CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 agosto 2017, n. 19201

Tributi locali – TIA – Accertamento – Riscossione – Ricorso – Richiesta di rimborso

Fatti di causa

1. – Con sentenza n. 29/13/2012 la Commissione tributaria regionale della Toscana, rigettava l’appello proposto dalla Q. s.p.a S.A.A.F. (in seguito, «Q.»), soggetto concessionario per la riscossione della T.I.A. per il comune di Firenze, nei confronti della ditta individuale L.S., avverso la sentenza n. 23161/19/2010 della Commissione tributaria provinciale di Firenze, confermando la decisione di accoglimento del ricorso introduttivo proposto dal contribuente, con compensazione delle spese di lite.

Oggetto del ricorso introduttivo è il diniego di rimborso della maggior somma di € 15.802,73, versata a titolo di T.I.A. per gli anni 2005-2008 per l’occupazione di un capannone in Firenze, di cui si eccepisce l’illegittimità per l’erronea attribuzione, ai fini T.I.A., all’immobile di una destinazione ad attività produttiva, in realtà mai svolta.

La CTR, in particolare, ha ritenuto 1. Inammissibile il motivo di appello con cui la Q. ha dedotto l’autonoma impugnabilità delle fatture emesse per la riscossione della T.I.A. e la conseguente acquiescenza prestata dal contribuente nell’effettuare i relativi pagamenti; 2. nel merito, l’erroneità della categoria attribuita all’utente, sulla base della visura camerale prodotta; 3. l’inopponibilità del termine di decadenza per la richiesta di rimborso, peraltro soggetto al termine di prescrizione quinquennale; 4. dichiarava assorbito l’appello incidentale proposto dal contribuente.

2. – Avverso la sentenza di appello, la società ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e notificato il 2 luglio 2012.

3. – L.S. resiste con controricorso notificato il 14 settembre 2012.

Ragioni della decisione

1. – In via preliminare il controricorrente ha eccepito la improcedibilità ed inammissibilità del ricorso in quanto “non risulta richiesta alla cancelleria della Commissione Tributaria Regionale di Firenze la trasmissione del fascicolo d’ufficio e di tutti gli atti processuali”.

L’eccezione è infondata. Sul punto giova ribadire ¡I consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui il mancato deposito dell’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio ex art. 369, commi 2 e 3, cod. proc. civ. determina l’improcedibilità del ricorso solo quando l’esame di detto fascicolo, non allegato agli atti del processo, risulti indispensabile ai fini della decisione della Corte, (cfr da ultimo, Sez. 5, n. 7621/2017; ma, anche, n. 5108/2011; Sez. Un. n. 7869/2001, Sez. Un. n. 764/1995). Nel caso di specie, le indicazioni contenute nel ricorso consentono l’analisi dei motivi di doglianza e la valutazione delle questioni non richiede l’assoluta necessità dell’esame del fascicolo di ufficio.

2. – Con il primo motivo di ricorso la Q. s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., deduce “la violazione e falsa applicazione art. 19, art. 23, 32 D. Legisl. n. 546/1992” in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., nonché “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia”, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, per la dichiarata inammissibilità del motivo di appello relativa alla autonoma impugnabilità delle fatture T.I.A., in quanto questione non dedotta in primo grado. La medesima censura viene, quindi, dedotta sub specie di vizio di motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.

2.2. Il motivo, come articolato dalla ricorrente, è da ritenersi infondato per l’irrilevanza della questione posta.

Infatti, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, l’impugnazione delle fatture emesse T.I.A., atto avente natura impositiva non espressamente indicato dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, costituisce una facoltà e non un onere per il contribuente, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità di impugnazione con l’atto successivo (in tal senso, Cass., sez. 6-5, ord. n. 14675/2016, che ha affermato l’autonoma impugnabilità delle cartelle emesse in seguito a fatture T.I.A.; in senso conforme, sez. 5, n. 2616/2015 e n. 16952/2015).

3. – Con il secondo ed il terzo motivo di ricorso la Q. deduce, sotto un duplice profilo, “la violazione e falsa applicazione degli artt. 21 e 49 D. Legisl. n. 22/1997; la violazione dei principi regolanti la comunicazione e denuncia delle utenze della tariffa igiene ambientale; la violazione degli artt. 5, 24 del regolamento T.I.A. del comune di Firenze; la violazione dei principi regolanti la comunicazione e la denuncia delle utenze e della tassa rifiuti (58-62-70 D. Legisl. n. 507/1993)” in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.

3.1. I motivi, che, in quanto intimamente connessi, possono essere trattati congiuntamente devono essere accolti perché fondati. Parte ricorrente ha, infatti, addotto che – secondo il disposto dell’art. 24, comma 1, del regolamento comunale per la T.I.A. del comune di Firenze “a far data dal 1 gennaio 2005… si assumono come valide le denunce in precedenza prodotte all’Amministrazione Comunale dall’utente”;

– sin dalla seconda fattura T.I.A. erano “espressamente indicati i dati dell’utenza, mq. e categoria ed era inoltre indicato espressamente che l’utente aveva 60 gg. di tempo per presentare eventuali variazioni rispetto ai dati indicati”;

– negli anni successivi (al 2005) nessuna variazione o comunicazione è stata presentata dal contribuente, che solo in data 9 febbraio 2009 ha presentato “richiesta di cessazione con conseguente variazione di categoria”;

– l’art. 5, comma 5, del regolamento comunale in tema di T.I.A. pone il divieto di variazione retroattiva, ponendo un termine di 60 gg. per la produzione degli effetti, in termini di “abbuono, recupero o rimborso”, della denuncia di variazione nel corso dell’anno;

– analogamente a quanto previsto già in tema di TARSU, per effetto della ultrattività della dichiarazione del contribuente, il comune può direttamente liquidare la tassa quando la sua determinazione derivi dalla meccanica applicazione dei ruoli dell’anno precedente;

– l’art. 62 del d. Igs. n. 507 del 1993, nello stabilire il presupposto d’imposta per la TARSU, pone una presunzione legale di produzione di rifiuti superabile dall’occupante o detentore del bene immobile mediante indicazione, nella denuncia originaria o in quella di variazione ex art. 70 del medesimo d. Igs., di una delle circostanze implicanti l’esenzione. Tale principio, secondo la ricorrente, è applicabile anche ai fini della dichiarazione delle caratteristiche delle utenze in tema di T.I.A.

