CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 settembre 2017, n. 22619
Risarcimento danno biologico – Malattia professionale – Criteri medico-legali validi per la previgente disciplina – Non sussiste
Rilevato
che con sentenza del 5.3 – 12.4.2012 la Corte d’appello di Napoli, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta da S.M. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede che gli aveva rigettato la domanda di accertamento del diritto al risarcimento del danno biologico derivante da malattia professionale (ipoacusia percettiva bilaterale), ha dichiarato il diritto dell’appellante all’indennizzo in rendita ex art. 13 del D.lgs n. 38/2000 nella misura del 17% dalla data di proposizione della domanda amministrativa, condannando l’Inail al pagamento delle relative somme dovute a tale titolo ed agli accessori di legge;
che la Corte territoriale è addivenuta a tale decisione all’esito della nuova consulenza medico-legale disposta d’ufficio in secondo grado;
che per la cassazione della sentenza ricorre l’Inail con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.;
che resiste con controricorso S.M.;
Considerato
1. che col primo motivo, formulato per violazione e falsa applicazione dell’art. 13 n. 2 del D.lgs n. 38 del 23.2.2000 e del decreto Ministeriale di approvazione delle tabelle delle menomazioni del 25.7.2000, l’Inail lamenta che la Corte d’appello di Napoli ha valutato i postumi della tecnopatia sulla base dei criteri medico-legali validi per la previgente disciplina, considerando la capacità lavorativa generica anziché i dati della tabella delle menomazioni, in vigore dal 25.7.2000, nonostante che la domanda di riconoscimento della malattia professionale fosse stata proposta il 21 maggio 2003 in conseguenza della diagnosi medica del 26.10.2002;
2. che col secondo motivo, dedotto per vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., l’Inail si duole del fatto che la Corte territoriale ha acriticamente recepito le erronee conclusioni del C.T.U. il quale, dopo aver premesso che l’ipoacusia bilaterale era da considerare malattia professionale e che il danno biologico poteva essere valutato in percentuale nella misura del 4%, passava inspiegabilmente ad asserire che questo fattore riduceva la capacità lavorativa generica nella misura del 17%;
che entrambi i motivi sono infondati;
che, invero, nel corpo dei motivi della decisione, esattamente all’inizio di pagina 4 dell’impugnata sentenza, la Corte partenopea esordisce affermando che, avendosi riguardo ad una malattia professionale denunziata in data 21 maggio 2003, la disciplina applicabile è quella dettata dall’art. 13 del D.lvo n. 38/2000, per cui risulta smentita la tesi difensiva dell’Inail, di cui al primo motivo del presente ricorso, secondo cui i postumi della tecnopatia sarebbero stati valutati sulla base dei criteri medico-legali validi per la previgente disciplina;
che, contrariamente a quanto supposto dal ricorrente, la stessa Corte ha poi tenuto conto della tabella delle menomazioni, posto che ha espressamente affermato (pag. 4 della sentenza impugnata) che l’appellante aveva diritto all’indennizzo – per la menomazione dell’integrità psicofisica valutata “in base a specifica tabella delle menomazioni comprensiva degli aspetti dinamico – relazionali” – erogato in capitale, per le menomazioni di grado pari o superiore al 6% ed inferiore al 16%, ed in rendita, costituita anche da una quota, commisurata al grado della menomazione, alla retribuzione dell’assicurato e al coefficiente di cui all’apposita tabella, per quelle superiori; che, inoltre, la Corte di merito ha aggiunto (pag. 5 dell’impugnata sentenza) – per quel che attiene alla quantificazione della menomazione – che il c.t.u. di seconde cure ha correttamente utilizzato la tabella elaborata dal M. ed ha quantificato, in base ai criteri ivi previsti, nel 17% il danno sofferto dallo S.;
che, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa dell’istituto assicuratore, la Corte d’appello, con argomentazione adeguata ed immune da vizi di ordine logico-giuridico, ha chiarito (pag. 5 dell’impugnata sentenza) che le conclusioni medico-legali non apparivano contraddittorie in quanto il riferimento ad una menomazione in misura pari al 4% rappresentava soltanto l’esplicito richiamo a quanto argomentato dal consulente nominato nel giudizio di primo grado; che, in definitiva, le censure si traducono in una prospettazione erronea ed inesatta del contenuto delle affermazioni della Corte d’appello di Napoli, sia in ordine alla disciplina normativa concretamente applicata – rispondente a quella “ratione temporis” vigente – sia in ordine all’apprezzamento delle risultanze peritali, eseguito in modo adeguato e privo delle supposte contraddizioni;
che, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dell’istituto ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo in favore degli avvocati C. e G., dichiaratisi antistatari;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di € 2200,00, di cui € 2000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con attribuzione agli avvocati C. e G..
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