CORTE di CASSAZIONE ordinanza n. 16561 depositata il 5 luglio 2017
Rilevato in fatto
1. L’Agenzia delle entrate ricorre con unico mezzo, nei confronti della società G. & A. M. & Co. Società d’Armamento per azioni (che resiste con controricorso), avverso la sentenza in epigrafe con la quale la C.T.R. delle Marche — in controversia relativa, per quanto ancora qui interessa, all’impugnazione di avviso di accertamento per il recupero a tassazione, a fini Irpeg e Irap anno 1998, di interessi attivi di mora maturati nel predetto anno sul corrispettivo ad essa dovuto dalla committente C. G. T. S.p.A. per la costruzione di due navi etileniere di 7200 t di stazza lorda (commessa per la quale anche la contribuente era incorsa in ritardi nella consegna, maturando a suo carico penali di pari importo) — ha accolto l’appello della contribuente, ritenendo illegittimo, in parte qua, l’atto impositivo. I giudici d’appello hanno al riguardo osservato, richiamando a supporto giurisprudenza di legittimità, che:
– se è vero, «come sostenuto dall’Ufficio, … che l’importo degli interessi attivi per ritardo nei pagamenti potevano essere individuati nell’an e nel quantum, … resta pur sempre la circostanza che gli stessi non sono mai stati corrisposti, né mai sono stati richiesti per cui non vi era motivo della loro iscrizione fra le poste contabili»;
– «il comportamento contabile della società costruttrice, d’altra parte, non può non essere condivisibile, considerato che la stessa era a sua volta debitrice per penalità da ritardo, per cui si sarebbe inutilmente creata una partita contabile di giro “crediti-costi”, coerentemente annullata dalla comune volontà delle parti contraenti che, con nuova ed autonoma pattuizione, ne hanno disposto l’integrale compensazione», comportando tale transazione una perdita legittimamente deducibile;
– l’art. 75, comma quarto, t.u.i.r. (vigente ratione temporis) avrebbe imposto di tenere conto, nell’accertamento, del costo rappresentato dalla penale dovuta per il ritardo nella consegna, in quanto anch’esso risultante da elementi certi e precisi desumibili dalla stessa pattuizione contrattuale dalla quale sono desunti gli interessi attivi di mora oggetto di recupero fiscale.
Considerato in diritto
1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate deduce violazione degli artt. 56, 66, 71 e 75 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo vigente ratione temporis), in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., rilevando che:
– in base alla previsione generale di cui all’art. 75, comma 1, t.u.i.r., il regime fiscale degli interessi di mora è regolato dal principio di competenza, essendo pertanto irrilevante il loro mancato incasso;
– l’art. 71, comma 6, dello stesso testo unico atitribusce al contribuente, che abbia evidenziato in contabilità il credito per interessi, per il caso di difficoltà di realizzo, di svalutarli appostandoli in apposito fondo e così rinviare la tassazione al momento dell’eventuale incasso;
– non essendo ciò stato fatto nel caso di specie, la C.T.R. avrebbe dovuto considerare pienamente legittimo il recupero a tassazione, non potendo di contro rilevare nemmeno la rinuncia al credito a fini transattivi, essendo condizionata la deducibilità della perdita sui crediti per interessi di mora al descritto meccanismo di cui all’art. 71, comma 6, t.u.i.r., previa evidenziazione del credito in bilancio (in mancanza della quale difetterebbe il requisito di certezza e precisione della deduzione in discorso);
– l’affermazione contenuta in sentenza, secondo cui l’Ufficio avrebbe dovuto comunque tener conto, nell’accertamento, del costo rappresentato dall’ammontare delle penali maturato a carico della società costruttrice, ancorché non esposto in bilancio, in quanto risultante dal contratto, postula erroneamente la deducibilità di tali passività nell’esercizio di competenza, anziché in quello in cui le stesse risultano effettivamente pagate.
2. Occorre preliminarmente rilevare che è infondata l’eccezione — opposta nel controricorso — di inammissibilità del ricorso discendente dalla nullità della relativa notifica in quanto effettuata presso la sede legale della società e presso la residenza privata del difensore della stessa, anziché presso lo studio professionale di quest’ultimo eletto come domicilio.
