CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 novembre 2017, n. 28314
Tributi – Accertamento – Difetto di contraddittorio endoprocedimentale – Nullità dell’atto di accertamento – Solo relativamente all’IVA
Rilevato che
Con sentenza in data 22 febbraio 2016 la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva parzialmente l’appello proposto dalla L.G. srl in liquidazione avverso la sentenza n. 2800/37/15 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRAP, IRES, IVA 2008. La CTR osservava in particolare che l’eccezione di difetto di contraddittorio endoprocedimentale era fondata soltanto con riguardo all’IVA, trattandosi di imposta “armonizzata”, ma non con riguardo alle II.DD. in quanto imposte “non armonizzate”; che nel merito il gravame doveva considerarsi infondato sia con riguardo alla presunzione ex art. 32, d.P.R. 600/1973 basante le riprese fiscali sia con riguardo alla mancata considerazione dei “costi neri” (forniture e pagamento dei canoni di locazione).
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo due motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che
Con il primo motivo – ex art. 360, primo comma, nn. 3-5, cod. proc. civ. – la ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, legge 212/2000 e vizio motivazionale, poiché la CTR ha affermato l’insussistenza dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale con riguardo alle imposte dirette in quanto “non armonizzate”.
La censura è infondata.
Va infatti ribadito che “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito” (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637604 – 01).
La sentenza impugnata ha fatto piena e corretta applicazione del principio di diritto di cui al citato arresto giurisprudenziale, negando l’illegittimità dell’atto impositivo impugnato con riguardo alle imposte dirette ed annullandolo invece rispetto all’IVA, essendo pacifico in fatto il mancato rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sotto il profilo specifico dell’emissione dell’atto impositivo stesso prima dello scadere del termine di cui al comma 7 della disposizione statutaria evocata.
Con il secondo motivo – ex art. 360, primo comma, nn. 3-5, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole sia della violazione/falsa applicazione dell’art. 32, comma 7, d.P.R. 600/1973 e di vizio motivazionale in ordine alla valorizzazione ai fini accertativi delle rivenienze dei conti personali dell’amministratore e di una sua congiunta (zia) sia di vizio motivazionale in ordine alla mancata considerazione in deduzione dall’accertato di “costi neri”.
La censura è infondata.
Quanto al primo profilo, va anzitutto ribadito che “In tema di imposte sui redditi, lo stretto rapporto familiare e la composizione ristretta del gruppo sociale è sufficiente a giustificare, salva la prova contraria, la riferibilità delle operazioni riscontrate sui conti correnti bancari di tali soggetti all’attività economica della società sottoposta a verifica, sicché in assenza di prova di attività economiche svolte dagli intestatari dei conti, idonee a giustificare i versamenti e i prelievi riscontrati, ed in presenza di un contestuale rapporto di collaborazione con la società, deve ritenersi soddisfatta la prova presuntiva a sostegno della pretesa fiscale, con spostamento dell’onere della prova contraria sul contribuente. (Nella specie, la S.C. ha enunciato il principio con riferimento a conti bancari intestati ad amministratori, legati da evidenti rapporti di parentela, e nessuno degli intestatari svolgeva attività economica idonea a giustificare simili importi reddiduali)” (Sez. 5, Sentenza n. 428 del 14/01/2015, Rv. 634234 – 01).
La CTR campana ha fatto piena e corretta applicazione anche del principio di diritto di cui a tale arresto giurisprudenziale, involgendo peraltro la censura questioni di merito che sono denegate alla competenza di questa Corte, secondo i consolidati principi di diritto che “Con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Sez. 6-5, Ordinanza n. 9097 del 2017) e che “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura e possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex muitis Sez. 5, n. 26110 del 2015).
I principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali importano altresì l’inammissibilità del secondo profilo di censura, che per altro verso, così come il primo, è inammissibile anche perché trattandosi di una “doppia conforme” sui punti meritali de quibus la critica ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. non può essere proposta, stante la previsione di cui all’art. 348 ter, quarto e quinto comma, cod. proc. civ., non avendo comunque la ricorrente assolto all’onere di dimostrare che 1 fatti oggetto dei due giudizi meritali sono diversi (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016, Rv. 643244 – 03).
II ricorso va dunque rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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