CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 giugno 2017, n. 13875

Società – Società per azioni – Delibera che ha mutato il “quorum” per le assemblee straordinarie – Facoltà di recesso del socio ex art. 2437 lett. g) del c.c. – Esclusione

Fatti di causa

1. – M.E., G.I. e G.G. hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Bergamo M.F. S.p.A. chiedendo dichiararsi la legittimità del proprio recesso dalla società come conseguenza della deliberazione del 17 dicembre 2007 con cui la società aveva adottato un nuovo statuto che, in difformità dal passato, prevedeva per l’assemblea ordinaria e straordinaria quorum deliberativi conformi alla previsione degli articoli 2368 e 2369 c.c., mentre era in precededenza previsto che sia in prima che in seconda convocazione l’assemblea ordinaria e straordinaria deliberassero rispettivamente con la maggioranza del capitale e con quella dei due terzi.

2. – Nel contraddittorio con la società, che ha resistito alla domanda, il Tribunale adito l’ha accolta.

3. – Con sentenza del 30 settembre 2014 la Corte d’appello di Brescia ha accolto l’impugnazione proposta da M.F. S.p.A., rigettando l’appello incidentale delle originarie attrici nonché le domande da queste ultime inizialmente spiegate, e regolando le spese di lite.

A fondamento della decisione la Corte territoriale ha posto una duplice ratio decidendi osservando:

-) che nelle società per azioni l’esercizio del diritto di recesso produce un depauperamento del capitale sociale e costituisce fatto negativo anche per i creditori sociali, il che induce a ritenere tassative le ipotesi di recesso, con conseguente necessità di interpretazione restrittiva dell’articolo 2437 c.c., costituendo il diritto di recesso del socio eccezione al principio generale dell’obbligatorietà per tutti i soci delle deliberazioni assembleari; che il diritto di voto di cui alla lettera g dell’articolo 2437 c.c. va pertanto riferito al voto statutariamente attribuito a ciascuna azione, mentre il diritto di partecipazione concerne l’aspetto patrimoniale relativo agli utili che ciascuna azione attribuisce; che, per converso, il mutamento del quorum deliberativo in assemblea, che attiene alla formazione della maggioranza, non incide se non indirettamente sul diritto di voto e di partecipazione, sicché la delibera che, come quella in esame, abbia mutato il quorum deliberativo, non legittima il recesso;

-) che, nel caso di specie, occorreva ulteriormente considerare che la modifica dei quorum deliberativi non aveva ridotto sensibilmente il peso delle azioni delle originarie attrici, come dalle stesse sostenuto, dal momento che queste ultime, anche considerate cumulativamente, rappresentavano meno del terzo ovvero della metà dell’intero sia prima che dopo la modifica statutaria.

4. – Per la cassazione della sentenza M.E., G.I. e G.G. hanno proposto ricorso affidato ad un solo articolato motivo.

M.F. S.p.A. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. – Il ricorso contiene un solo motivo svolto sotto la rubrica: «Violazione o falsa applicazione dell’articolo 2437, comma primo, lettera g del codice civile. Violazione dell’articolo 12 delle disposizioni sulla legge in generale».

Secondo le ricorrenti, le quali hanno richiamato talune opinioni dottrinali conformi alla soluzione da esse patrocinata, la Corte d’appello avrebbe in breve errato nel l’afferma re l’esigenza di interpretare restrittivamente il precetto stabilito dalla lettera g della disposizione richiamata in rubrica in funzione dell’esigenza di circoscrivere l’effetto di depauperamento del capitale sociale che l’esercizio del diritto di recesso comporta, con conseguente pregiudizio per i creditori sociali.

2. – Il ricorso va respinto, quantunque il ragionamento svolto dalla Corte territoriale debba essere in buona parte emendato.

2.1. – Come si è visto in espositiva, la motivazione addotta dal giudice di merito, per quanto riguarda la prima delle due distinte rationes decidendi adottate (la seconda, come si avrà modo di accennare, è del tutto priva di fondamento), procede secondo il seguente iter logico:

i) la disciplina del recesso del socio ha da essere interpretata in senso restrittivo, sia perché costituisce deroga al principio generale per effetto del quale il contratto ha forza di legge tra le parti, sia perché il recesso comporta un depauperamento della società, depauperamento che, in definitiva, nuoce ai creditori della società stessa;

ii) il recesso non può dunque essere ammesso in caso di modificazione del quorum deliberativo giacché in tale ipotesi si verifica una lesione meramente indiretta del diritto di voto, la quale va a collocarsi al di fuori della portata precettiva della norma.

