Accertamento – Avvocato – Discostamento reddito dichiarato da quello desunto dall’applicazione dei parametri di cui al D.P.C.M. 29 gennaio 1996 – Legittimo
Svolgimento del processo
L’agenzia delle entrate ha notificato alla parte contribuente D.C. avviso di accertamento, dopo fase di contraddittorio, per i.v.a. e i.r.p.e.f. relativamente all’anno di imposta 1999, essendo risultato il reddito dichiarato discosto da quello desunto dall’applicazione dei parametri di cui al d.p.c.m. 29 gennaio 1996 come modificato da d.p.c.m. del 26 marzo 1997 in relazione all’attività di avvocato esercitata dalla contribuente stessa.
L’avv. C. ha interposo ricorso, che è stato solo parzialmente accolto dalla commissione tributaria provinciale di Roma.
La sentenza, appellata dalla parte contribuente, è stata confermata dalla commissione tributaria regionale del Lazio in Roma, che ha dichiarato la validità dell’avviso per legittima applicazione dei parametri, rispetto alla quale nessun elemento idoneo era stato provato dalla contribuente in sede di contraddittorio, tale non potendo considerarsi la minor efficienza per maternità e il trasferimento dell’attività dà un comune all’altro, non avendo essa pagato quanto dovuto in sede di accertamento con adesione in effetti seguito da accettazione della contribuente.
Avverso questa decisione la parte contribuente propone ricorso per cassazione notificato il 16 luglio 2010 alla sede di Velletri e mediante inoltro postale in pari data alla sede centrale dell’agenzia, affidato a cinque motivi, rispetto al quale l’agenzia resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ., la parte ricorrente deduce quale omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia la presunta mancanza assoluta dei motivi della decisione impugnata, ad eccezione della dichiarazione di ammissibilità dell’appello.
2. – Il motivo di ricorso è inammissibile. Va premesso che la mancanza assoluta dei motivi – come eccepito dalla controricorrente – non dà luogo, ove sussistente, al vizio dedotto di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. (vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio), bensì a quello di cui al n. 4 (‘error in procedendo’).
Invero, la giurisprudenza di questa Corte (v. ad es. sez. L, n. 161 del 2009 e sez. 5 n. 20648 del 2015) è ferma nel ritenere che la sentenza, ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio, decidendi”, è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., concretando dunque come detto il vizio ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., e non quello del successivo n. 5. Il confine, in riferimento alla norma applicabile ‘ratione temporis’, si può rinvenire nella circostanza che la configurabilità del primo vizio esige che la sentenza stessa riveli la mancanza della motivazione sulla singola domanda o sulla parte della domanda, mentre la configurabilità del secondo vizio esige che la motivazione della sentenza manchi riguardo ad un punto, emergente dalla stessa sentenza o introdotto in atti, il cui esame sarebbe dovuto avvenire per la decisione sulla domanda o sulla parte della domanda, traspaia ciò o meno dalla stessa sentenza (cfr. sez. 3, n. 20112 del 2009).
A prescindere dall’inesatta indicazione del parametro confacente ex art. 360 cod. proc. civ., l’esame del motivo di ricorso, quanto alla stessa formulazione “interna” alla doglianza, come riportata in rubrica e in esordio del motivo stesso, rivela che in effetti esso configura più separate censure, di diversa tipologia, contenenti critiche su vari passaggi della sentenza impugnata (v. lettere da a) a d) alle pp. 4 e 5 del ricorso) tali da determinare un cumulo di questioni all’interno di un unico motivo di ricorso e, indirettamente, da palesare contraddittorietà rispetto all’assunto della mancanza assoluta dei motivi della sentenza. Ciò di per sé conduce all’inammissibilità, anche per difetto di specificità (cfr. in prosieguo).
Concorrono, però, nel senso dell’inammissibilità altre considerazioni, quali: a) il difetto di autosufficienza in relazione ad alcune doglianze (v. la mancata trascrizione dell’atto accertativo, di cui pur si deduce la carenza di motivazione); b) la genericità delle deduzioni (ad es. sono generiche quelle circa la mancata considerazione della percezione di indennità per maternità e l’inapplicabilità dei parametri per maternità – peraltro a fronte dell’avere comunque la commissione di merito operato una diminuzione del reddito a fronte della situazione di maternità, fermo restando che la maternità di per sé non configura un periodo non normale di svolgimento dell’attività ai sensi dell’art. 4 del d.p.r. n. 195 del 1999); alcune deduzioni sono per giunta di natura fattuale, sottratte al sindacato di questa corte.
