CORTE di CASSAZIONE ordinanza n. 18204 depositata il 24 luglio 2017
Massima:
Per gli atti assoggettati al requisito di forma dell’atto pubblico – sotto pena di nullità – le controdichiarazioni – in un accordo simulatorio – per raggiungere gli effetti che sono loro propri non richiedono la forma dell’atto pubblico, poichè hanno un’obbiettività giuridica diversa dalle mutazioni dei patti, giacchè mentre questi ultimi implicano un nuovo accordo – modificativo del precedente, realmente voluto e concluso – ed esigono pertanto, ad substantiam, l’atto pubblico al pari dell’atto modificato, le controdichiarazioni rappresentano invece il documento atto a constatare e a dare la prova della simulazione di un patto, e sono, quindi, destinate a rimanere segrete tra le parti. Pertanto, la prova della parziale simulazione soggettiva di una donazione non richiede anch’essa l’atto pubblico, ma può essere fornita mediante una semplice controdichiarazione sottoscritta dalle stesse parti o da quella contro cui questa è prodotta.
Testo:
P.G. conveniva in giudizio Mi.Gr. per sentir dichiarare la simulazione di una donazione obnuziale in data 25.11.1997 e di una vendita in data 24.1.1998, entrambe compiute dall’attrice stessa, aventi ad oggetto beni immobili situati in (XXXXX), acquirente in entrambi i casi la M.. A sostegno della domanda, due controdichiarazioni, ciascuna coeva all’atto di riferimento, riportate su di un unico foglio sottoscritto dalla convenuta. In entrambe si affermava che i due trasferimenti immobiliari dovevano intendersi effettuati anche in favore del figlio della donante, C.A., che si sarebbe poi unito in matrimonio con la M.. Quanto alla donazione, vi si precisava che la scrittura stessa, nell’ipotesi di suo mancato riconoscimento giuridico, avrebbe dovuto considerarsi priva di effetti, con il conseguente permanere della piena titolarità del bene alla donante. L’attrice precisava che siffatta intestazione dei beni si era resa necessaria essendo il figlio oberato di debiti; e chiedeva che sia la donazione sia la vendita fossero dichiarate prive di effetti ovvero annullate.
Resisteva in giudizio Mi.Gr., che chiedeva il rigetto della domanda e, in subordine e limitatamente alla sola compravendita, che l’immobile fosse dichiarato acquistato sia da lei che da C.A..
Il contraddittorio era integrato nei confronti di lui, che nel costituirsi in giudizio aderiva alla domanda della madre, chiedendo che fosse riconosciuta l’efficacia dell’atto di vendita dissimulato in suo favore quale soggetto acquirente.
Entrambe le domande erano respinte in primo grado dall’adito Tribunale di Tivoli, e in secondo grado dalla Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3892/13 resa nei confronti di C.A. anche quale erede della madre.
Riteneva la Corte distrettuale che nessuna delle parti attrice e chiamata in causa aveva “chiesto di accertare la simulazione relativa della donazione, dichiarando che la stessa era stata effettuata in favore del figlio della donante, con conseguente riconoscimento del bene in oggetto anche nella sua contitolarità, nè di accertare la simulazione relativa e dichiarare che la compravendita era stata effettuata anche in favore del C. con conseguente riconoscimento del bene anche nella con titolarità di quest’ultimo”. Di conseguenza era inammissibile, per il divieto di cui all’art. 345 c.p.c., la domanda d’inefficacia della donazione per l’avverarsi della condizione risolutiva apposta nella “scrittura privata in data 25 novembre 1997”.
Nel merito, riteneva che l’appellante non avesse provato la simulazione assoluta della donazione, giacchè la controdichiarazione del 25.11.1997 recava manifestato l’intento di ritenere beneficiati entrambi i futuri coniugi. Solo che, per quanto concernente C.A., tale atto non poteva produrre gli effetti della donazione in quanto privo della forma dell’atto pubblico, richiesta ad substantiam dall’art. 782 c.c..
Quanto alla vendita, la parte attrice non aveva provato che essa dissimulasse una donazione. E che anche a non considerare la quietanza di avvenuto pagamento del prezzo rilasciata dalla P. alla M., e a tener fede, invece, alle dichiarazioni rese in sede penale da quest’ultima (che aveva ammesso di non aver pagato l’immobile non avendo ella disponibilità di denaro, salvo aggiungere che il prezzo l’avrebbe pagato il marito poco per volta col proprio lavoro cui contribuiva la stessa M.), osservava che il mancato pagamento era un inadempimento ma non per questo prova della simulazione.
Per la cassazione di tale sentenza C.A. ricorre sulla base di quattro motivi.
Resiste con controricorso M.G..
Attivato il procedimento camerale ex art. 380 bis c.p.c., comma 1, inserito, a decorrere dal 30 ottobre 2016, dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis, comma 1, lett. f), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197, la parte controricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. – Il primo motivo deduce la violazione degli artt. 112, 345 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, perchè la Corte d’appello avrebbe dovuto pronunciarsi sulla domanda di simulazione relativa soggettiva sia della donazione che della vendita, su cui si era già pronunciato il giudice di primo grado pur rigettandola. Di conseguenza, la Corte territoriale, lì dove ha ritenuto che tale domanda fosse nuova e dunque inammissibile ex art. 345 c.p.c., ha violato il giudicato interno formatosi sull’ammissibilità di essa.
