CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 gennaio 2018, n. 2303
Appalto servizio di consulenza informatica – Mera fornitura mano d’opera
Rilevato che
1. E.L. adiva il Tribunale di Firenze con ricorso ex art. 1 comma 48 della legge n. 92 del 2012, assumendo di aver lavorato per I. s.c.p.a. dal luglio 2007 quale dipendente di M.S. e S. s.r.l., cui la prima aveva appaltato un servizio di consulenza informatica. Argomentava che l’appalto non poteva considerarsi genuino ai sensi dell’ art. 29 del d.lgs n. 276 del 2003, giacché si esauriva nella mera fornitura della sua mano d’opera alla convenuta, che aveva sempre esercitato nei suoi confronti tutti i poteri del datore di lavoro. Aggiungeva di essere stata verbalmente estromessa dal lavoro da I. s.c.p.a. in data 19/12/2014, pur essendo ancora in corso l’appalto.
Deducendo la nullità del licenziamento verbale, chiedeva che il Tribunale, accertata ex artt. 27 e 29 del d.lgs n. 276 del 2003 la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con I. s.c.p.a., dichiarasse la nullità/inefficacia del licenziamento ed applicasse nei confronti della convenuta la tutela reale ex art. 18 secondo comma della legge n. 300 del 1970, come novellato;
2. il Tribunale adito in fase sommaria dichiarava inammissibile il ricorso, ritenendo che l’accertamento avente ad oggetto la costituzione di un rapporto di lavoro con soggetto diverso dal formale datore sia estraneo al rito di cui all’art. 1 commi 48 e ss. della legge n. 92 del 2012, in quanto non compreso tra le «questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro» di cui al comma 47;
3. nel giudizio di opposizione, ritenuto che l’inapplicabilità del cosiddetto rito Fornero non determini l’inammissibilità del ricorso, il Tribunale disponeva invece la conversione del rito in quello di cui agli articoli 414 e seguenti c.p.c. e ordinava la prosecuzione del giudizio;
4. I. s.c.p.a. proponeva reclamo ex art. i comma 58 della legge n. 92 del 2012, chiedendo che, a conferma dell’ordinanza resa nella fase a cognizione sommaria, il ricorso fosse dichiarato inammissibile, con conseguente decadenza dall’impugnazione del licenziamento ex art. 32 della legge n. 183 del 2010. E.L. si costituiva contestando il reclamo principale e, in via di reclamo incidentale, chiedeva dichiararsi ammissibile la domanda attrice nelle forme del cosiddetto rito Fornero.
La Corte d’appello di Firenze, con sentenza pubblicata in data 11/10/2012, riteneva ammissibile il reclamo proposto da I. s.c.p.a. – in considerazione del contenuto decisorio dell’ordinanza del Tribunale, da qualificarsi come sentenza non definitiva ex art. 279 comma 2 n. 4 c.p.c. laddove aveva risolto una questione pregiudiziale di rito senza definire il giudizio — ma lo respingeva nel merito, ritenendo che l’estraneità della domanda all’ambito di applicazione del rito di cui all’art. 1 commi 47 ss. della legge n. 92 del 2012 non ne determini l’inammissibilità, essendo operabile la conversione, n quanto l’art. 4 del d.lgs n. 150 del 2011 pone un principio generale, che trova fondamento negli artt. 24 e 111 Cost. Dichiarava inammissibile il reclamo incidentale proposto dalla L., rilevando che esso censurava il provvedimento ordinatorio di mutamento del rito, estraneo alle questioni pregiudiziali o preliminari di cui all’art. 279 comma 2 nn. 1 e 2 c.p.c., aggiungendo che comunque la trattazione della- causa secondo un rito diverso da quello per essa previsto non determina nullità della sentenza, in difetto di un rilevato concreto pregiudizio processuale;
5. I. s.c.p.a. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, a fondamento del quale censura la motivazione della Corte fiorentina laddove ha ritenuto che la proposizione del ricorso con il cosiddetto rito Fornero, in difetto delle relative condizioni di applicabilità, non determini una pronuncia dichiarativa dell’inammissibilità o improcedibilità della domanda, ma esclusivamente il mutamento del rito, per violazione e falsa applicazione degli artt. 426 e 427 4 del d.lgs. n. 150 del 2011, 14 delle preleggi del codice civile, 1 commi 47 e 48 della legge n. 92 del 2012, 6 comma 2 della legge n. 604 del 1966, 32 della legge n. 183 del 2010, 24 e 111 della Costituzione;
E.L. ha resistito con controricorso; I. s.c.p.a. ha depositato anche memoria ex art. 380 bis comma 2 c.p.c..
