CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 agosto 2017, n. 20474
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Presunzione di capacità contributiva “legale” – Contenzioso tributario
Rilevato che
Con sentenza in data 18 novembre 2015 la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, respingeva l’appello proposto da A.S. avverso la sentenza n. 474/6/13 della Commissione tributaria provinciale di Salerno che ne aveva parzialmente accolto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRPEF ed altro 2008. La CTR osservava in particolare che la sentenza appellata risultava adeguatamente motivata e pienamente corretta nel merito, sia in fatto che in diritto, richiamando plurimi precedenti di legittimità a sostegno di tali considerazioni.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la contribuente deducendo due motivi.
L’ Agenzia delle entrate si è costituita tardivamente al solo fine di partecipare al contradditorio orale.
Considerato che
In via preliminare va chiarito che il ricorso contiene un errore materiale evidente quanto all’indicazione del suo oggetto, posto che nella sua parte iniziale ed in quella finale indica quale sentenza impugnata la n. 11659/15 della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, mentre dal testo del ricorso medesimo risulta palese che la sentenza impugnata è la n. 11660/9/2015. Ciò in particolare emerge non solo dall’indicazione di tale pronuncia alla pagina 3 del ricorso, ma anche dallo sviluppo argomentativo del ricorso medesimo, dal quale si deduce agevolmente che proprio questa è la decisione oggetto dell’impugnazione. I riferimenti fattuali del ricorso coincidono infatti con quelli di tale seconda sentenza della CTR campana e peraltro è proprio questa che è stata allegata, così come il relativo avviso di accertamento (TF9011602356/2012 e non come pure erroneamente scritto nell’incipit del ricorso TF9011602355) nonché la relativa sentenza di primo grado (n. 474/6/13, questa invece correttamente indicata nel ricorso). Non può pertanto esservi dubbio alcuno circa il fatto processuale che oggetto dell’impugnazione in esame è la sentenza che si è indicata in epigrafe.
Ciò posto, con il primo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – la ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione dell’art. 38, sesto comma, d.P.R. 600/1973 e dell’art. 2697, cod. civ., poiché la CTR ha ritenuto non assolto il suo onere contro probatorio delle presunzioni basanti l’atto impositivo impugnato.
La censura è infondata.
Va infatti ribadito che:
– «In tema di accertamento dei redditi con metodo sintetico ex art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, la disponibilità di un alloggio e di un autoveicolo integra, ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. citato, nella versione “ratione temporis” vigente, una presunzione di capacità contributiva “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., imponendo la stessa legge di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità l’esistenza di una “capacità contributiva”, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni» (Sez. 6-5, Ordinanza n. 17487 del 01/09/2016, Rv. 640989 – 01);
– «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dall’art. 38, sesto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella versione vigente “ratione temporis”, non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta» (Sez. 5, Sentenza n. 25104 del 26/11/2014, Rv. 633514 – 01; successive conformi, v. Sez. 6-5, 1332-916/2016, 22944-14885/2015);
– «Con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Sez. 6-5, Ordinanza n. 7921 del 2011).
– «In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015). La sentenza impugnata è senza dubbio conforme ai principi di diritto espressi nei primi due arresti giurisprudenziali, che correttamente ha applicato con giudizio di merito che non può essere ulteriormente sindacato da questa Corte in aderenza ai principi di diritto espressi nel terzo e nel quarto arresto giurisprudenziale.
In particolare va osservato che il giudice tributario di appello, così come il primo giudice, ha specificamente valutato la questione dello scomputo del reddito da lavoro dipendente da quello complessivo lordo sinteticamente accertato nonché le ulteriori allegazioni difensive della contribuente (prestiti endofamiliari, disinvestimenti), accertando l’insussistenza/inadeguatezza della prova correlativa.
Con il secondo mezzo – ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. – la ricorrente denuncia vizio motivazionale per omesso esame di fatti decisivi controversi.
La censura è inammissibile.
Trattandosi pacificamente di una “doppia conforme”, la sentenza di appello non può essere attinta dalla critica di cui all’evocata disposizione codicistica, in virtù della previsione preclusiva di cui all’art. 348 ter, quinto e quarto comma, cod. proc. civ.
Va peraltro ribadito che «Nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse» (Sez. 1 – , Sentenza n. 26774 del 22/12/2016, Rv. 643244 – 03).
Onere questo pacificamente non assolto dalla ricorrente.
Il ricorso va dunque rigettato.
Nulla per le spese stante la mancata difesa dell’agenzia fiscale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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