CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 marzo 2018, n. 4892
Licenziamento per riduzione del personale – Situazione di crisi non definitiva ed irreversibile – Circostanze concrete di esclusione dal novero dei soggetti da licenziare – Onere di allegazione – Genericità della motivazione – Richiesta di conoscere i motivi del licenziamento
Fatti di causa
Con ricorso al Tribunale di Roma A.S.A.T.A., premesso di essere stata dipendente della società S. srl e successivamente e senza soluzione di continuità della cooperativa L.S. scarl, agiva nei confronti dei datori di lavoro, per quanto in questa sede rileva, per impugnare il licenziamento intimatole in data 22 gennaio 2009 per riduzione del personale.
Il giudice del Lavoro, con sentenza del 21.9.2011 (nr. 14255/2011), respingeva la domanda.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 12.12.2014-14.8.2015 (nr. 104537/2014) , rigettava l’appello della lavoratrice.
La Corte territoriale osservava che nel regime dell’articolo 2 L. 604/1966 applicabile ratione temporis la comunicazione del licenziamento doveva essere specificamene motivata soltanto a fronte di una richiesta del lavoratore: nella fattispecie di causa, in carenza di tale richiesta, la lavoratrice non poteva impugnare il licenziamento per genericità della motivazione.
L’appellante non negava la situazione di crisi posta a fondamento del licenziamento ma affermava essere necessaria la prova della definitività ed irreversibilità della stessa crisi aziendale.
Sotto questo profilo la impugnazione era infondata.
Quanto alla scelta del dipendente da licenziare, il lavoratore aveva un onere di allegazione, almeno embrionale, delle circostanze concrete che comparativamente avrebbe dovuto escluderlo dal novero dei soggetti da licenziare, onere che non era stato assolto, in quanto la lavoratrice aveva dedotto genericamente il mancato rispetto dei principi di correttezza e buona fede .
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la lavoratrice, articolato in tre motivi ed illustrato con memoria; la società S. srl e la cooperativa L.S. scarl sono rimaste intimate.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la parte ricorrente ha dedotto violazione e/o falsa applicazione del principio sull’obbligo di specificità dei motivi di licenziamento.
Ha riprodotto la comunicazione del licenziamento, lamentando la genericità della motivazione della soppressione del posto di lavoro («momentanea difficoltà economica che ha colpito la nr. Società ed il ns. settore»). Ha dedotto che essendo stata comunicata la motivazione contestualmente al licenziamento, non era suo onere farne richiesta nel termine di cui all’articolo 2 L. 604/1966, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata; la Corte territoriale avrebbe dunque dovuto accogliere il motivo d’appello con il quale veniva dedotta la genericità della motivazione.
Il motivo è infondato.
Correttamente la sentenza impugnata ha affermato che la lavoratrice, non avendo richiesto di conoscere i motivi del licenziamento nel termine previsto dall’articolo 2 L. 604/1966, come vigente ratione temporis (nel testo anteriore alle modifiche di cui all’art. 1, comma 37 legge 28 giugno 2012, n. 92) non poteva dolersi della genericità delle ragioni esposte nella comunicazione del recesso, comunicazione che ben avrebbe potuto non contenere affatto la indicazione dei motivi.
La giurisprudenza di questa Corte secondo cui la motivazione del licenziamento deve essere sufficientemente specifica e completa (ex aliis: Cassazione civile, sez. lav., 26/06/2017, n. 15877) è conferente al diverso caso in cui, nel regime dell’articolo 2 legge 604/1966 vigente anteriormente al 18 luglio 2012, il lavoratore licenziato chieda al datore di lavoro la comunicazione dei motivi del recesso; la genericità dei motivi comunicati contestualmente al licenziamento nel predetto regime resta irrilevante, giacchètale ipotesi è sovrapponibile, sotto il profilo della validità formale dell’atto, alla fattispecie del licenziamento non motivato.
2. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’indirizzo giurisprudenziale in materia di prova del giustificato motivo oggettivo.
Ha censurato la sentenza per avere affermato che la domanda non era fondata sulla negazione della crisi aziendale ma sulla sola affermazione che fosse necessaria anche la sua definitività ed irreversibilità.
Ha dedotto l’omesso esame del motivo di appello e sostenuto il mancato assolvimento del datore di lavoro all’onere di provare il giustificato motivo oggettivo, che nella specie doveva identificarsi nella esistenza di perdite non recuperabili nel medio termine e nella comparazione con posizioni lavorative di maggior peso per anzianità di servizio e carico familiare.
Il motivo è inammissibile.
Nella parte in cui assume il mancato esame del motivo di appello la denunzia investe un vizio di omessa pronunzia ex art. 112 cod.proc.civ. ovvero di erronea interpretazione da parte del giudicante della domanda di appello e non già di violazione di principi di diritto; sostiene, infatti, parte ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata «è frutto dell’omessa disamina del motivo di appello dedotto a pag. 4 del ricorso ex articolo 433 cpc.» .
Nei predetti termini il motivo è inammissibile poiché non reca univoco riferimento alla nullità della decisione (cfr. Cass. civ. S. Un. 24/07/2013, n. 17931 ) ovvero ad un fatto non esaminato in sentenza, controverso e di rilievo decisivo, che determinerebbe un vizio di motivazione.
Nella parte in cui sostiene il mancato assolvimento dell’onere della prova a carico del datore di lavoro la censura non indica né la statuizione della sentenza impugnata né le ragioni della impugnazione, in violazione dell’articolo 366 nr. 4 cod. proc. civ. Piuttosto essa sollecita questa Corte a compiere un non consentito riesame della statuizione di merito.
Essa è inoltre inconferente alla ratio decidendi: il giudice dell’appello ha ritenuto non essere contestata con l’atto di impugnazione la esistenza di una situazione economica aziendale sfavorevole e non contingente ed ha ritenuto che detta situazione, definitivamente accertata, integrava il giustificato motivo oggettivo, essendo pacifica la effettività della soppressione del posto di lavoro. In tale affermazione non si ravvisa alcuna violazione di norme di diritto.
Quanto alla esistenza di altre posizioni fungibili da porre in comparazione con la lavoratrice ai fini della scelta dal dipendente da licenziare, il giudice dell’appello ha affermato esservi un onere del lavoratore di allegare le concrete circostanze di fatto in ragione delle quali avrebbe dovuto essere escluso dal novero dei soggetti da licenziare; tale statuizione non è stata specificamente censurata in questa sede.
3. Con il terzo motivo la ricorrente ha denunziato violazione e/o falsa applicazione dell’indirizzo giurisprudenziale circa l’obbligo del repechage nei casi di riassetto organizzativo con soppressione del posto di lavoro.
Ha dedotto che era a carico del datore di lavoro la prova della impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni, equivalenti ed eventualmente inferiori ed ha censurato la sentenza per avere affermato la legittimità del licenziamento senza farsi carico di tale verifica.
Il motivo è inammissibile.
Nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio e non richiedenti accertamenti di fatto o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti ( ex plurimis: Cass. nr 25043 dell’ 11/12/2015; n. 23675 del 18/10/2013; n. 4787 del 26/03/2012, n. 3664 del 21/02/2006) .
La questione della possibilità di collocare utilmente il lavoratore in altre posizioni lavorative disponibili non è stata trattata dalla sentenza impugnata; era pertanto onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, di allegare l’avvenuta deduzione del tema di indagine innanzi al giudice del merito nonché di indicare, in ossequio al principio di specificità del ricorso stesso, l’ atto del giudizio nel quale la questione era stata introdotta.
Tale onere non è stato assolto.
Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.
Nulla per le spese, per la mancata costituzione degli intimati.
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art.1 co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata .
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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