Ed infatti, secondo prevalente e qui condivisa interpretazione dell’art. 330, comma primo, secondo periodo, cod. proc. civ., applicabile al processo tributario in forza del richiamo operato dall’art. 62 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (v. Cass. Sez. U. 20/07/2016, n. 14916), i luoghi ivi indicati («presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio») ove eseguire la notifica dell’impugnazione — nel caso, che nella specie ricorre, in cui non si verifichi la condizione prevista nel primo periodo dello stesso comma (dichiarazione di residenza o elezione di domicilio, contenuta nell’atto di notificazione della sentenza, nella circoscrizione del giudice che l’ha pronunciata, nel qual caso l’impugnazione deve essere notificata nel luogo indicato) — devono ritenersi tra di loro alternativi, dovendosi escludere che la norma prescriva un tassativo ordine di successione, anziché un concorso (v. ex multis Cass. 04/02/2015, n. 1972; Cass. 02/07/2009, n. 15523; Cass. 03/08/2007, n. 17137; Cass. 31/07/2007, n. 16925; Cass.17/11/2006, n. 24502; Cass. 18/10/2004, n. 20392).
Conseguentemente — non essendo da alcuna delle parti affermato che la sentenza di secondo grado fosse stata notificata all’Ufficio, e che nell’atto di notifica fosse stato indicato un indirizzo diverso, o che la contribuente avesse dichiarato nel giudizio d’appello una residenza diversa da quella in cui l’impugnazione gli fu notificata — la notifica del ricorso erariale deve ritenersi perfettamente rituale, sia in quanto eseguita presso il procuratore costituito ma in uno studio diverso da quello indicato nella elezione di domicilio (sul tema specifico v. in particolare Cass. Sez. U. 03/04/1980, n. 2152), sia in quanto eseguita presso la sede legale della società. Peraltro l’eventuale nullità di tale notifica dovrebbe comunque considerarsi sanata per effetto, ex tunc, dell’attività difensiva svolta, con il deposito del controricorso, dalla parte intimata, secondo il principio generale dettato dall’art. 156, comma secondo, cod. proc. civ. (v. Cass. n. 19702 del 2011; n. 1156 del 2008).
3. L’unico motivo di ricorso — con il quale a ben vedere vengono mosse distinte censure, riguardanti le diverse ragioni poste a fondamento della decisione impugnata — è in parte infondato, in altra parte inammissibile.
3.1. Ed invero, all’affermazione contenuta in sentenza, costituente autonoma ratio decidendi — secondo cui l’art. 75, comma 4, t.u.i.r. (vigente ratione temporis) avrebbe comunque imposto di tenere conto, nell’accertamento, della componente negativa di reddito (pari all’ammontare degli interessi attivi di mora e come tale idonea ad azzerarne la valenza incrementativa del reddito imponibile) rappresentata dalla penale contrattuale maturata, nello stesso anno, per il ritardo nella consegna delle navi commissionate, in quanto anch’essa risultante da elementi certi e precisi desumibili dalla stessa pattuizione contrattuale dalla quale sono desunti gli interessi attivi di mora oggetto di recupero fiscale — l’Agenzia ricorrente contrappone il rilievo che si tratterebbe di passività non deducibili, in quanto non ancora effettivamente sopportate.
Tale rilievo è infondato. Esso postula, invero, l’imputazione di tali passività secondo criterio di cassa: assunto, questo, privo però di fondamento sistematico, posto che nessuna norma autorizza una deroga, per esse, ai criteri d’imputazione per competenza fissati dall’art. 75 t.u.i.r. per tutti i componenti positivi e negativi del reddito d’impresa. Per altro verso non può dubitarsi della loro deducibilità ancorché non formalmente imputate al conto dei profitti e delle perdite relativo all’esercizio di competenza, trattandosi di ipotesi pienamente riconducibile alla previsione di cui all’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 75 t.u.i.r., a mente del quale «le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e altri proventi, che pur non risultando imputati al conto dei profitti e delle perdite concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi …».
Ed invero, come in fattispecie analoga questa Corte ha già avuto modo di evidenziare, le penalità contrattuali per ritardata consegna alla clientela, stabilite in base all’art. 1382 cod. civ. — per la natura di patto accessorio del contratto, inidoneo ad interrompere il nesso sinallagmatico — non hanno finalità sanzionatorie o punitive ma, assolvendo la funzione di rafforzare il vincolo negoziale e predeterminare la misura del risarcimento in caso d’inadempimento, sono inerenti all’attività d’impresa (Cass. 27/09/2011, n. 19702).
3.2. Discende da ciò l’inammissibilità delle restanti censure — investenti gli altri concorrenti fondamenti giustificativi della sentenza impugnata, rappresentati dalla esclusa assoggettabilità ad imposta degli interessi attivi di mora in quanto non effettivamente incassati e, comunque, pattiziamente rinunciati — atteso che, ancorché se ne debba riconoscere la fondatezza (v., in argomento, Cass. 23/04/2014, n. 9152), non possono comunque condurre all’accoglimento del ricorso, trovando la decisione impugnata distinto e autonomo fondamento nell’altra vista ratio decidendi.
4. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dell’amministrazione ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
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