CORTE di CASSAZIONE ordinanza n. 11832 depositata il 12 maggio 2017
RILEVATO
che il ricorso dell’Agenzia delle Entrate concerne la controversia relativa al preteso rimborso delle ritenute operate nel momento in cui il fondo di previdenza FONDENEL (in precedenza denominato PIA) aveva corrisposto (nel 2000) F. P. S., cessato il rapporto di lavoro come dirigente ENEL, una somma di denaro, in luogo del trattamento di pensione integrativa, avendo il sostituto d’imposta applicato le ritenute fiscali alla stregua degli artt. 16 e 17 D.P.R. n. 917 del 1986 e, dunque, la medesima aliquota applicata al TFR ;
che il contribuente, soccombente in primo grado, appellava la decisione e la CTR dell’Umbria, in accoglimento del gravame, affermava l’assoggettabilità della somma in questione a tassazione con l’aliquota del 12,50%, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 42, comma 4, e L. n. 482 del 1985, art. 6, da applicare sull’intera prestazione corrisposta all’ex dirigente, iscritto al fondo in epoca antecedente la vigenza del D.Lgs. n. 124 del 1993;
che, su ricorso dell’Agenzia delle Entrate, la decisione di secondo grado veniva cassata da questa Corte, con la sentenza n. 276/2012, che disponeva il rinvio della causa ad altra sezione della medesima CTR, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, non essendo stata ritenuta la stessa in linea con il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 13642/2011;
che il Giudice di rinvio, con la sentenza qui impugnata, accoglieva l’appello del contribuente per quanto di ragione e condannava l’Amministrazione finanziaria alla restituzione della somma indebitamente percepita, con integrale compensazione delle spese di lite, rilevando che né la dichiarazione dell’ENEL circa la non reperibilità di documentazione in ordine all’an ed al quantum della prestazione, in conseguenza del tempo trascorso dai fatti di causa, né la prospettata natura interna del fondo PIA, il quale non operava direttamente sui mercati finanziari, impedivano di ritenere comunque sussistente il diritto, azionato dal contribuente, al rimborso della maggiore imposta versata “sugli importi maturati sino al 31 dicembre 2000 quali somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento del Fondo PIA dell’ENEL”, dovendosi applicare la ritenuta del 12,50% prevista dall’art. 6 L. n. 482 del 1985;
che l’intimato resiste con controricorso ed entrambe le parti depositano memorie ;
CONSIDERATO
che va preliminarmente disattesa la eccezione di inammissibilità del ricorso, perché tardivamente proposto, in quanto deve ritenersi che la sospensione del termine per la proposizione del ricorso per cassazione, disposta con decreto del 22/10/2013, produce i suoi effetti dal momento della presentazione dell’istanza di parte, contestualmente alla proposizione del ricorso per revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c., non potendo il ritardo del giudice nella deliberazione sulla istanza medesima risolversi in danno all’istante, e la sospensione dura sino alla comunicazione della sentenza che ha pronunciato sulla revocazione secondo quanto previsto dall’art. 398 c.p.c., con la conseguenza che da tale data riprende a decorrere, per la parte residua, il termine per la proposizione del ricorso per cassazione (Cass. n. 9239/2013; n. 36802016);
che esclusa, altresì, secondo l’attuale formulazione dell’ultimo comma dell’art. 398 c.p.c., la sospensione automatica del termine per la proposizione del ricorso per cassazione, o del relativo procedimento, il relativo provvedimento del giudice, non revocabile né ricorribile ex art. 111 c.p.c., vale soltanto a consentire il differimento di un’impugnazione che potrebbe rivelarsi superflua qualora l’istanza di revocazione rivolta al medesimo giudice di merito fosse accolta, sicché il successivo rigetto della domanda di revocazione non incide sull’efficacia della già disposta sospensione del termine in questione in quanto soltanto la manifesta infondatezza preclude al ricorrente in revocazione di giovarsi della sospensione del predetto termine (Cass.n. 20905/2013);
che l’Agenzia delle Entrate deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma primo, n. 4, violazione dell’art. 63, D.Lgs. n. 546 del 1992, e degli artt. 384 e 392 e ss.gg. c.p.c., giacché la CTR non avrebbe rispettato l’obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla regula iuris enunciata dalla Corte di cassazione avendo inteso la nozione di “rendimento” del fondo previdenziale, enunciata nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 13642/2011 ed alla quale ha fatto espresso richiamo la sentenza (n. 276/2012) che ha disposto il giudizio di rinvio, come sostanzialmente slegata dalle modalità del suo conseguimento “con impieghi interni ovvero sui mercati finanziari”, laddove invece era chiaro che si trattasse del “rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato”;
