CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 luglio 2017, n. 18918
Pensione di inabilità – Riconoscimento – Domanda – Pagamento da arte dell’Inps
Rilevato
Che, con sentenza del 12.2.2015, la Corte di appello di Lecce, sez. distaccata di Taranto, rigettava il gravame proposto da I.A., confermando la pronunzia di primo grado che aveva respinto la domanda della predetta intesa ad ottenere il riconoscimento della pensione di inabilità, ed in subordine dell’assegno ordinario di invalidità, ai sensi della l. 222/84, con condanna dell’INPS al pagamento dei corrispondenti ratei;
che di tale pronuncia domanda la cassazione l’insogna, affidando l’impugnazione a due motivi, cui oppone difese, con controricorso, l’INPS;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
Considerato
1. che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata;
2. che si denunziano la violazione e falsa applicazione dell’art. 111, 6° comma, Cost., nonché l’omesso esame circa un fatto oggetto di discussione decisivo per il giudizio, osservandosi che la Corte del merito aveva adottato conclusioni del tutto scollegate dalle risultanze processuali, con ciò palesando un sostanziale difetto di motivazione, evincibile anche dalla sovrapponibilità delle ragioni di rigetto a quelle adottate in altra pronunzia relativa ad altro ricorrente;
che, in particolare si rileva che tale carenza era connessa anche alla omessa valutazione di importanti patologie risultanti dalla documentazione prodotta che avrebbe reso necessario convocare il CTU a chiarimenti e, che, quanto all’ulteriore vizio denunziato, si evidenzia che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte, erano state tempestivamente ed efficacemente contestate le conclusioni del CTU e che non poteva considerarsi esaustiva ed appropriata la riposta fornita dall’ausiliare ai quesiti formulatigli, così come erronea era la ritenuta mancanza di fondamento dei rilievi mossi alla laconica relazione peritale;
3. che il ricorso, nella duplice articolazione di denuncia di violazione di legge e di omesso esame di fatto decisivo, è inammissibile;
che la sovrapponibilità delle considerazioni svolte dal giudice del gravame a quelle contenute in decisione emessa in altro giudizio proposto da altro assicurato non è di per sé idonea a concretizzare la carenza motivazionale dedotta con riferimento alla lesione del richiamato principio costituzionale, quando le stesse si limitino a richiamare, come nella specie, principi giurisprudenziali consolidati di carattere generale, applicabili in maniera indifferenziata;
che le censure in realtà sollecitano soltanto una nuova lettura delle risultanze istruttorie, operazione preclusa in sede di legittimità. Infatti, per costante giurisprudenza in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell’assicurato, il difetto di motivazione della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile solo in caso di palese deviazione dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non si può prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi (cfr. tra le altre, Cass. 3.2.2012 n. 1652; Cass. 12.1.2011 n. 569);
che, al di fuori di tale ambito, le censure anzidette costituiscono mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico – formale, e si traducono, quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice (giurisprudenza consolidata: v. da ultimo Cass. 22 febbraio 2013, n. 4570; id. 15 gennaio 2013, n. 767 del 2013; 23 novembre 2012, n. 20773; 12 dicembre 2011, n. 26558; Cass. 29 aprile 2009, n. 9988; 3 aprile 2008, n. 8654);
che con il ricorso in esame non vengono dedotti vizi logico-formali che si concretino in deviazioni dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni manifestamente illogiche o scientificamente errate, né – ancor meno – se ne indicano le fonti: ci si limita, invece, a svolgere solo osservazioni, peraltro generiche, concernenti il merito di causa senza evidenziare quali sarebbero gli accertamenti strumentali omessi (secondo nozioni scientificamente valide ed opportunamente richiamate in termini di dovuta specificità) e quali le affermazioni scientificamente errate;
che, sempre per consolidata giurisprudenza di questa S.C. (cfr., tra le altre, Cass. 17 dicembre 2010, n. 25569), cui va data continuità, il giudice di appello, pur se obbligato a motivare adeguatamente, secondo un tipico apprezzamento di fatto, il proprio eventuale disaccordo rispetto alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio del primo grado, non è tenuto a disporre una nuova consulenza, dovendo soltanto prendere in considerazione i rilievi tecnico – valutativi mossi dell’appellante.
A maggior ragione, rispetto a rilievi che non vengono neanche riprodotti nella presente sede, in dispregio delle prescrizioni di specificità dei motivi di ricorso, rilievi asseritamente formulati nel giudizio di gravame, deve ritenersi che non occorra motivare il mancato rinnovo delle indagini, o, come auspicato dal ricorrente, convocare a chiarimenti l’ausiliare;
che il denunziato vizio, riferito anche ad una omessa specifica valutazione dei rilievi sempre solo asseritamente formulati in modo tempestivo, si risolve, nella sostanza, nella prospettazione di un diverso apprezzamento senza che venga evidenziata alcuna erronea affermazione scientifica, onde il dissenso attiene alla diagnosi e non ai principi applicati dal giudice del mento (cfr, tra le tante, Cass. 8786/2013, 10912/2013);
che a tale riguardo si osserva che la critica mossa in relazione all’omesso esame di un fatto decisivo è prospettata in termini tali che non rientra nel paradigma di cui alla nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 cpc, applicabile ratione temporis, secondo le precisazioni fornite con riguardo all’interpretazione di tale norma da Cass. s.u. n. 8053/2014;
4. che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
5. che le spese del presente giudizio di legittimità cedono a carico del ricorrente – nei cui confronti non è possibile disporre l’esonero ai sensi dell’art. 152 disp. att. cpc, in mancanza di idonea dichiarazione, personalmente sottoscritta dall’assicurato, resa a tal fine – e si liquidano come da dispositivo.
6. che, pure essendo stato il ricorso notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), non sussistono tuttavia i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pan a quello dovuto per la stessa impugnazione; stante l’ammissione della ricorrente al gratuito patrocinio, giusta delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto del 9/4/2015;
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 2000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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