; n. 8542/2016; n. 3932/2014; n.9541/2013; n. 15319/2013; n. 2713/2002; n. 14900/2001);
che la Corte, inoltre, ha chiarito che la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo, e sulla loro forma apparente, vincola l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma e, quindi, il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche frazionatamente, in uno o più atti, con la conseguenza di dover riferire l’imposizione al risultato di un comportamento nella sostanza unitario, rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali, atomisticamente considerati (Cass. n. 10216/2016; n. 1955/2015; n. 14150/2013; n. 6835/2013);
che a detta interpretazione si è giunti tenendo conto dell’evoluzione normativa che ha caratterizzato la prestazione patrimoniale tributaria di registro, dal regime della tassa, avente come oggetto l’atto inteso nella sua forma documentale, e come contenuto una determinata quantità di denaro da riscuotere in corrispettivo del servizio di registrazione, a quello dell’imposta, avente come oggetto la manifestazione di capacità contributiva correlabile a una ben dimostrata forza economica;
che gli artt. 1 e 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, inserendosi nell’ambito di una simile evoluzione, vanno interpretati nel senso che l’oggetto dell’imposta di registro, per quanto genericamente e formalmente individuata nel riferimento dell’art. 1 agli atti soggetti a registrazione o volontariamente presentati per la registrazione, nella sostanza, è costituito dagli effetti giuridici di tali atti, ma l’imposta si collega all’atto come negozio e non all’atto come documento (Cass. n. 3481/2014).
che neppure vale il riferimento alla diversità dei criteri interpretativi utilizzabili ai fini tributari, rispetto a quelli civilistici, in quanto va pur sempre attribuita preminenza, in applicazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, << alla causa reale dell’operazione economica rispetto alle forme negoziali adoperate dalle parti, sicché, ai fini della individuazione del corretto trattamento fiscale, è possibile valutare, ai sensi dell’art. 1362, secondo comma, c. c., circostanze ed elementi di fatto diversi da quelli emergenti dal tenore letterale delle previsioni contrattuali » (Cass. n. 6405/2014), di guisa che << gli stessi concetti privatistici sull’autonomia negoziale regrediscono a semplici elementi della fattispecie tributaria >> (Cass. n.19752/2013; n. 10660/2003; n. 14900/2001);
che, sul piano processuale, l’accertamento della natura, entità, modalità e conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (v. per tutte Cass. n. 11974/2010), mentre proprio la formulazione dell’art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986, consente di ribadire che l’intento elusivo non è essenziale ai fini qui esaminati, e che la lettura della disposizione data dal Giudice di appello mal si concilia con il principio costituzionale della capacità contributiva, ed ignora la evoluzione della prestazione patrimoniale tributaria in esame dal regime della tassa a quello dell’ imposta;
che la sentenza impugnata va cassata, e dovendosi procedere al discernimento di una tipica quaestio facti, si impone il rinvio alla CTR competente, in diversa composizione, la quale rivaluterà la fattispecie, alla luce dei principi di diritto sopra riportati e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in altra composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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