CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 gennaio 2018, n. 2267
Tributi – IVA – Cessioni non imponibili – Operazioni triangolari – Accordi contrattuali – Natura triangolare – Interpretazione ex art. 1363 c.c. delle clausole contrattuali
Rilevato che
– l’Agenzia delle Entrate ha rettificato, per l’anno 2000, la dichiarazione Iva presentata dalla società, assumendo l’effettuazione di cessioni in regime di non imponibilità in difetto del presupposto costituito della natura triangolare delle operazioni;
– in particolare, secondo l’Ufficio, l’esame dei rapporti contrattuali rilevanti evidenziava che fra la contribuente venditrice, l’acquirente nazionale C. S.p.A. e gli acquirenti comunitari e extra comunitari, imbottigliatori di P. Ine (P.), si inseriva un ulteriore passaggio, nel senso che gli imbottigliatori non acquistavano da C. ma da P.;
– la natura quadrangolare dell’operazione giustificava il recupero dell’Iva sulle cessioni fra la contribuente e C. S.p.A.;
– ulteriore ragione di recupero si legava alla previsione contrattuale secondo cui P., per il caso cui gli acquisti operati da C. fossero inferiori al quantitativo prefissato, si obbligava a corrispondere a I. la differenza (clausola c.d. “Take or Pay”);
– la sentenza di primo grado, favorevole per la contribuente, è stata confermata dalla Ctr, che ha rigettato l’appello dell’Ufficio;
– la Ctr ha ritenuto che il testo contrattuale non legittimava l’interpretazione dell’Ufficio, ma confermava la natura triangolare della operazione;
– in pratica non c’era vendita fra C. e P. e la clausola “Take or Pay” aveva natura di clausola penale;
– contro la sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui la società ha reagito con controricorso.
Considerato che
– il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.;
– il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 58, comma 1, del d.P.R. n. 331 del 1993 e 8, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 172, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. Violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c. Omessa motivazione su punti di fatto decisivi, in relazione all’art. 360, comma primo n. 5, c.p.c.;
– il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 1362, 1363 e 1382 c.c. e degli art. 1, 2, 3, 15 e 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma primo n. 3, c.p.c.;
– il primo motivo è fondato, anche se per ragioni non coincidenti con quelle evidenziate nei precedenti della Suprema corte, in esso richiamati, attinenti a sentenze di merito pronunciate con riferimento alla stessa vicenda per anni di imposta diversi;
– in tema di interpretazione del contratto, a norma dell’art. 1363 c.c., secondo cui le clausole si interpretano le une per mezzo delle altre attribuendo a ciascuna il senso risultante dal complesso dell’atto, il giudice non può arrestarsi ad una considerazione atomistica delle singole clausole, neppure quando la loro interpretazione possa essere compiuta, senza incertezze, sulla base del “senso letterale delle parole”, poiché anche questo va necessariamente riferito all’intero testo della dichiarazione negoziale, sicché le varie espressioni che in esso figurano vanno tra loro coordinate e ricondotte ad armonica unità e concordanza (Cass n. 1877/2005);
– in contrasto con tali norme, la Ctr si è soffermata su alcune soltanto delle clausole, traendone il convincimento che la proprietà delle preforme era acquistata dagli imbottigliatori nominati da P., senza ulteriori passaggi intermedi;
– tale esito interpretativo non confliggeva, secondo la Ctr, con il dato letterale che emergeva dalla clausola 7.1., e cioè con il fatto che la previsione parlava di “ritiro” e non di “acquisto” delle preforme da parte degli imbottigliatori, perché il significato di tale espressione andava inteso in relazione con le clausole n. 7.2, 8 e 9;
– in questo modo però la Ctr, appunto, ha violato la regola della c.d. interpretazione sistematica, perché, pur dando atto che l’Ufficio aveva basato la propria diversa interpretazione anche sulle clausole n. 11 e n. 14, le ha poi del tutto trascurate nel seguito del proprio ragionamento;
– diversamente da quanto si sostiene nel controricorso, la menzione di tali ulteriori clausole da parte della Ctr è puramente descrittiva, posto che a tale menzione non ha fatto seguito l’analisi del loro contenuto in connessione sistematica con le altre clausole;
– identica omissione si ravvisa in relazione alla clausola n. 7.2., che è considerata dalla Ctr solo per una parte del suo contenuto e non anche per il contenuto ulteriore riportato nel ricorso dell’Agenzia (v. pag. 64), in contrasto con la regola che l’interpretazione di una clausola contrattuale non può essere condotta in abstracto, ossia in base al significato lessicale di singole espressioni adoperate, prescindendo dal contesto unitario della clausola e delle altre clausole del negozio (Cass. n. 248/1971);
– è vero che secondo gli insegnamenti di questa Suprema corte «sussiste violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti, e in particolare del criterio dell’interpretazione complessiva stabilito dall’art. 1363 c.c., qualora sia omessa, pur ricorrendone le condizioni, l’applicazione del predetto criterio e non anche quando il criterio stesso sia utilizzato soltanto rispetto ad alcune delle clausole contrattuali, costituendo tale limitazione – attuata ovviamente in relazione ad un risultato di univoca significazione, consentito dall’indagine già espletata – esercizio del potere discrezionale del giudice del merito di individuare gli elementi di giudizio utili e necessari per la formazione del proprio convincimento in ordine ad un determinato accertamento» (Cass. n. 599/1999; conf. 1981/03403);
– è chiaro però che il giudice di merito è esentato dal dare conto della connessione sistematica fra le diverse clausole della disposizione interpretata quando questa non appaia rilevante ai fini di accertare il diverso significato della disposizione;
– diversamente, nella specie, l’omissione attiene a clausole (trascritte nel ricorso) in astratto rilevanti al fine di accertare un significato della volontà contrattuale diverso da quello a cui è pervenuta la Ctr, essendo il loro contenuto coerente – bene inteso in linea di principio perché la Corte non può sostituire la propria interpretazione a quella censurata – con la diversa interpretazione sostenuta dall’Ufficio, in base alla quale la P. sarebbe acquirente delle preforme destinate ai propri imbottigliatori;
– la violazione della regola secondo cui «le clausole si interpretano le une per mezzo delle altri» ricorre anche con riferimento alla clausola c.d. “Take or Pay”, in quanto considerata dalla Ctr isolatamente e non nel sistematico contesto delle previsioni contrattuali, e così sbrigativamente qualificata come clausola penale in assenza di adeguata indagine del ruolo assunto dal soggetto tenuto al pagamento delle somme nell’ambito del complessivo rapporto contrattuale;
– si ritiene di rimarcare infine che il ricorso al criterio del comportamento “complessivo” delle parti, ai sensi dell’art. 1362, secondo comma, c.c. (valorizzato dalla Ctr ai fini di suffragare la interpretazione del testo contrattuale), è possibile solo quando quelli letterale e del collegamento logico tra le varie clausole si rivelino inadeguati all’accertamento della comune volontà delle parti (Cass. n 16022/2002);
– gli atri motivi sono assorbiti;
– si impone perciò la cassazione della sentenza con rinvio al giudice d’appello, che procederà a nuovo esame attenendosi ai principi di cui sopra e provvederà sulle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione, anche per le spese.
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