Ritiene invece la Corte che la questione debba essere impostata nei termini seguenti.

2.2. – L’articolo 2437 c.c. riconosce il diritto di recedere ai soci di società per azioni i quali non abbiano concorso alla formazione di deliberazioni riguardanti, tra l’altro, «le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione».

La disposizione si inserisce nel quadro di una complessiva rivisitazione della disciplina del recesso del socio realizzata attraverso il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, e già perseguita dalla legge delega (legge 3 ottobre 2001, n. 366, recante: «Delega al Governo per la riforma del diritto societario», articolo 4, comma 9, lett. d, e articolo 3, comma 2, lett. f, che prevedeva l’introduzione nello statuto di «ulteriori fattispecie di recesso a tutela del socio dissenziente», individuando criteri di calcolo del valore di rimborso «adeguati alla tutela del recedente», pur salvaguardando «il principio della tutela dell’integrità del capitale sociale e gli interessi dei creditori sociali».

Il legislatore della riforma, sulla scia della legge delega, ha nel complesso inteso ampliare l’ambito in cui può dispiegarsi il diritto di recesso, quale strumento volto a «consentire l’acquisizione di ogni elemento utile per il proficuo svolgimento dell’impresa sociale» (articoli 3, comma 2, lett. c, e 4, comma 5, lett. a, della legge 3 ottobre 2001, n. 366), ed in definitiva ha inteso favorire il disinvestimento allo scopo di promuovere l’investimento in società. Per tale finalità la riforma ha in sintesi introdotto:

-) un ampliamento della legittimazione ad esercitare il recesso, estesa a chiunque non abbia partecipato alla deliberazione;

-) un incremento delle cause legali di recesso, alcune delle quali derogabili dallo statuto, con conseguente flessibilità, in parte, della disciplina;

-) la facoltà, nelle società «chiuse», di introdurre fattispecie di recesso per via statutaria;

-) una scomposizione dell’assetto del diritto di recesso nelle società per azioni, dal momento che il recesso è diversamente disciplinato a seconda si tratti di società per azioni quotate in mercati regolamentati, società per azioni che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio ed altre società per azioni: secondo un orientamento che pare evidentemente volto a consentire il recesso con tanta maggiore facilità, quanto più difficile risulti il disinvestimento attraverso la cessione a terzi della partecipazione;

-) criteri non penalizzanti di liquidazione della partecipazione del socio recedente.

Già da tale variegato nuovo contesto emerge l’inattualità dell’approccio interpretativo formatosi nei riguardi del previgente testo di legge, il quale faceva leva sul carattere di tassatività della previsione legale, orientamento che può riassumersi nella massima secondo cui: «Il diritto di recesso del socio … integra un’eccezione al principio generale della obbligatorietà, per tutti i soci, delle deliberazioni assembleari prese in conformità della legge e dell’atto costitutivo, e, pertanto, non è suscettibile di estensione ad ipotesi diverse da quelle espressamente contemplate» (Cass. 28 ottobre 1980, n. 5790).

Ma, al di là di quanto precede, non tiene più, o almeno è vera solo in parte e non è risolutiva, l’affermazione, in passato ribadita e seguita dalla Corte territoriale, secondo cui la disciplina del recesso andrebbe contenuta giacché essa, così e semplicemente, comporta un depauperamento della società ed in definitiva nuoce agli interessi dei creditori sociali. Ed infatti il verificarsi di un simile depauperamento costituisce mera eventualità e non sicura conseguenza del recesso. Detta disciplina contempla cioè un procedimento di liquidazione nel quale la riduzione del capitale sociale è solo una possibile conseguenza del recesso, dovendo gli amministratori liquidare il socio recedente mediante l’offerta delle azioni in opzione agli altri soci o a terzi, oppure mediante l’acquisto come azioni proprie (articolo 2437 quater c.c.), con l’ulteriore previsione secondo cui solo in assenza di utili e riserve disponibili per l’acquisto delle azioni può procedersi alla riduzione del capitale o allo scioglimento della società, essendo in altri termini affidata la tutela degli interessi dei creditori al procedimento di liquidazione successivo all’esercizio del recesso.

2.3. – Tuttavia l’erroneità dell’argomento svolto dalla Corte d’appello al fine di dimostrare l’esigenza di interpretazione restrittiva del dato normativo non sta a significare che l’interpretazione debba essere condotta nel senso opposto.

