CORTE di CASSAZIONE ordinanza n. 15550 depositata il 22 giugno 2017
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
A. P. ha proposto ricorso per cassazione articolato in unico motivo avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 1458/2015 del 7 ottobre 2015. La sentenza impugnata ha accolto l’appello formulato dal Condominio di via F. Di G. 20, di Palermo, avverso la sentenza resa il 25 giugno 2009 dal Tribunale di Palermo, la quale, su domanda di A. P., aveva annullato la deliberazione assembleare del 12 giugno 2003. A. P. aveva dedotto che non erano stati convocati all’assemblea i condomini proprietari dei box del piano cantinato. La Corte d’Appello ha osservato come il P. avesse ricevuto regolare avviso di convocazione e non era perciò legittimato a far valere il difetto di convocazione relativo ad altri condomini.
L’intimato Condominio di via F. Di G. 20, di Palermo, non ha svolto difese.
L’unico motivo denuncia omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in quanto l’avviso di convocazione per l’assemblea del 12 giugno 2003 risultava inviato a tale Irma Silvestri, quale rappresentante dei proprietari dei cinquantotto box in cui era stato frazionato il piano scantinato originariamente appartenente alla condomina Antonietta Inglese. Il ricorrente A. P. contesta che non sia stata esaminata la questione dell’avvenuta costituzione del nuovo autonomo “Condominio di via Telesino n. 34”, da parte dei proprietari dei box auto, circostanza che avrebbe anche imposto il ricalcolo dei millesimi ai fini della regolarità della costituzione delle assemblee e della validità delle relative deliberazioni. Si invoca anche il disposto dell’art. 67, comma 2, disp. att c.c., che consente la nomina di un rappresentante dei comproprietari ma per le sole ipotesi di comunioni pro indiviso della singola porzione.
Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. La censura difetta dei necessari caratteri di tassatività e specificità, risolvendosi in una critica generica della sentenza impugnata.
E’ così inammissibile la doglianza se riferita al parametro dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in quanto questo, come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, contempla soltanto il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Ne consegue che tale vizio va denunciato nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., dovendo il ricorrente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”. Non integrano, pertanto, il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, le considerazioni svolte nel motivo di ricorso, che, piuttosto, adombrano una falsa applicazione degli artt. 1136 c.c. e 66 disp. att. c.c., relativi al procedimento di convocazione dell’assemblea di condominio. Il motivo di ricorso è comunque manifestamente infondato, in quanto la sentenza impugnata ha deciso uniformandosi alla giurisprudenza più recente e ormai consolidata, e la censura non offre elementi per mutare tale orientamento.
La Corte d’Appello ha spiegato come il P. risultasse regolarmente convocato all’assemblea del 12 giugno 2003, e non fosse perciò legittimato a far valere l’irregolare convocazione relativa ad altri condomini. Ora, è noto come l’art. 66, comma 3, disp. att. c.c., a seguito della riformulazione operatane dalla legge n. 220/2012 (nella specie, non applicabile ratione temporis) precisa che, in caso di avviso omesso, tardivo o incompleto degli aventi diritto, la deliberazione adottata è annullabile, ma su istanza (soltanto) dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati. La Riforma del 2012 ha così tratto le necessarie conseguenze sotto il profilo processuale dalla sistemazione della fattispecie dell’omessa convocazione nell’ambito dei rimedi sostanziali operata da Cass. Sez. U, Sentenza n. 4806 del 07/03/2005. Una volta condiviso il principio per cui la mancata comunicazione a taluno dei condomini dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale, in quanto vizio procedimentale, comporti non la nullità, ma l’annullabilità della delibera condominiale, è inevitabile concludere che la legittimazione a domandare il relativo annullamento spetti, ai sensi degli artt. 1441 e 1324 c.c., unicamente al singolo avente diritto pretermesso. L’interesse del condomino che faccia valere un vizio di annullabilità, e non di nullità, di una deliberazione dell’assemblea, non può, infatti, ridursi al mero interesse alla rimozione dell’atto, ovvero ad un’astratta pretesa di sua assoluta conformità al modello legale, ma deve essere espressione di una sua posizione qualificata, diretta ad eliminare la situazione di obiettiva incertezza che quella delibera genera quanto all’esistenza dei diritti e degli obblighi da essa derivanti: la delibera assembleare è annullabile sulla base del giudizio riservato al soggetto privato portatore di quella particolare esigenza di funzionalità dell’atto collegiale tutelata con la predisposta invalidità, esigenza che si muove al di fuori del complessivo rapporto atto-ordinamento.
Da tali premesse, a confutazione delle doglianze contenute nel ricorso, richiamando l’orientamento già proprio di questa Corte, deve affermarsi che:
“il condomino regolarmente convocato non può impugnare la delibera per difetto di convocazione di altro condomino, trattandosi di vizio che inerisce all’altrui sfera giuridica, come conferma l’interpretazione evolutiva fondata sull’art. 66, comma 3, disp. att. c.c., modificato dall’art. 20 della legge 11 dicembre 2012, n. 220” (Cass. Sez. 2, 23/11/2016, n. 23903; Cass. Sez. 2, 18/04/2014, n. 9082; Cass. Sez. 2, 13/05/2014, n. 10338).
L’infondatezza del ricorso è ancor più palese ove si consideri che non potesse comunque essere oggetto del giudizio di impugnazione della deliberazione asssembleare, ai sensi dell’art. 1137 c.c., l’agitata questione dell’accertamento dell’esistenza di un “condominio autonomo” con riferimento alle distinte unità immobiliare realizzate nel piano interrato e destinate ad autorimesse, trattandosi di domanda rivolta nei confronti dell’amministratore, e che avrebbe, piuttosto, imposto il litisconsorzio necessario di tutti quei singoli condomini (Cass. Sez. 2, 18/04/2003, n. 6328; Cass. Sez. 2, 01/04/1999, n. 3119).
Né, per giudicare sulla regolarità del procedimento di convocazione dell’assemblea del 12 giugno 2003, può invocarsi l’art. 67, comma 2, disp. att. c.c., nella formulazione introdotta dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220 ed entrata in vigore dieci anni dopo quell’assemblea, ovvero il 18 giugno 2013.
Il ricorso va perciò rigettato.
Non occorre regolare le spese del giudizio di cassazione, perchè l’intimato non ha svolto attività difensiva.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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