Sulla questione occorre osservare che l’art. 49 del d. Igs. n. 22 del 1997 dispone che i costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade e aree pubbliche e soggette ad uso pubblico sono coperti dai comuni “mediante l’istituzione di una tariffa” (comma 2), che è composta “da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimenti e di esercizio” (comma 4).

Il successivo comma 5 rimette all’intervento ministeriale l’elaborazione di “un metodo normalizzato”, per definire i costi e determinare la tariffa di riferimento.

Il Regolamento per l’elaborazione del metodo normalizzato per la determinazione della tariffa di gestione del ciclo dei rifiuti urbani, approvato con il d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, ha previsto che l’ente locale ripartisce tra le categorie di utenza domestica e non domestica l’insieme dei costi da coprire attraverso la tariffa secondo criteri razionali (art. 4, comma 2) e per quest’ultima, la parte fissa della tariffa è attribuita alla singola utenza sulla base di un coefficiente relativo alla potenziale produzione di rifiuti connessa alla tipologia di attività per unità di superficie assoggettabile a tariffa e determinato dal comune (art. 6).

A fronte del suddetto criterio e della generale potestà attribuita agli enti locali, il comune di Firenze, con apposito regolamento, ha fissato le tariffe per le utenze non domestiche in ragione di categorie predeterminate. Ai fini della classificazione categoriale delle attività relative alle utenze non domestiche, l’art. 24, comma 1, del regolamento comunale in tema di T.I.A. ha previsto che “a far data dal 1 gennaio 2005… si assumono come valide le denunce in precedenza prodotte all’Amministrazione Comunale dall’utente”.

In tema di TARSU, peraltro, l’art. 72 del d. Igs. 15 novembre 1993, n. 507 consente all’ente titolare del tributo di procedere direttamente alla liquidazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed alla conseguente iscrizione a ruolo quando essa è determinata attraverso la meccanica applicazione dei ruoli dell’anno precedente e dei dati in essi contenuti, sulla base di dati ed elementi già acquisiti e non soggetti ad alcuna modificazione o variazione (Cass., sez. 5 n. 22248/2015; n. 7818/2004).

Dalle norme si desume che il rapporto tributario relativo alla TARSU è comunque connesso (salvi gli accertamenti dell’ente impositore) ad una dichiarazione ultrattiva (perché con “effetto anche per gli anni successivi, qualora le condizioni di tassabilità siano rimaste invariate”) del contribuente, efficace sino a successiva denunzia di variazione ovvero ad accertamento dell’ente. Il potere di liquidazione segue, dunque, il principio dell’ imputazione diretta al contribuente degli effetti della sua dichiarazione.

Nel caso di specie, in assenza di specifica denuncia di variazione dell’attività produttiva o commerciale proveniente dal contribuente, per il calcolo della Tariffa il concessionario per la riscossione ha fatto riferimento ai dati ed elementi relativi all’utenza desunti dai ruoli precedenti, dati riportati nella fattura di liquidazione della T.I.A., che conteneva l’esplicita avvertenza che “l’utente aveva 60 gg. di tempo per presentare eventuali variazioni rispetto ai dati indicati”. Solo all’atto della comunicazione della cessazione dell’attività (maggio 2009) il contribuente ha provveduto alla denuncia di variazione del presupposto applicativo della Tariffa.

Dai richiamati principi discende che il concessionario ha correttamente liquidato la Tariffa sulla base dei dati relativi agli anni di imposta antecedenti, in assenza di comunicazione di variazione del contribuente.

La CTR, nel rilevare l’errore del Comune di Firenze nell’attribuzione alla utenza della Cat. 20, in luogo della Cat. 3 (magazzini senza vendita), sulla base della visura camerale dalla quale risulterebbe che l’immobile fu a suo tempo “denunciato come magazzino”, non ha correttamente applicato le disposizioni legislative e regolamentari richiamate, che onerano il contribuente della denuncia di variazione in caso di mutamento della categoria attribuita dall’ente impositore ovvero di originaria non corretta qualificazione del dato.

Né, ai sensi dell’art. 49 del d. Igs. n. 22 del 1997, appare sostenibile la qualificazione della natura meramente privatistica del rapporto tra l’utente ed il concessionario del servizio, con conseguente inapplicabilità delle disposizioni del regolamento comunale in tema di T.I.A. non espressamente recepite dai contraenti quale fonte di disciplina del contratto di utenza, attesa la natura pubblica del servizio. Appare, dunque, erronea la conclusione della CTR che ha ritenuto non opponibili al contraente “gli atti del Comune di Firenze” e, nella specie, “il termine di decadenza di 6 mesi previsto dal Regolamento Comunale apposito”.

4. In accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, la pronuncia di appello va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ. con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

5. – Il parziale accoglimento dei motivi di ricorso consente la compensazione delle spese di lite dell’intero giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo ed il terzo motivo ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente; compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.