CORTE di CASSAZIONE ordinanza n. 20499 depositata il 29 agosto 2017
RILEVATO
che con sentenza in data 13 gennaio 2011 la Corte d’Appello di Roma, rigettando l’appello proposto da Trenitalia S.p.A., ha confermato la decisione del Tribunale che aveva parzialmente accolto la domanda proposta da M. C. nei confronti della società e condannato la stessa a corrispondere al lavoratore la complessiva somma di euro 5.028,4 a titolo di indennità per mancato preavviso, oltre accessori e rifusione delle spese di lite;
che avverso tale decisione Trenitalia S.p.A. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi, al quale ha opposto difese M. C. con controricorso notificato il 21 marzo 2012;
CONSIDERATO
che, confermando la decisione di primo grado, il giudice d’appello ha condiviso l’orientamento del Tribunale, che aveva ritenuto nulla la clausola del CCNL che consentiva alla società di risolvere il rapporto di lavoro al compimento dell’età pensionabile del dipendente senza corresponsione dell’indennità di preavviso, statuendo che l’indennità fosse comunque dovuta, anche se decurtata dell’importo corrispondente al periodo di dieci giorni, per essere stato comunicato il recesso dieci giorni prima che il ricorrente raggiungesse il limite di età contrattualmente previsto;
che Trenitalia S.p.A. ha dedotto, con i primi tre motivi, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2118 e 2119 cod. civ., dell’art. 48 CCNL del 16 aprile 2003, dell’art. 4 della legge n. 108 del 1990, nonché, con il quarto, la violazione degli artt. 6 nt2nOiV4’della legge n. 604 del 1966 e 18 della legge n. 300 del 1970;
che primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto involgenti le medesime norme sotto diversi profili;
che la Corte territoriale ha ritenuto nullo per contrasto con norma inderogabile l’art.48 comma 4 del CCNL Ferrovie del 16 aprile 2003, secondo cui nel caso di compimento dei limiti di età e di servizio la risoluzione del rapporto avviene senza obbligo per l’azienda di dare preavviso o di erogare la corrispondente indennità sostitutiva;
che la società ricorrente ritiene che l’inderogabilità dell’art. 2118 cod. civ. debba riterersi limitata al diritto di entrambe le parti di recedere dal rapporto di lavoro, per contrasto con l’art. 1373 cod. civ. e vada, invece, esclusa per la parte dell’art. 2118 cod. civ. che prevede, in caso di recesso, un obbligo di preavviso;
che Trentalia S.p.A. sostiene, inoltre, la piena validità della disposizione contrattuale collettiva per la espressa previsione di una condizione di favore per il dipendente, non potendo interpretarsi come rinunzia preventiva del lavoratore al diritto di esercitare l’opzione del proseguimento del rapporto di lavoro fino al raggiungimento della massima età contributiva;
che nell’ambito dei rapporti di natura privatistica, in assenza dell’esercizio del diritto di opzione da parte del lavoratore di cui all’art. 6 del decreto legge 22 dicembre 1981, n. 791 – che si inserisce in un regime contrattuale complessivamente di maggior favore – non ricorre l’ipotesi cui all’art. 4, comma 2, della legge 11 maggio 1990 n. 10E, secondo cui le disposizioni di cui all’art. 18 della legge n. 300 del 1970 si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni, in possesso dei requisiti pensionistici, che abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 6 D.L. n. 791/81, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 54/82 (in questi termini, Cass. n. 1743 del 2017);
che, nella specie, con lettera del 5 novembre 2003 (sottoscritta per ricevuta il 1° dicembre), la società ricorrente ha comunicato a M. C. che “il suo rapporto di lavoro con la società Trenitalia S.p.A. verrà risolto ai sensi dell’art. 48.4 dei CCNL delle Attività Ferroviarie per limiti di età e di servizio con decorrenza 11 dicembre 2003 (ultimo giorno di lavoro 10/12/2003);…..e 3 I/ t.lesta Corte, in fattispecie sostanzialmente analoghe alla presente, in diverse occasioni ha ritenuto che la comunicazione del datore di lavoro di collocamento a riposo del dipendente, in forza della clausola contrattuale di automatica risoluzione del rapporto di lavoro al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, non integra una ipotesi di recesso datoriale, ma si estrinseca esclusivamente nella volontà del datore di avvalersi di un meccanismo risolutivo previsto in sede di autonomia negoziale (Cass. n. 27425 del 2014; Cass. n. 4187 del 2013; Cass. n. 22427 del 2004; Cass. n. 137 del 2003);
che secondo tale impostazione, per conseguenza, non compete al lavoratore il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso;
che deve quindi ritenersi che la mera comunicazione datoriale in data 11 dicembre 2003 di collocamento a riposo del dipendente per raggiungimento del limite di età non può interpretarsi come comunicazione di licenziamento;
che, nella specie, il datore di lavoro, per ragioni di maggior chiarezza e sicurezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, ha comunicato anticipatamente al dipendente che il rapporto sarebbe cessato ai sensi dell’art. 48 del CCNL per limiti di età e di servizio, ma tale comunicazione non può reputarsi espressione di un licenziamento, come ritenuto invece, dal giudice di appello, non essendo individuato alcun elemento divErso ed ulteriore rispetto al mero richiamo del meccanismo risolutivo previsto dalla clausola collettiva e connesso al raggiungimento dell’età pensionabile;
che, quindi, dovendo escludersi la configurabilità nella comunicazione inviata dalla società ricorrente di un atto dì recesso datoriale viene meno il diritto alla indennità sostitutiva del preavviso, difettando le finalità sottese alla disposizione di cui all’art. 2118 cod. individuabili, da un lato, nell’esigenza di impedire che il lavoratore si trovi improvvisamente e contro la sua volontà di fronte ad un immotivato recesso datoriale e, per conseguenza, versi in una imprevista situazione di disagio economico, e, dall’altro, in quella di consentire che il lavoratore stesso disponga di un tempo adeguato per fronteggiare la cessazione del rapporto di lavoro e di organizzare la propria esistenza nell’imminenza di essa anche mediante ricerca ella cessazione del rapporto di lavoro (in questi termini, Cass. n. 1743 del 2017)
che il quarto motivo concernente la natura del termine decadenziale previsto per l’impugnazione del licenziamento illegittimo dall’art. 6 della legge n. 604 del 1966, deve ritenersi assorbito, non vertendosi in tema di licenziamento, bensì di cessazione del rapporto per cause legate a dati obiettivi e prevedibili quale il raggiungimento dell’età pensionabile;
che, quindi, il ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata;
che non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, talché la causa va decisa nel merito ex art. 384, comma 2, cod. proc. civ., con il rigetto della domanda proposta dal M.;
che gli esiti dei giudizi di merito che hanno deciso la controversia in senso difforme alla decisione di questa Corte, giustificano la compensazione delle spese dell’intero processo
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso. Assorbito il quarto. Cassa la sentenza e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da C. M..
Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.
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