2. – Il secondo motivo, riguardante la simulazione soggettiva della vendita, denuncia la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, e la violazione dell’art. 1414 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto non può considerarsi nuova in appello una domanda di simulazione relativa soggettiva, quando in primo grado la parte attrice abbia dichiarato di estendere gli effetti del contratto ad un altro soggetto. Nello specifico, si sostiene, C.A. in primo grado aveva chiesto estendersi gli effetti della vendita in suo favore, sicchè la domanda riproposta in appello non poteva ritenersi nuova.
3. – Col terzo motivo è dedotta la violazione degli artt. 2697 e 2733 c.c., e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, nonchè la violazione degli artt. 769, 1470, 782 e 1414 c.c., e L. n. 89 del 1913, artt. 47 e 48, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non aver la Corte territoriale considerato che la dichiarazione di M.G. di non aver pagato il prezzo, non avendo ella disponibilità di denaro, costituiva una tipica confessione stragiudiziale. Pertanto, la Corte d’appello avrebbe dovuto rilevare che la vendita dissimulava una donazione e che quest’ultima era nulla per difetto di forma, non avendo assistito all’atto due testimoni, previsti dalla legge notarile.
4. – Il quarto motivo allega la violazione dell’art. 1414 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e l’omesso esame d’un fatto decisivo e discusso dalle parti, lì dove la Corte d’appello ha ritenuto, in rapporto alla donazione, che la controdichiarazione dovesse essere assistita dal medesimo requisito di forma solenne prescritto per il contratto simulato.
5. – I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per la comunanza della questione che pongono, sono fondati.
Qualora il giudice di primo grado abbia pronunciato su una domanda o eccezione e la pronuncia sia stata impugnata nel merito da una parte, senza che l’altra abbia formulato una contrapposta impugnazione per sostenere che il primo giudice non avrebbe dovuto pronunciarsi perchè la domanda o eccezione non erano state ritualmente proposte, il giudice di appello non può omettere di pronunciare nel merito della stessa domanda o eccezione, argomentando che esse, non ritualmente proposte in primo grado, non avrebbero potuto trovare ingresso innanzi a lui (Cass. n. 8869/12).
Nello specifico, il Tribunale di Tivoli ebbe espressamente a pronunciarsi sulla domanda di simulazione relativa soggettiva sia della donazione che della vendita, tant’è che rigettò entrambe nel merito. Con la conseguenza che la Corte territoriale non poteva rilevarne la novità in appello, poichè in difetto di un’impugnazione incidentale condizionata della M. sull’ammissibilità delle due domande di simulazione soggettiva si era formato il giudicato interno. L’appellata, infatti, si era limitata ad eccepire la novità ex art. 345 c.p.c. di tali domande, criticando in tal modo non la sentenza di primo grado, ma l’ammissibilità dei motivi di gravame e, dunque, l’atto difensivo della controparte.
6. – L’accoglimento delle suddette censure, imponendo di riesaminare una delle due domande alternative inerenti alla medesima vendita, assorbe l’esame del terzo mezzo che a quest’ultimo contratto si riferisce.
7. – Anche il quarto motivo è fondato.
Questa S.C., in un suo lontano precedente (sentenza n. 3605/71) riferito alla modifica di convenzioni matrimoniali, soggette tanto nel c.c. del 1865 quanto nel c.c. vigente (in allora ed oggi) al requisito di forma dell’atto pubblico sotto pena di nullità, ebbe occasione di chiarire che le controdichiarazioni per raggiungere gli effetti che sono loro propri non richiedono la forma dell’atto pubblico, poichè hanno un’obbiettività giuridica diversa dalle mutazioni dei patti, giacchè mentre queste ultime implicano un nuovo accordo, modificativo del precedente, realmente voluto e concluso, ed esigono pertanto, ad substantiam, l’atto pubblico al pari dell’atto modificato, le controdichiarazioni rappresentano invece il documento atto a constatare e a dare la prova della simulazione di un patto, e sono, quindi, destinate a rimanere segrete tra le parti.
Cambiando ciò che v’è da cambiare nella fattispecie e in rapporto al motivo in esame, è agevole ribadire il medesimo concetto di base, attraverso il seguente principio di diritto che si formula ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1: “dall’ art. 1417 c.c., si ricava che la prova della simulazione tra le parti soggiace ad un requisito di forma scritta ad probationem tantum, non anche a quello solenne ed ulteriore eventualmente richiesto ad substantiam per l’atto della cui simulazione si tratta. Pertanto, la prova della parziale simulazione soggettiva di una donazione non richiede anch’essa l’atto pubblico, ma può essere fornita mediante una semplice controdichiarazione sottoscritta dalle stesse parti o da quella contro cui questa è prodotta”.
8. – La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che nel provvedere ad un rinnovato esame di merito si atterrà al principio di diritto enunciato nel paragrafo precedente e regolerà altresì le spese di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso, assorbito il terzo, e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che provvederà anche sulle spese di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2017
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