La questione del significato dell’espressione «le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione» si presta difatti a soluzioni diverse, come è testimoniato dalla ricognizione della dottrina formatasi al riguardo, piuttosto ampia, la quale pare convergere su un solo punto: e cioè sul rilievo che la formulazione in discorso, soprattutto con riguardo ai diritti di partecipazione, manifesta un certo carattere di ambiguità.

Solo per grandissime linee si possono cioè ricondurre le posizioni della dottrina a due poli, l’uno orientato ad una interpretazione restrittiva, l’altro estensiva: in realtà le opinioni sono assai più diversificate, sia per quanto riguarda la nozione di «diritti di voto», sia per quanto riguarda il rapporto tra essi e i diritti «di partecipazione», sia per quanto riguarda l’estensione di questi ultimi, a volte identificati con i soli diritti economici, a volte con i diritti amministrativi, a volte con entrambi, sia per quanto riguarda il rilievo delle modificazioni che incidono in via «indiretta» sui diritti di voto e di partecipazione, sia per quanto riguarda il rilievo delle modificazioni che incidono soltanto «di fatto» sui medesimi diritti.

2.4. – Ritiene la Corte che la delibera che ha mutato il quorum per le assemblee straordinarie, riconducendolo alla previsione legale, non comporti una modificazione concernente «i diritti di voto o di partecipazione»: ed infatti la disciplina del recesso offre elementi sia letterali che sistematici i quali depongono nel senso dell’interpretazione restrittiva della norma ricordata.

Tale soluzione, d’altronde, appare preferibile al fine di contemperare la tutela del socio con l’interesse conservativo della società e del patrimonio sociale, così da circoscrivere l’ambito di operatività del recesso in ragione degli effetti disgregativi dell ‘exit sul capitale sociale e sulla società.

Effetti che, nell’ottica estensiva, diventerebbero altrimenti pressoché incontrollabili, tanto da estendersi, in buona sostanza, a qualunque modificazione statutaria, la quale a prescindere dal suo contenuto formale, finisse per lambire in qualsiasi modo i diritti di voto o di partecipazione, nella dilatata accezione alla quale si è accennato, così da attribuire ai soci dissenzienti il conseguente diritto di recesso.

2.4.1. – Nel considerare il dato letterale occorre anzitutto raffrontare i diritti di voto con i diritti di partecipazione: se questi ultimi fossero intesi in senso ampio, ossia come comprensivi dei diritti di partecipazione all’amministrazione della società, la menzione dei diritti di voto, nell’espressione tenuta insieme dalla disgiuntiva «o» (diritti di voto «o» di partecipazione) non avrebbe senso, giacché i diritti di voto rappresentano l’aspetto principale dei diritti di partecipazione all’amministrazione della società. Il che impone di ritenere che i diritti di partecipazione debbano essere senz’altro riferiti ai soli diritti di natura economica, dunque ai diritti di partecipazione agli utili.

Ciò consente di escludere che la deliberazione di modificazione del quorum deliberativo per le assemblee straordinarie, adottata in questo caso, possa essere considerata, per i fini del sorgere del diritto di recesso, sotto l’aspetto delle «modificazioni dello statuto concernenti i diritti… di partecipazione».

2.4.2. – Sicché resta da scrutinare il punto se tale deliberazione comporti «modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto».

Sul piano letterale, l’espressione «diritti di voto» non presenta un grado di equivocità paragonabile a quella «diritti … di partecipazione»: essa rinvia cioè essenzialmente al precetto di cui all’articolo 2351 c.c., secondo cui: «Organizzazione attribuisce il diritto di voto», con le eventuali limitazioni ivi previste (azioni senza diritto di voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative; limitazione del diritto di voto in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto; creazione di azioni con diritto di voto plurimo; attribuzione del diritto di voto, entro certi limiti, agli strumenti finanziari di cui agli articoli 2346, sesto comma, e 2349, secondo comma, c.c.).

«Modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto», sul piano letterale, sono dunque anzitutto quelle che intervengono su dette limitazioni.