che, in subordine, deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma primo, n. 3, violazione degli artt. 16, lett. a), 42, comma 4, D.P.R. n. 917 del 1986 (secondo la numerazione del testo unico applicabile ratione temporis, oggi artt. 17 e 45), 6, comma 2, D.P.R. n. 917 del 1986, essendo la sentenza impugnata in contrasto con il principio di diritto dettato dalla Corte di Cassazione;che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite in tema di fondi previdenziali integrativi, « le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6, come nella specie; b) per gli importi maturati a decorrere dall’i gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al cit. D.P.R. n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 » (Cass. S. U., n. 13642/2011);
che, inoltre, la Corte ha avuto modo di precisare che « per rendimento del capitale deve intendersi il rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato », la cui quantificazione deve essere compiuta dal giudice di merito sulla base di « una congruente analisi giuridica della fattispecie concreta >>, operando « l’accertamento della natura e quantità del rendimento che sarebbe stato erogato a favore del contribuente, verificando se vi sia stato (e quale sia stato) l’impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego, giustificandosi solo rispetto a quest’ultimo rendimento l’affermata tassazione al 12,5% >> (Cass. n. 29583/2011; n. 17682/2014; n. 1977/2015); che, alla stregua di tale principio, a cui il Collegio intende dare continuità – non apparendo condivisibile l’orientamento espresso da isolate pronunce (Cass. n. 11941/2016; n. 15827/2016) le quali non tengono conto dei differenti sistemi gestionali (di tipo assicurativo o di tipo finanziario) impiegati nel tempo per incrementare il patrimonio del fondo – il meccanismo impositivo di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6 (aliquota del 12,50% sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo) si applica a coloro che siano iscritti al fondo di previdenza complementare aziendale FONDENEL/PIA da epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, sulle somme percepite a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale, limitatamente agli importi maturati entro il 31/12/2000 che provengano dalla liquidazione del rendimento finanziario del capitale, per tale intendendosi, come espressamente precisato nella parte motiva della citata sentenza delle Sezioni Unite (ultima parte del penultimo periodo del paragrafo 6.1), il “rendimento netto” imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato;
che, quindi, il motivo di ricorso dell’Agenzia delle Entrate è fondato, perché la sentenza gravata, pur affermando il corretto principio di diritto secondo cui l’aliquota del 12,50% si applica solo sulla parte del capitale erogato al contribuente che corrisponde al rendimento finanziario generato dall’impiego sul mercato delle somme versate dal lavoratore e dal datore di lavoro a titolo di contribuzione, è tuttavia viziata in punto di accertamento (sul quale non si era formato alcun giudicato interno con la sentenza di primo grado) degli investimenti concretamente effettuati sul mercato finanziario, sulla base delle norme contrattuali via via applicabili, e delle plusvalenze con essi realizzati;
che manca, nel caso di specie, una concreta quantificazione dell’importo corrispondente a detto rendimento finanziario, proprio in conseguenza della erronea nozione di rendimento presa a parametro;
che, infatti, la CTR ha operato tale quantificazione senza svolgere alcuna analisi dei meccanismi di funzionamento del fondo FONDENEL/PIA nel corso degli anni, limitandosi a recepire acriticamente quanto riferito dal contribuente, su cui incombe – rivestendo la qualità di attore in senso sostanziale – l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge collega il trattamento impositivo rivendicato e quindi il pagamento non dovuto del quale pretende il rimborso, e quanto altresì ricavabile dal sintetico contenuto della certificazione a suo tempo rilasciata dal sostituto d’imposta ENEL, “in mancanza di una precisazione di data più recente”, di guisa che la sentenza gravata omette di accertare se e quando, sulla base delle norme contrattuali applicabili, i capitali rivenienti dalla contribuzione siano stati effettivamente investiti sul mercato, quali siano stati i risultati dell’investimento finanziario ed in qual modo sia stata determinata l’assegnazione delle eventuali plusvalenze alle singole posizioni individuali;
che, pertanto, il primo motivo di ricorso va accolto e, assorbito il secondo (subordinato), la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla medesima CTR per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità;
che non si applica l’art. 13, comma 1-quater. D.P.R. n. 115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
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