CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 febbraio 2018, n. 4606
Tributi – ICI – Opificio industriale – Immobile dotato della rendita catastale – Determinazione del valore imponibile con criterio “contabile” – Dichiarazione infedele e recupero maggiore imposta
Rilevato
che il Comune di Milano propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza n. 123/43/11, depositata il 9/11/2011, della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che ha respinto i riuniti appelli dell’ente locale avverso le decisioni della Commissione Tributaria Provinciale di Milano di accoglimento dei ricorsi di S. s.p.a., la quale aveva impugnato gli avvisi di accertamento emessi per il recupero della maggiore imposta comunale sugli immobili (ICI), interessi e relative sanzioni, per gli anni dal 2003 al 2006, a seguito di accertata infedeltà nella dichiarazione, sostenendo la correttezza della stessa e dei versamenti effettuati calcolando la base imponibile in ragione del valore contabile di bilancio dell’immobile sito in Milano, Via P.C., moltiplicato per il coefficiente annuale di rivalutazione, come previsto dall’art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 504 del 1992, risultando dall’atto di acquisto che per il bene, classificato catastalmente come opificio industriale (categoria D/1), era stata presentata nel 1992 richiesta di variazione di destinazione (categoria D/8) sulla quale l’Agenzia del Territorio aveva poi provveduto con grande ritardo;
che l’immobile, secondo il Giudice di appello, era stato dichiarato ai fini ICI come avente destinazione commerciale, in ragione dell’effettiva utilizzazione del bene, per cui correttamente il valore imponibile era stato determinato con il cosiddetto criterio contabile (valore di libro), ai sensi dell’art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 504 del 1992, e non sulla base della rendita catastale in atti, avendo l’Agenzia del Territorio attribuito solo in data 3/6/2008 il richiesto accatastamento in categoria D/8;
che la intimata società contribuente non ha svolto attività difensiva;
Considerato
che, con un motivo d’impugnazione unico ma che presenta diversi profili di censura, il Comune di Milano deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, violazione o falsa applicazione degli artt. 5, commi 2 e 3, D.Lgs. n. 504 del 1992, 115 c.p.c., 74, L. n. 342 del 2000, errata motivazione su un punto decisivo per il giudizio, giacché il Giudice di appello non ha considerato che alla contribuente è stata contestata non l’omessa, ma l’infedele dichiarazione ai fini ICI dell’immobile, che, nella specie, va applicata retroattivamente la rendita rettificata, attribuita il 3/6/2008 dall’Agenzia del Territorio, e cioè anche per le annualità d’imposta oggetto di causa, e che l’immobile, iscritto in catasto nella categoria D, era dotato della rendita catastale di Euro 15.120,41, per cui non ricorrevano le condizioni di cui all’art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 504 del 1992, il quale riguarda i fabbricati “non iscritti in catasto”, ovvero sia quelli non ancora iscritti in catasto, sia quelli che, pur censiti, non sono ancora dotati di rendita;
che il ricorso è fondato e merita accoglimento per le ragioni di seguito precisate;
che, per quanto si legge nella sentenza della CTR, l’immobile “in sede di acquisto, era classificato catastalmente come opificio industriale (categoria D/1)”, ed ancora che “nel rogito di acquisto erano stati inseriti gli estremi della documentata richiesta di variazione di destinazione (da cat. D/1 a cat. D/8), variazione che nel 1992 l’Agenzia del Territorio non aveva nel frattempo eseguita”, essendo stata attribuita “la rendita corrispondente alla reale destinazione dell’immobile (…) solo in data 3/6/2008”;
che, per quanto riferito dall’odierno ricorrente, “l’immobile di Via P.C. foglio 276 mappale 32, di categoria catastale D, era iscritto in catasto ed allo stesso era stata attribuita la rendita catastale di € 15.120,41 (dati derivati da variazione nel reddito in atti dal 18/2/1992 D.M. del 20 gennaio 1990)”, come da certificato storico catastale in atti;