Nel verificare se il dato letterale così ricostruito si accordi con la ratio che sostiene la norma, va sottolineato, sul piano sistematico, che l’articolo 2437 c.c., come si diceva poc’anzi, consente allo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio di prevedere ulteriori cause di recesso, per l’appunto statutarie. Ma, una volta riconosciuto che il legislatore ha attribuito alla compagine sociale la facoltà di ampliare le ipotesi di recesso, non ha senso patrocinare una lettura eccessivamente elastica della lettera g della disposizione, la quale non si giustifica, visto che la compagine sociale ha oggi acquisito una sovranità in passato inesistente in ordine alla delimitazione del campo di operatività del recesso.

Nello stesso senso, e cioè per una interpretazione restrittiva del dato normativo, depone altresì la stessa intrinseca esigenza di certezza che il precetto normativo per sua stessa natura persegue, certezza indubbiamente funzionale al buon andamento delle società per azioni, le quali devono evidentemente essere poste in condizioni di apprezzare, prima di procedere, quali modificazioni statutarie faranno sorgere il diritto di recesso in capo al socio.

Ora, anche lasciando da parte i diritti di partecipazione, una lettura in senso ampio della lettera g in esame, già solo con riguardo alle modificazioni dello statuto «concernenti i diritti di voto», si estenderebbe ad un numero non solo vasto, ma anche indeterminato di possibili combinazioni. Il che, pare alla Corte, è esattamente l’opposto di quanto voluto dal legislatore, attraverso la creazione di una dettagliata disciplina volta a costruire un adeguato equilibrio dell’interesse della società a circoscrivere l’ambito del recesso e dell’interesse del socio a vedere ampliata la possibilità di disinvestimento.

2.4.3. – La Corte bresciana ha ritenuto che la modificazione del quorum deliberativo previsto per le assemblee straordinarie non sia priva di effetti sul diritto di voto e di partecipazione: tali effetti, tuttavia, sarebbero indiretti, e come tali irrilevanti.

Anche tale passaggio della motivazione svolta nella sentenza impugnata non può essere condivisa. In generale, un’incidenza indiretta delle deliberazioni sui diritti di voto o di partecipazione sembra essere senz’altro configurabile: si immagini, ad esempio, dal versante dei diritti di partecipazione, la delibera che innalzasse l’entità degli utili attribuiti alle azioni privilegiate, giacché in questo caso il diritto di partecipazione agli utili connesso alle azioni ordinarie non verrebbe direttamente toccato, ma verrebbe, per l’appunto indirettamente, colpito dalla deliberazione.

Tuttavia, venendo al nostro caso, e tralasciando i diritti di partecipazione, che, come si è avuto modo di osservare, non subiscono effetti né diretti né indiretti dalla modifica dei quorum, giacché vanno intesi quali diritti di natura economica, vale osservare che, in effetti, la Corte territoriale non ha spiegato perché i diritti di voto, pur non essendo attinti direttamente, sarebbero colpiti indirettamente dalla deliberazione modificativa del quorum menzionato.

Orbene, pare a questa Corte che nel caso esaminato non sia corretto discorrere di incidenza non solo diretta, ma neppure indiretta sul diritto di voto. Guardando al disposto dell’articolo 2351 c.c., incide direttamente sul diritto di voto, ad esempio, la deliberazione che trasforma azioni senza diritto di voto in azioni con diritto di voto, o che modifica l’ambito degli argomenti riguardo ai quali il diritto di voto può essere esercitato, ovvero modifica il numero delle condizioni non meramente potestative cui l’esercizio del diritto di voto è subordinato, e così via. In tal caso l’assetto statutario del voto è modificato, come si diceva, direttamente. Nel caso di modificazione del quorum, invece, i diritti di voto nel loro assetto statutario non sono modificati affatto, né direttamente, né indirettamente, ma permangono immutati: ciò che eventualmente si modifica è il «peso» del voto, che può aumentare o diminuire, in maniera più o meno rilevante, a seconda dei casi. Ma il diritto al voto commisurato alle azioni rimane tutt’affatto immutato.

In questo caso, dunque, si verifica semmai in via di mero fatto un ipotetico pregiudizio del titolare di quel pacchetto azionario che, prima della delibera, poteva condizionare le scelte della società, mentre dopo la delibera non può più farlo perché la modificazione del quorum non glielo consente. Il che è proprio quanto hanno lamentato le originarie attrici, odierni ricorrenti, le quali hanno sostenuto che il «peso» delle loro azioni, per effetto della modifica del quorum, si sarebbe ridotto.

