CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 novembre 2017, n. 28636
Irap – avvocato – Compensi e spese consistenti – Elemento passivo dell’attività professionale, non funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto organizzativo – Rimborso
Ragioni della decisione
Costituito il contraddittorio ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. (come modificato dal decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197), osserva con motivazione semplificata:
L’avv. G.P. ricorre per la cassazione della sentenza della CTR-Lombardia che il 14 giugno 2016, riformando la decisione della CTP-Milano ha negato il rimborso dell’IRAP (2004/2007).
Il fisco non svolge difese.
La ricorrente censura – per violazione e falsa applicazione di norme di diritto sostanziali e processuali – la sentenza d’appello laddove stima l’attività della contribuente fornita del requisito dell’autonoma organizzazione, sostanzialmente per essere espletata col conseguimento di rilevanti introiti e mediante “più che validi ausili”, testimoniati dai notevoli esborsi per compensi a terzi e beni mobili strumentali e dall’utilizzo di locali ad uso studio, dapprima in parte collocati in casa e in parte fuori e poi collocati in un compendio di cento metri quadri.
L’impugnazione è centrata correttamente su principi regolativi ora definitivamente certificati dalle sezioni unite (Cass., sez. U, n. 9451 del 2016), laddove si afferma che, in tema di imposta regionale sulle attività produttive, il presupposto dell’autonoma organizzazione richiesto dall’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997 non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive. Tale parametro orientativo, invece, non risulta rispettato dal giudice d’appello che, con motivazione apparentemente diffusa, ma sostanzialmente anapodittica, svicola dal reale tessuto difensivo oggetto di contraddittorio processuale. Il che ricade nel tipico vizio processuale di motivazione apparente denunciato col primo motivo.
Manca del tutto il collegamento logico-giuridico tra l’assoluta modestia dei compensi a terzi, contenuti prima in poche centinaia (2004/2005) e poi in poche migliaia (2006) di euro, e l’affermazione dell’esistenza di “più che validi ausili”. Analoghi rilievi si ravvisano circa l’incomprensibile osservazione sull’esistenza sino al 2005 di uno studiolo casalingo di 12 mq., oltre a quello vero e proprio (58 mq), e l’utilizzo dal 2006 un solo studio più grande (100 mq), il tutto senza alcuna indagine concreta circa peculiari situazioni e specifici bisogni (es. Cass. sez. 6-5, n. 25238 del 2016).
Riguardo all’altro punto centrale dell’apparato argomentativo si osserva che, in tesi generale, il valore assoluto dei compensi percepiti (Cass., sez. 6-5, n. 22705 del 2016) e dei costi inerenti, ed il loro reciproco rapporto percentuale, non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione di un professionista, atteso che, da un lato, i compensi elevati possono essere sintomo del mero valore ponderale specifico dell’attività esercitata, e, dall’altro, le spese consistenti possono derivare da costi strettamente afferenti all’aspetto personale (es. studio professionale, veicolo strumentale, etc.), rappresentando, così, un mero elemento passivo dell’attività professionale, non funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto organizzativo (Cass., sez. 6-5, n. 23557 del 2016 e n. 23552 del 2016).
In sostanza, la decisione d’appello, oltre a fare scorretta applicazione di principi giuridici consolidati, è sostanzialmente elusiva sia del vero e proprio thema decidendum, sia del consequenziale thema probandum sì da porsi, stante l’anapodittico riferimento a “più che validi ausili”, ben al di sotto di quel minimo costituzionale di motivazione esigibile dal giudice di merito (Cass., sez. U, n. 8053 del 2014; Cass. sez. 6-5, n. 14344 del 2017).
Conseguentemente il ricorso può essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375, primo comma, cod. proc. civ. con ordinanza che, accogliendo l’assorbente primo motivo, cassi in relazione la sentenza d’appello con rinvio per nuovo esame.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto;
rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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