Quanto innanzi impone dunque di pervenire per tale pluralità di vie alla declaratoria di inammissibilità del motivo, con la conseguenza che la corte è esentata dal verificare se, poi, la sentenza sia effettivamente “del tutto priva dell’esposizione dei motivi, in fatto e in diritto, su cui la decisione si fonda” (così p. 4 del ricorso).
4. – Con il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso la parte ricorrente deduce testualmente “nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 co. 1 n. 3 e 4 e 5 [sic] c.p.c. per violazione – e falsa applicazione dell’art. 42 d.p.r. della I. 549/95 art. 3 co. 181 e 184 [sic] e d.p.c.m. 29/1/96 e 23/3/97 anche in relazione all’art. 3 I. 241/90” (secondo motivo), “nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 co. 1 3 e 4 e 5 [sic] c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 e 277 c.p.c. richiamato dagli art. 61 e 35 d. Igs. 546/92 in relazione all’applicazione della I. 549/95 art. 3 co. 181 e 184 d.p.c.m. 29/1/96 e 23/3/97 e agli artt. 2697 e 2729 c.c. anche in relazione all’art. 53 della Costituzione e anche in relazione all’art. 6 secondo comma d.p.r. 22/12/86 n. 917” [sic] (terzo motivo), “nullità della sentenza ex art. 360 co. 1 n. 3 e 4 e 5 violazione [sic] e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. art. 2697 e 2729 c.c.in relazione anche all’art. 24 cost.” (quarto motivo), “nullità della sentenza ex art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. in relazione anche all’art. 116 c.p.c.” (quinto motivo).
5. – I motivi anzidetti dal secondo al quinto – tutti formalmente unici ma con deduzioni congiunte di vizi di violazione di legge, nullità del procedimento e della sentenza, e vizi di motivazione – sono anch’essi inammissibili da più punti di vista.
6. In particolare, e tralasciando altri punti di vista (quale quello dell’autosufficienza), essi devono ritenersi inammissibili per omessa specificità, in violazione dell’art. 366, primo comma n. 4, cod. proc. civ. che tale requisito pone a pena, appunto, di inammissibilità.
Nel procedimento civile il controllo di legittimità sulle pronunce dei giudici di merito demandato alla Corte suprema di cassazione non è configurato come terzo grado di giudizio, nel quale possano essere ulteriormente valutate le istanze e le argomentazioni sviluppate dalle parti ovvero le emergenze istruttorie acquisite nella fase di merito, ma è preordinato all’annullamento delle pronunce viziate da violazione di norme sulla giurisdizione o sulla competenza o processuali o sostanziali, ovvero viziate quanto alla motivazione, e che le parti procedano a denunziare in modo espresso e specifico, con puntuale riferimento ad una o più delle ipotesi previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., nelle forme e con i contenuti prescritti dall’art. 366, primo comma n’. 4, cod. proc. civ.
Ne consegue che è inammissibile il ricorso prospettante una sequela di censure non aventi specificamente ad oggetto uno dei suindicati vizi e non specificamente argomentate con riferimento ai medesimi (cfr. sez. 2, n. 1317 del 2004 e sez. n. 23799 del 2014).
Nel caso di specie, i motivi in esame, preceduti dalle rubriche innanzi trascritte che fondono in sé censure per presunti numerosi vizi disomogenei, risultando una sommatoria di doglianze volte a contrapporre argomentazioni a quelle sostenute nella sentenza impugnata, al di fuori dei canoni del ricorso per cassazione, finiscono per non denunciare specificamente, in realtà, alcun vizio ex art. 360, primo comma, cod. proc. civ., e cioè i motivi per i quali la sentenza viene impugnata, in quanto la menzione dei diversi possibili vizi, elencati in successione tra loro, non lascia comprendere a quali statuizione dell’impugnata sentenza ciascuna doglianza si riferisca.
Né è consentito a questa corte, attraverso l’esame del ricorso, individuare autonomamente i vizi che eventualmente sussistano, trattandosi di attività che esula dai compiti del giudice di legittimità, il quale deve valutare la conformità a legge della sentenza impugnata sulla base delle violazioni – si ripete, specifiche – denunciate dalla parte. Spetta infatti a quest’ultima definire il contenuto e la portata del giudizio di cassazione, attraverso la denuncia specifica degli errori in cui è asseritamente incorsa la sentenza impugnata, potendo il giudice di legittimità considerare solo le statuizioni di tale sentenza nei limiti dei motivi e delle richieste formulate dalla parte, che nel caso di specie sono formulate con una latitudine tale da tradursi in genericità.
6. – Consegue il rigetto del ricorso per inammissibilità dei motivi, con spese secondo soccombenza da liquidarsi come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso per inammissibilità dei motivi e condanna la parte ricorrente alla rifusione a favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro tremilaseicentoquarantacinque per compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.