Ma, nel sistema posto dalla lettera g dell’articolo 2437 c.c., il sorgere del diritto di recesso non è affatto collegato ad un qualche pregiudizio per il socio (il che, può qui osservarsi, priva di base la seconda delle rationes decidendo adottata dalla Corte di Brescia), ma discende dal dato oggettivo dell’intervenuta modificazione, come si desume anche dal rilievo che, laddove il legislatore ha inteso commisurare il diritto di recesso ad un deteriore trattamento della posizione del socio lo ha fatto espressamente, come accade nell’ipotesi del diritto di recesso di socio di società soggetta all’attività di direzione e coordinamento di cui all’articolo 2497 quater c.c., il quale discorre di alterazione in modo sensibile delle condizioni economiche e patrimoniali della società ovvero di alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento.

La disposizione in esame, insomma, non guarda ad una non meglio definita incidenza de facto delle modifiche statutarie latamente attinenti a diritti di voto o di partecipazione, tantomeno consentendo di valorizzare la generica idoneità della delibera a ledere gli interessi dell’azionista: e dunque la considerazione delle ricadute sfavorevoli sulla posizione del socio, del tutto estranea alla fattispecie disegnata dal legislatore, non può costituire il punto di partenza di un’interpretazione dilatata della norma tale da comprendervi per tale via anche la delibera di modificazione dei quorum.

Occorre in definitiva che la delibera vada a toccare senz’altro direttamente, e forse anche indirettamente (una presa di posizione sul punto costituirebbe un inopportuno obiter, se è vero che la modificazione del quorum non incide né direttamente né indirettamente sul diritto di voto), il diritto di voto o di partecipazione, non già che genericamente nuoccia all’azionista, senza che detti diritti siano in nessuna misura attinti dalla delibera: di guisa che, come si è premesso, la delibera in discorso non legittima il recesso.

2.5. – A rincalzo della conclusione raggiunta possono ulteriormente svolgersi due osservazioni:

-) se è pur vero, come si è detto in precedenza, che il recesso non comporta necessariamente un depauperamento della società, è altrettanto vero che tale depauperamento può effettivamente verificarsi, il che non può non essere considerato, sia pure in via secondaria, quale elemento volto a rendere preferibile l’interpretazione restrittiva e ad escludere il sorgere del diritto di recesso in caso di delibera di modificazione del quorum;

-) la modificazione del quorum è un evento che non può sorprendere il socio, il che ancora una volta induce a propendere per l’esclusione del diritto di recesso, quale strumento di sua tutela; egli, infatti, quando entra in società, o in determinati passaggi successivi, è in grado di verificare qual è il quorum attuale e quali modificazioni esso potrà per conseguenza eventualmente subire; la qual cosa è particolarmente evidente nel caso di specie, giacché la società aveva originariamente due soci, uno al 60% l’altro al 40%, mentre lo statuto prevedeva la maggioranza semplice per le assemblee ordinarie e quella dei due terzi per le assemblee straordinarie, il che dava luogo ad una situazione del tutto chiara, la quale consentiva al socio maggioritario di prevalere nelle une, ma non nelle altre; morto il socio al 40%, i suoi quattro eredi non hanno mantenuto le azioni in comunione, ma le hanno divise tra loro, così perdendo per loro stessa volontà quel potere di interdizione che prima possedevano, dal momento che al socio al 60% è stato sufficiente allearsi con uno degli eredi del socio defunto per raggiungere la maggioranza che ha consentito di modificare il quorum nel senso indicato.

2.6. – Un’ultima ma non meno importante osservazione va per completezza svolta.

A fondamento della lettura estensiva del diritto di recesso, qui disattesa, sta evidentemente la sensata preoccupazione che la maggioranza possa soggiogare la minoranza abusando dei propri poteri.

Tale preoccupazione, ad una adeguata riflessione, non ha tuttavia ragione di essere. L’interpretazione restrittiva, difatti, non abilita di certo la maggioranza a introdurre modifiche dei quorum deliberativi che non abbiano un obiettivo serio e fondamento nelle esigenze dell’impresa, ma siano specificamente diretta al fine perverso di ridurre il peso delle minoranze.

Ma, nella specie, al di là del fatto che il carattere abusivo della deliberazione sotto detto profilo non è stato neppur dedotto, e che la deliberazione è stata resa possibile dalla stessa condotta delle originarie attrici, resta solo da aggiungere che il carattere abusivo di una deliberazione che ha ricondotto la previsione statutaria a quella legale è evidentemente, fino a prova del contrario, da escludere.

3. – La novità della questione giustifica compensazione integrale di spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese.