CORTE di CASSAZIONE ordinanza n. 6244 del 10 marzo 2017
Rilevato che:
-L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti di I. C. (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 35/10/2012, depositata in data 11/04/2012, con la quale
– in controversia concernente l’impugnazione dell’avviso di accertamento n. “RCB020200905”, emesso, a carico del contribuente, in qualità di legale rappresentante e socio della società di fatto “C. M. ed I. C.”, esercente attività di impresa edile, per maggiori IRPEG, IRAP ed IVA dovute in relazione all’anno d’imposta 2003, a fronte di maggiori ricavi solo apparentemente riconducibili alle società T. srl ed I. srl,
– è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva solo parzialmente accolto (limitatamente al riconoscimento anche dei costi sostenuti rispetto ai maggiori ricavi accertati) il ricorso del contribuente.
– In particolare, i giudici d’appello, nell’accogliere il gravame del contribuente, hanno annullato l’atto impositivo per insufficiente motivazione, non essendo stato allegato, allo stesso avviso, il Processo Verbale di Constatazione, redatto in occasione di una verifica fiscale effettuata nel 2006 presso i locali della società di fatto, P.V.C. solo successivamente, nel corso del giudizio, prodotto dall’Ufficio. – a seguito di deposito di relazione ex art.380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti, il controricorrente ha depositato memoria ed il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata;
Considerato che:
1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., degli artt.42, comma 2°, lett.d) DPR 600/1973, 56, comma 6°, DPR 633/1972 e 7, comma 1, della 1.212/2000, avendo la C.T.R. ritenuto la carenza di motivazione dell’atto sul solo presupposto dell’omessa allegazione del P.V.C., senza verificare se, nell’atto, fosse stato o meno riprodotto il contenuto essenziale dello stesso P.V.C. e senza tener conto della conoscibilità del suddetto atto da parte del contribuente, il quale si era rifiutato di formarlo e prenderlo in consegna.
Con il secondo motivo, la ricorrente articola un vizio di insufficiente motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c., su fatto decisivo e controverso, rappresentato dalla sussistenza o meno di una valida motivazione dell’avviso di accertamento. Infine, con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., degli artt. 42, comma 2°, lett.d) DPR 600/1973, 56, comma 6°, DPR 633/1972, 7, comma 1, della 1.212/2000 e 2697 c.c., avendo la C.T.R. ritenuto di annullare l’atto impositivo, per mancata possibilità del contribuente di esercitare compiutamente il diritto di difesa, malgrado il P.V.C. fosse stato comunque prodotto dall’Ufficio nel corso del giudizio.
2. Preliminarmente, deve rilevarsi che il procedimento n. 11219/2012, indicato dall’Agenzia delle Entrate, nella premessa del presente ricorso per cassazione, come avente ad oggetto il medesimo avviso di accertamento (oltre ad altri quattro avvisi, relativi agli anni d’imposta 1999, 2000, 2002 e 2004, le cui impugnazioni erano state nel suddetto procedimento riunite), impugnato due volte da; contribuente, è stato già definito da questa Corte con ordinanza n. 11764/2014, con la quale è stata dichiarata, in applicazione del principio di diritto espresso dalle S.U. di questa Corte con la sentenza n. 14815/2008, la nullità dell’intero giudizio, per violazione del litisconsorzio processuale tra soci e società di persone, in quanto al giudizio “non aveva partecipato la società e l’altro socio”, con rimessione della causa alla C.T.P. di Roma.
– Trattasi di giudicato formale (e non sostanziale), che ha definito il giudizio sulla base di un presupposto processuale, non entrando nel merito della lite, con la conseguenza che esso ha effetto limitato al rapporto processuale nel quale la pronuncia è stata emanata e non preclude la riproposizione della domanda in altro giudizio (Cass. 7303/2012).
– Allo stato, non risulta una situazione di litispendenza, in relazione alla riassunzione del suddetto giudizio (avente ad oggetto l’impugnazione, sì ripete, anche dell’avviso di accertamento in questo giudizio impugnato) (cfr. Cass. S.U. 27846/2013: “A norma dell’art. 39, primo comma, cod. proc. c:iv., qualora una stessa causa venga proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito è tenuto a dichiarare la litispendenza, anche se la controversia iniziata in precedenza sia stata già decisa in primo grado e penda ormai davanti al giudice dell’impugnazione, senza che sia possibile la sospensione del processo instaurato per secondo, ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ. o dell’art. 337, secondo comma, cod. proc. civ., a ciò ostando l’identità delle domande formulate nei due diversi giudizi”).
3. Tanto premesso, va rilevato, anche nel presente giudizio (avente ad oggetto impugna L. di avviso di accertamento a – carico della società, proposta dall’I., in qualità di legale rappresentante e socio della società di fatto “I. C. e C. M.”), pronunciando sul ricorso, che, in tema di contenzioso tributario, l’impugnazione dell’avviso di accertamento relativo ad IRPEG, IRAP ed IVA contestuale (Cass. 12236/2010; Cass.n 2094/2015; Cass. 21340/2015 e Cass. 5844/2016), dovute dalla società di persone, riguarda inscindibilmente anche tutti i soci, atteso il principio dell’unitarietà, su cui si basa la rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone (e delle società di fatto, cui si applica il regime delle prime) e, di conseguenza, dei soci, con automatica imputazione dei redditi a ciascuno di essi, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla loro percezione, sicché il giudizio è affetto da nullità assoluta, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, in caso di mancata integrazione dei contraddittorio nei confronti di tutti soci, che sono litisconsorti necessari.
– Nella specie, il giudizio verte sulla configurabilità o meno di una società di fatto tra l’I. ed il C., ai fini della pretesa tributaria dell’Ufficio, che da tale presupposto scaturisce, e va anche fatta applicazione dell’indirizzo di questa Corte, secondo il quale ogni controversia che riguarda la composizione stessa del gruppo sociale comporta il litisconsorzio processuale tra tutti i soggetti coinvolti, non potendo la decisione conseguire il suo scopo se non resa nei confronti di tutti questi soggetti (Cass. 5119/2004; Cass.12172005; Cass. 14387/2014).
– In definitiva, la ravvisabilità di una società di fatto tra I. ed il C. è senz’altro comune strutturalmente al C., il quale invece non ha partecipato al giudizio.
3. Per tutto quanto sopra esposto, pronunciando sul ricorso, va dichiarata la nullità dell’intero giudizio e cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.P. di Roma, per nuovo esame, previa integrazione del contraddittorio con l’altro socio e la società. Sussistono giusti motivi, considerato lo sviluppo processuale della vicenda, per disporre ia compensazione delle spese processuali dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara la nullità dell’intero giudizio, con rinvio alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma per nuovo esame a contraddittorio integro; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese processuali dell’intero giudizio.
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