CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 dicembre 2017, n. 31071
Tributi – Cessioni impianti di trasmissione radiotelevisiva – Corretta qualificazione del contratto – Cessione di ramo d’azienda o alienazione di beni aziendali – Rilevanza ai fini impositivi
Ritenuto
che la controversia, promossa da R.T.I. s.p.a., nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, concernente la impugnazione dell’avviso di liquidazione n. 76537/08 dell’imposta suppletiva di registro, e sanzioni, relativamente ad un contratto con il quale la T. s.r.l. aveva ceduto quattro impianti di trasmissioni radiotelevisive, di cui era titolare, subordinando l’efficacia del contratto a condizione sospensiva, essendo stata versata, alla registrazione dell’atto, l’imposta in misura fissa (Euro 168,00), non avendo nessuna delle parti denunciato l’avveramento della condizione sospensiva, ed avendo l’Ufficio provveduto a riqualificare il contratto de quo come cessione di ramo d’azienda, anziché come alienazione di beni aziendali, operazione quest’ultima soggetta ad Iva che, per il principio di alternatività Iva/registro sconta l’imposta di registro in misura fissa;
che l’adita Commissione tributaria provinciale di Milano accolse il ricorso della contribuente, sulla base della rilevata impossibilità di qualificare come cessione di ramo d’azienda l’alienazione di un impianto di trasmissioni televisive non in grado di funzionare da solo, e ritenne l’atto soggetto ad Iva, e la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 41/45/11, depositata il 14/3/2011, ha respinto il gravame proposto dall’Agenzia delle Entrate, accogliendo l’eccezione, riproposta con l’appello incidentale, ritenuta assorbente di ogni altra questione proposta dalle parti, concernente l’intervenuta decadenza del potere di accertamento dell’Ufficio, per essere stato notificato l’impugnato avviso di liquidazione in data 6/10/2008, oltre il termine di tre anni dal 27/1/2005, data di registrazione dell’atto in questione, come stabilito dall’art. 76, comma 2, lett. c), D.P.R. n. 131 del 1986;
che l’Agenzia delle Entrate ricorre per ottenere la cassazione della sentenza con tre motivi, cui resiste con controricorso la intimata contribuente;
Considerato
che la ricorrente denuncia, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, 27, commi 1 e 2, 76, comma 1, ultimo periodo, e comma 2, lett. c), D.P.R. n. 131 del 1986, giacché il Giudice di appello non ha considerato che il contratto de quo è stato sottoposto, com’è incontestato, a condizione sospensiva, che la denuncia di avveramento non è stata presentata da alcuna delle parti, nella convinzione che si trattasse di operazione soggetta ad Iva, e che il verificarsi dell’evento dedotto in condizione non desse luogo ad alcuna ulteriore liquidazione d’imposta, e che il termine di decadenza da applicarsi è quello di cinque anni, decorrenti dal giorno in cui la denuncia di avveramento della condizione sospensiva apposta al contratto avrebbe dovuto essere presentata, in quanto fintanto che la condizione non si verifica, l’imposta di registro non è dovuta “secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici” dell’atto presentato alla registrazione, come stabilito dall’art. 20, D.P.R. n. 131 del 1986, ma in misura fissa, prescindendo da qualsivoglia indagine dell’Ufficio circa la qualificazione giuridica dell’operazione ed il regime impositivo applicabile, indagine da effettuarsi soltanto se la condizione si verifica, e nel momento in cui si verifica, per cui il termine di decadenza del potere di rettifica e/o liquidazione dell’imposta non può decorrere prima di tale momento, come stabilito dall’art. 76, comma 1, ultimo periodo, D.P.R. n. 131 del 1986;
che, con il secondo motivo, denuncia, in via gradata, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, 27, commi 1 e 2, 76, comma 1, ultimo periodo, e comma 2, lett. c), D.P.R. n. 131 del 1986, giacché il Giudice di appello non ha considerato che la fattispecie riguarda la qualificazione giuridica di un contratto di alienazione di un impianto di trasmissioni radiotelevisive, al quale era stata tra l’altro apposta una condizione sospensiva, come cessione di ramo di azienda, che l’apposizione della condizione sospensiva di per sé stessa comporta la registrazione dell’atto con pagamento dell’imposta in misura fissa, come stabilito dagli artt. 27, commi 1 e 2, D.P.R. n. 131 del 1986, e 11, ultimo periodo della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. citato, che individua tale misura in euro 168,00, nonché la riscossione della differenza tra imposta dovuta secondo le norme vigenti al momento della formazione dell’atto e quella pagata in sede di registrazione, che la qualificazione del contratto come cessione di ramo d’azienda ne comporta l’assoggettamento all’imposta proporzionale di registro (3%), ai sensi dell’art. 9 della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, e che in tal caso l’avveramento della condizione sospensiva dà luogo ad ulteriore liquidazione d’imposta e, stante anche l’obbligo di denunciare detto avveramento, essendo quella scontata in sede di registrazione inferiore di quella definitivamente dovuta, all’applicazione del sopra individuato regime decadenziale quinquennale;
che, con il terzo motivo, denuncia, in via ulteriormente gradata, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione agli artt. 61 e 36, comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, e deduce la nullità della sentenza impugnata difettando di motivazione in punto di rilevanza della mancata denuncia dell’avveramento della condizione sospensiva apposta al contratto presentato per la registrazione, e non risultando ricostruibile l’iter logico seguito per pervenire alla applicazione del regime decadenziale triennale, questione intimamente collegata alla ricorrenza, o meno, nella fattispecie dell’obbligo di denuncia medesimo;
che, preliminarmente, va esaminata la questione afferente la sopravvenienza, in corso di causa, del comma 7 bis dell’art. 27, D.Lgs. n. 177 del 2005 (come introdotto dall’articolo 40, comma 9 bis, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla L. n. 214 del 2001, in vigore dal 28 dicembre 2011) secondo cui: “La cessione anche di un singolo impianto radiotelevisivo, quando non ha per oggetto unicamente le attrezzature, si considera cessione di ramo d’azienda. Gli atti relativi ai trasferimenti di impianti e di rami d’azienda ai sensi del presente articolo, posti in essere dagli operatori del settore prima della data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente comma, sono in ogni caso validi e non rettificabili ai fini tributari”;
che la disposizione ha stabilito, per le future cessioni d’impianto, un rigido criterio di qualificazione, ma nel contempo ha inteso assicurare l’intangibilità fiscale delle cessioni pregresse (come la presente), onde garantire certezza di programmazione ed operatività agli operatori di un settore economico reputato di particolare rilevanza e delicatezza;
che in tal senso si è espressa questa Corte, con le recenti sentenze n. 17515/2007 e n. 18498/2017 – cui va data continuità – nella quali evidenzia come la stessa Amministrazione finanziaria, con la Risoluzione n.33/E del 10 aprile 2012, abbia chiarito, proprio al fine di stabilire il più appropriato regime di tassazione, nell’alternatività tra Iva ed imposta di registro,
che: “- (…) con l’intervento normativo in esame, il legislatore ha inteso superare le incertezze interpretative emerse in relazione alla qualificazione delle cessioni di impianti radiotelevisivi, trattate, in alcuni casi, come cessioni di beni e, in altri, come trasferimenti di ramo d’azienda; – trattandosi di qualificare l’atto secondo l’effettivo oggetto del trasferimento, così come disposto dalla norma sopravvenuta, si deve ritenere “che la cessione delle attrezzature unitamente ad altre risorse (quali frequenze, marchi, brevetti) configuri una cessione di azienda o di ramo d’azienda, come tale esclusa dal campo di applicazione dell’IVA, mentre il trasferimento delle sole “attrezzature” configuri una cessione di beni, rilevante ai fini dell’imposta sul valore aggiunto”; – sono comunque fatti salvi “i comportamenti pregressi adottati dagli operatori del settore, riconoscendosi in ogni caso la validità della qualificazione giuridico – tributaria attribuita agli atti relativi alla cessione di impianti radiotelevisivi come definiti dalla disposizione in esame, posti in essere prima dell’entrata in vigore della disposizione stessa”;
che, pertanto, se la qualificazione giuridica data dalle parti contraenti è divenuta ex lege fiscalmente insuscettibile di rettifiche postume da parte dell’Amministrazione finanziaria, non resta che prendere atto del venir meno di un concreto interesse dell’odierna ricorrente, a vedere accertato se il termine di decadenza triennale di cui all’art. 76, comma 2, lett. c), D.P.R. n. 131 del 1986, fosse o meno interamente trascorso al momento della notificazione dell’atto impositivo, avuto riguardo al tenore dell’art. 76, comma 2, secondo cui ” … l’imposta deve essere richiesta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni decorrenti, per gli atti presentati per la registrazione o registrati per via telematica: a) dalla richiesta di registrazione, se si tratta di imposta principale; b) dalla data in cui è stata presentata la denuncia di cui all’articolo 19, se si tratta di imposta complementare; dalla data della notificazione della decisione delle commissioni tributarie ovvero dalla data in cui la stessa è divenuta definitiva nel caso in cui sia stato proposto ricorso avverso l’avviso di rettifica e di liquidazione della maggiore imposta. Nel caso di occultazione di corrispettivo di cui all’articolo 72, il termine decorre dalla data di registrazione dell’atto; c) dalla data di registrazione dell’atto ovvero dalla data di presentazione della denuncia di cui all’articolo 19, se si tratta di imposta suppletiva.”; che, infatti, dall’accoglimento della soluzione propugnata dall’Ufficio non deriverebbe alcun concreto vantaggio in merito alla pretesa impositiva fatta valere nei confronti della società R.T.I. dovendosi in ogni caso tenere conto di quanto le parti hanno dichiarato nell’atto presentato per la registrazione e, nello specifico, che trattasi di compravendita di singoli beni aziendali, cosa che rende superfluo anche l’esame delle ulteriori questioni poste dalla ricorrente;
che la definizione della controversia jure superveniente giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso, e compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.
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