CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 novembre 2016, n. 24515
IRAP – Piccolo imprenditore – Esente – Commercio al dettaglio di prodotti del tabacco in modo esclusivamente personale, impiegando capitali di modesta entità e beni strumentali minimi
Fatto e diritto
La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue.
1. In fattispecie relativa ad impugnazione del silenzio-rifiuto sull’istanza di rimborso Irap degli anni 2000-2004, con unico motivo di ricorso – “Violazione o falsa applicatozione degli artt. 2 e 3 lett. b) del D.Igs 446/97 e degli artt. 2082 e 2195 cod.civ., nonché dell’art. 55 (già 51) del D.P.R. n. 917/86, con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c.” – l’amministrazione finanziaria censura la C.T.R. per avere erroneamente “accertato in concreto l‘insussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione nonostante fosse pacifico e incontestato che l’attività del contribuente rientrava in quella di commercio al dettaglio di prodotti del tabacco, così violando palesemente la normativa citata e la sua costante interpretazione giurisprudenziale”.
2. Il motivo è manifestamente infondato.
3. Invero, alla luce del D.Lgs. n. 446/97, art. 2 – per cui presupposto dell’Irap è l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi (primo periodo) e “costituisce in ogni caso presupposto d’imposta l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato” (secondo periodo) – questa Corte ha costantemente ritenuto che solo l’esercizio di professioni in forma societaria costituisce ex lege presupposto dell’imposta, senza necessità di accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione (v. Cass. S.U. n. 7371/16: “presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio ovvero alla prestazione di servizi; ma quando l’attività è esercitata dalle società e dagli enti, che siano soggetti passivi dell’imposta a norma del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 3, comprese quindi le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni – essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto d’imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenze dell’autonoma organizzazione”).
4. Diversa è invece la conclusione della giurisprudenza di legittimità laddove l’attività di natura imprenditoriale sia svolta – come nel caso di specie – in forma individuale, ed in particolar modo laddove ricorra la figura del c.d. piccolo imprenditore, in relazione alla quale si è affermato che “In tema di IRAP, l’esercizio dell’attività di piccolo imprenditore è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni” (Cass., Sez. V, sent. n. 21122/10, con riguardo alla figura del coltivatore diretto; n. 21113/10, con riguardo all’attività di tassista; n. 21124/10, con riguardo all’artigiano; conf. Cass. sez. V, ord. n. 4490/12, con riguardo all’esercente di fornitura di software e di consulenza informatica; Cass. sez. V, ord. n. 1162/12).
5. Tenuto conto delle specifiche violazioni di legge oggetto di censura, va altresì sottolineata l’inapplicabilità del criterio stabilito per le imposte sul reddito dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51 (ora 55) – che recitava “Sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 c.c. e delle attività indicate alle lett. b) e c) del comma 2 dell’art. 29 che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d’impresa” – in base al quale si include nel reddito di impresa l’esercizio di “tutte quelle attività che abbiano natura oggettivamente commerciale, senza tener conto del profilo quantitativo, cioè proprio della dimensione organizzativa dell’attività, nella quale deve essere valutato il peso del lavoro personale del soggetto, che quell’attività svolge, sull’impiego del capitale e sull”utilizzazione del lavoro altrui”, al punto che lo stesso art. 51 cit. considera le attività indicate dall’art. 2195 c.c. produttive di reddito di impresa “anche se non organizzate in forma d’impresa” (Cass. S.U. n. 12109/09).
5.1. Al riguardo il supremo organo nomofilattico ha infatti chiarito come “a quel che è stabilito per le imposte sul reddito non può essere riconosciuta una efficacia condizionante ai fini dell’interpretazione di imposte, come è l’IRAP, che rispondono ad altri criteri e ad una diversa ratio impositiva”, poiché le attività contemplate dall’art. 2195 c.c. “pur essendo ai fini delle imposte sul reddito considerate produttive di reddito d’impresa, possono essere (e spesso sono) svolte dal soggetto senza organizzazione di capitali o lavoro altrui”; d’altro canto, se “si considerassero ai fini IRAP queste attività tout court attività di impresa, l’imposta non troverebbe corrispondenza nella sua ratio, e finirebbe per colpire una base fittizia, un fatto non reale, in contraddizione con una interpretazione costituzionalmente orientata del presupposto impositivo. Non è, infatti, la oggettiva natura dell’attività svolta ad essere alla base dell’imposta, ma il modo – autonoma organizzazione – in cui la stessa è svolta, ad essere la razionale giustificazione di una imposizione sul valore aggiunto prodotto, un quid che eccede il lavoro personale del soggetto agente ed implica appunto l’organizzazione di capitali o lavoro altrui: se ciò non fosse, e il lavoro personale bastasse, l’imposta considerata, non solo non sarebbe vincolata all’esistenza di una autonoma organizzazione, ma si trasformerebbe inevitabilmente in una sostanziale imposta sul reddito” (Cass. S.U. n. 12109/09 cit.)
6. Anche con riguardo alle figure dell’agente di commercio o dell’intermediario finanziario, le Sezioni Unite, chiamate a dirimere proprio il dubbio se “i contribuenti le cui attività costituiscono esercizio di impresa ai sensi dell’art. 2195 c.c. possano essere considerati lavoratori autonomi professionali, e quindi essere assoggettati ad IRAP, solo qualora sia accertata una organizzazione autonoma della loro attività, ovvero se lo debbano essere, comunque, ontologicamente, in relazione al fatto che svolgono una delle attività considerate dal richiamato art. 2195 c.c.”, hanno concluso che, in tema di IRAP, l’esercizio delle suddette attività “è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata” (Cass. sent. n. 12109/09; cfr., da ultimo, Cass. S.U. n. 9451/16).
7. Nel caso di specie, il giudice d’appello ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi nell’affermare che “dall’esame della documentazione allegata agli atti, il contribuente ha svolto la propria attività in modo esclusivamente personale, senza avvalersi della collaborazione di alcun dipendente ed impiegando capitali di entità modesta” mentre “i beni strumentali evidenziati, estremamente contenuti, sono esigui rappresentando il minimo indispensabile per esercitare l’attività in quel determinato settore economico – mercantile”.
8. Il ricorso va quindi rigettato, ma sussistono i presupposti per la compensanzione delle spese processuali, essendo solo di recente consolidato l’intervento nomofilattico chiarificatore.
9. Non ricorrono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, ex art. 13, T.U.S.G., in quanto per la ricorrente amministrazione pubblica opera il meccanismo della prenotazione a debito delle spese (cfr. Cass. S.U. n. 9338/14; Cass. Sez. IV-L, n. 1778/16 e VI-T n. 18893/16).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.
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