che, ciò premesso, il Giudice di appello ha condiviso la tesi della contribuente secondo cui, fino all’anno anteriore a quello nel quale l’Agenzia del Territorio ha attribuito all’immobile la rendita relativa alla nuova destinazione, l’imposta ICI doveva essere commisurata al valore contabile di bilancio rivalutato, come va fatto per tutti gli immobili non ancora iscritti in catasto, o che pur censiti non sono ancora dotati di rendita;
che le Sezioni Unite della Corte, con la sentenza n. 3160/2011, hanno affermato il principio per cui “il metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili, previsto dall’art. 5, comma 3, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, vale sino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata, mentre, dal momento in cui fa la richiesta, il proprietario, pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile, diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dall’adesione al sistema generale della rendita catastale, sicché può essere tenuto a pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tali sensi), o avere diritto di pagare una somma minore, potendo, quindi, chiedere il relativo rimborso nei termini di legge.”;
che con la sopra richiamata sentenza si è precisato che “l’art. 74, comma 1, della legge 21 novembre 2000, n. 342, nel prevedere che, a decorrere dal 10 gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, va interpretato nel senso dell’impossibilità giuridica di utilizzare una rendita prima della sua notifica al fine di individuare la base imponibile dell’ICI, ma non esclude affatto l’utilizzabilità della rendita medesima, una volta notificata, a fini impositivi anche per annualità d’imposta “sospese”, ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso.”;
che, pertanto, l’attribuzione ex novo di rendita ad un immobile che ne fosse privo ha valore costitutivo, ossia non può costituire la base di calcolo dell’ICI per periodi d’imposta precedenti (Cass. nn. 27062 e 27065/2008, n. 16701/2007, n. 24235/2004), e lo stesso vale nella ipotesi di unità immobiliare classificabile nel gruppo D), interamente posseduta da un’impresa, già accatastata ma priva di rendita (Cass. n. 27062/2008);
che, invece, quando si versa nell’ipotesi d’immobile già censito con attribuzione di rendita, “variata” per effetto di modifiche materiali debitamente denunciate, l’efficacia della rendita modificata è di carattere ricognitivo-dichiarativo, e quindi va riferita all’epoca della variazione materiale che l’ha determinata, dovendosi commisurare l’imposta alla rendita catastale attribuita “tempo per tempo”, sia pure ex post, dal competente ufficio erariale (Cass. 5933/2010, n. 19604/2009, 12029/2009, n. 25390, n. 23627/2008, n. 9203/2007, n. 20775/2005, n. 12156/2005, n. 5109/2005), non potendosi ricollegare alcuna conseguenza al lasso temporale in concreto trascorso per il riconoscimento dell’effettiva entità della rendita;
che, quindi, la pretesa della società S. di calcolare l’ICI, relativamente agli anni d’imposta dal 2003 al 2006, applicando il criterio di cui all’art. 5, comma 3, del D.Lgs. n. 504 del 1992, non ha fondamento, trattandosi di periodi d’imposta successivi alla presentazione, da parte della contribuente, della richiesta di attribuzione della “rendita catastale di categoria D/8 prevista per lo svolgimento della sua attività commerciale (quando viceversa l’immobile era allora classificato come industriale cat. D/1)”, essendo inapplicabile il criterio contabile di cui all’art. 5, comma 3, D.Lgs. citato, riservato ai fabbricati non iscritti in catasto, restando, per quanto sopra detto, influente la circostanza che la relativa richiesta “era stata accolta solo nel giugno 2008”;
che, diversamente opinando, s’incorrerebbe, come già evidenziato da questa Corte, “in una palese violazione di principi costituzionali, come quelli di uguaglianza e di capacità contributiva (artt. 3 e 53 Cost.), in quanto s’imporrebbe ad alcuni contribuenti – a differenza di altri, più fortunati, le cui rendite immobiliari fossero state aggiornate tempestivamente – di pagare un tributo eccessivo rispetto alla effettiva, e postumamente riconosciuta, entità della rendita” (Cass. n. 11435/2010 citata); che, in conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio alla medesima CTR la quale, in diversa composizione, procederà a nuovo esame della controversia, facendo applicazione dei principi in precedenza esposti, nonché alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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