Considerato che
1. parte ricorrente chiede (tra l’altro) a questa Corte di valutare la sussistenza (o meno) della violazione dell’art. 1 commi 47 e 48 della legge n. 92 del 2012, sicché è demandato all’attività nomofilattica di questa Corte anche di chiarire quale sia la corretta interpretazione della normativa richiamata, laddove definisce l’ambito di applicabilità del rito speciale, al fine di individuare se la soluzione adottata dal giudice di merito, di ritenere ammissibile la domanda così come proposta, sia corretta e conforme a diritto;
2. questa Corte ha chiarito che rientra nell’ambito di applicazione del rito speciale di cui all’art. 1, commi 47 ss., della L. n. 92 del 2012, anche la domanda proposta nei confronti di un soggetto diverso dal formale datore di lavoro, di cui si chieda di accertare l’ effettiva titolarità del rapporto, dovendo il giudice individuare la fattispecie secondo il canone della prospettazione, con il solo limite di quelle artificiose, sicché, una volta azionata dal lavoratore un’ impugnativa di licenziamento postulando l’applicabilità delle tutele previste dall’art. 18 dello Statuto, il procedimento speciale deve trovare ingresso a prescindere dalla fondatezza delle allegazioni, senza che la veste formale assunta dalle relazioni giuridiche tra le parti ne possa precludere l’accesso (Cass. 08/09/2016 n. 17775);
3. nel caso esaminato dal richiamato arresto il licenziamento era stato impugnato dal lavoratore con il c.d. rito Fornero non solo nei confronti del proprio datore di lavoro, ma anche di altre cinque società dello stesso gruppo dalle quali egli asseriva di essere stato effettivamente dipendente. Il Tribunale, con sentenza confermata dalla Corte d’appello, a sua volta confermata da questa Corte di Cassazione, aveva accolto la domanda, ordinando alle sei società in solido di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e condannandole al pagamento a titolo di risarcimento del danno di un importo pari alla retribuzione globale di fatto dal licenziamento all’effettiva reintegrazione;
4. questa Corte ha ivi affermato che la natura giuridica del rapporto di lavoro, così come l’individuazione del soggetto che si assume essere datore di lavoro e destinatario dei provvedimenti di tutela ex art. 18 delle legge n. 300/70, risultano tra le questioni che il giudice deve affrontare e risolvere nel percorso per giungere alla decisione di merito sulla domanda, che è appunto quella concernente la legittimità o meno del licenziamento. Ha aggiunto che anche il riferimento all’operatività del rito speciale «quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro» esprime la volontà del legislatore di non precluderne l’utilizzo per le barriere imposte dalla forma assunta dal rapporto. Ha puntualmente aggiunto che: «così come pacificamente un lavoratore che alleghi la qualificazione solo formale di un rapporto come autonomo, deducendo la subordinazione, può impugnare il recesso invocando la tutela dell’art. 18 con il ricorso ex lege n. 92 del 2012, altrettanto può fare il lavoratore che invochi la stessa tutela in un rapporto di lavoro non formalizzato ovvero nei confronti di un soggetto diverso da quello che risulti essere il formale datore di lavoro»;
5. alla soluzione adottata deve quindi darsi seguito anche nel presente giudizio: in effetti, la domanda formulata nel ricorso aveva ad oggetto l’impugnativa del licenziamento con applicazione della tutela reintegratoria nei confronti di I. s.c.p.a., sicché l’accertamento che il giudice deve compiere in ordine all’imputazione del rapporto è preliminare alla tutela reale invocata nei confronti di tale società, né si basa su fatti costitutivi diversi, costituendone causa petendi;
6. neppure rileva la questione, valorizzata dalla parte ricorrente, secondo la quale con il rito Fornero non potrebbero formularsi domande autonome rispetto a quella che ha ad oggetto la reintegrazione, in quanto nel caso l’accertamento dell’imputazione del rapporto ad I. s.c.r.l. si pone come preliminare alla richiesta dichiarazione d’illegittimità del licenziamento, e quindi non costituisce domanda autonoma, sebbene non vi sia dubbio che l’accertamento sul diritto oggetto di domanda, anche negativo, faccia stato — ex art. 2909 c.c. — anche in ordine all’esistenza ed alla validità del rapporto da cui il diritto stesso trae origine, nei limiti delle questioni la cui risoluzione sia stata necessaria ed indispensabile per giungere alla decisione (v. sui limiti del giudicato Cass. 21 gennaio 1975, n. 248; Cass. 13 febbraio i 2002, n. 2083; Cass. 28 agosto 2009, n. 18791, Cass. 11 febbraio 2011 n. 3434);
7. occorre evidenziare che anche nei casi in cui la controversia appaia di maggiore complessità a causa dell’accertamento relativo all’imputazione od alla natura del rapporto, sussiste comunque l’interesse espresso dalla novella processuale del 2012 di pervenire alla celere definizione di una situazione sostanziale di forte impatto sociale ed economico, che attiene a diritti primari dell’individuo;
8. del resto, pacifico essendo che l’impugnativa del licenziamento ex art. 18 debba essere proposta con il rito qui adito, non avrebbe potuto il lavoratore attendere l’esito di un autonomo giudizio proposto nei confronti dell’appaltante ai sensi degli artt. 27 comma 1 (come all’epoca vigente) e 29 comma 3 bis del d.lgs n. 276 del 2003, in quanto questa Corte ha affermato – con principio che per identità di ratio e disciplina (ex art. 29 comma 3 bis del d.lgs n. 276 del 2003) deve applicarsi anche all’appalto illecito – che nei casi di costituzione d’un rapporto di lavoro direttamente in capo all’utilizzatore, ai sensi dell’art. 27 c. 1 del d.lgs n. 276/2003, gli atti di gestione del rapporto posti in essere dal somministratore producono nei confronti dell’utilizzatore tutti gli effetti negoziali, anche modificativi del rapporto di lavoro, loro propri, ivi incluso il licenziamento, con conseguente onere del lavoratore di impugnare il licenziamento nei confronti di quest’ultimo ai sensi dell’art. 6 della legge 604/1966 (Cass. 13-09-2016, n. 17969), pena la ordinaria decadenza dell’azione di annullamento anche rispetto all’utilizzatore;
9. ne consegue che la domanda era stata correttamente introdotta nei confronti dell’asserito datore di lavoro con il rito di cui alla legge n. 92 del 2012, art. 1, commi 48 ss.;
10. la decisione della Corte d’appello che ha confermato la statuizione del Tribunale di ammissibilità del ricorso era quindi corretta, pur dovendosene modificare la motivazione ex art. 384 u.c. c.p.c.;
11. resta estranea a questo giudizio la valutazione delle ricadute della soluzione individuata in ordine al provvedimento ordinatorio di mutamento del rito adottato dal giudice di merito;
12. per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore, il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.;
13. la regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza;
14. sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 4.000,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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