CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 novembre 2017, n. 28313
Processo tributario – Cartella di pagamento impugnata solo per vizi suoi propri – Non quelli che attengono l’accertamento fiscale
Rilevato che
Con sentenza in data 22 febbraio 2016 la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 11973/10/14 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva accolto il ricorso di P. S. contro gli avvisi di accertamento e le cartelle di pagamento IRAP, IRPEF, IVA 2006/2008. La CTR osservava in particolare che, pur essendo errata la sentenza appellata sulla pregiudiziale eccezione del contribuente di nullità assoluta della notifica degli atti impositivi presupposti delle cartelle esattoriali impugnate, tuttavia le pretese fiscali portate da quest’ultime dovevano considerarsi infondate nel merito.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione L’Agenzia delle entrate deducendo un motivo unico.
L’intimato non si è difeso.
Considerato che
Con l’unico mezzo dedotto – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- l’agenzia fiscale ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione degli artt. 14, comma 1, lett. b), 25, comma 1, d.P.R. 602/1973, poiché la Commissione tributaria regionale, nonostante la statuizione di ritualità della notificazione degli atti impositivi presupposti delle cartelle esattoriali impugnate, ha poi valutato e deciso il merito delle pretese erariali oggetto della lite di riscossione.
La censura è fondata.
Va ribadito che «Nel processo tributario, la cartella di pagamento può essere impugnata solo per vizi suoi propri e non quelli che attengono l’accertamento fiscale, salvo che il contribuente non sia venuto a conoscenza della pretesa impositiva solo con la notificazione della cartella predetta» (Sez. 6-5, Ordinanza n. 4818 del 11/03/2015, Rv. 634696 – 01).
La sentenza impugnata è evidentemente contrastante con il principio di diritto di cui a tale arresto giurisprudenziale, posto che, del tutto contraddittoriamente ed illegittimamente, dopo aver espressamente affermato la validità delle notifiche degli avvisi di accertamento presupposti delle iscrizioni a ruolo basanti le cartelle di pagamento impugnate, inopinatamente ha comunque poi affrontato il merito delle pretese fiscali, rigettandole, essendole peraltro tale giudizio sicuramente precluso in virtù della prima affermazione in diritto.
Del tutto incomprensibile risulta la considerazione spesa al riguardo dal giudice tributario di appello («Infine, è appena il caso di osservare che non costituisce specifico motivo di gravame la possibile definitività degli avvisi di accertamento, per omessa tempestiva impugnazione degli stessi, attesa la regolarità della contestata notifica»), dato che la situazione processuale si prospetta esattamente al contrario, essendo la questione della definitività degli atti impositivi prodromici il nucleo del gravame agenziale.
Il ricorso va dunque accolto in relazione al motivo dedotto, la sentenza impugnata va cassata e, decidendosi nel merito non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, il ricorso originario del contribuente va respinto.
Stante l’esito alterno del giudizio nelle fasi di merito, le spese correlative possono esserne compensate.
Le spese del giudizio di legittimità seguono invece la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso originario del contribuente; compensa le spese dei gradi di merito; condanna l’intimato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600 oltre spese prenotate a debito.
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