CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 gennaio 2018, n. 24
Riposo minimo giornaliero – Reiterata violazione – Sanzione – Applicazione – Numero delle violazioni – Graduazione
Fatti di causa
Con sentenza del 28.9 – 29.10.2011, la Corte d’appello di Milano, decidendo sull’impugnazione proposta dal Ministero del Lavoro avverso la sentenza del Tribunale di Lecco che aveva rideterminato la sanzione irrogata a B.A., con ordinanza-ingiunzione opposta, per reiterata violazione della norma relativa al riposo minimo giornaliero di 11 ore dei dipendenti nel periodo settembre 2004 – ottobre 2006, ha riformato parzialmente la gravata decisione, determinando nuovamente la sanzione in € 13.620,00.
Nel contempo, la stessa Corte ha respinto l’appello incidentale del B. volto a sentir dichiarare l’esistenza di una deroga contrattuale all’osservanza del precetto normativo sul rispetto del riposo minimo giornaliero. Ha spiegato la Corte che la sanzione prevista dall’art. 18-bis del d.lgs. n. 66 del 2003 non poteva essere applicata per ogni singola violazione in quanto occorreva tener conto della proporzione della stessa rispetto alla gravità del comportamento oggetto di contestazione.
Per la cassazione ricorre il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Provinciale del Lavoro di Lecco con un motivo.
Resiste con controricorso il B., il quale propone a sua volta ricorso incidentale affidato ad un motivo.
Le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con un solo motivo del ricorso principale si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 bis, comma 4, del D.Lgs. n. 66/2003, assumendosi che la parte sanzionatoria di tale norma, pur non commisurata nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa al numero delle giornate e dei lavoratori, trovava comunque applicazione con riferimento alla singola condotta datoriale da perseguire, cioè quella che non consentiva la fruizione dei periodi di riposo a ciascun lavoratore coinvolto ed in relazione a ciascun periodo considerato (giorno o settimana). Pertanto, secondo la difesa erariale, è errato, in quanto non rispettoso della “ratio” della norma, il criterio adottato dalla Corte d’appello, ossia quello di applicare una sanzione per lavoratore, graduandola tra minimo e massimo edittale a seconda del numero delle violazioni.
2. Col controricorso incidentale, dedotto per violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 8 della legge n. 689/81, 18 bis, comma 4, e 17 del D.lgs. n. 66/2003, 112 c.p.c., nonché dell’art. 50 CCNL UNEBA (Unione nazionale istituzioni ed iniziative di assistenza sociale) siglato il 27.5.2004, ci si duole del mancato riconoscimento della liceità della condotta contestata all’Associazione al servizio degli anziani “ONLUS” da parte della Direzione provinciale del lavoro di Lecco e sanzionata con l’ordinanza – ingiunzione opposta, oltre che dell’entità della sanzione applicata, ritenuta ingiustificata.
Invero, secondo tale assunto difensivo, non si era considerato che la summenzionata norma del contratto collettivo del 27.5.2004, intervenuto tra le associazioni di categoria rientranti nella citata previsione normativa dell’art. 17 del d.lgs n. 66/2003, nello stabilire che le lavoratrici ed i lavoratori avevano diritto ad un riposo giornaliero di undici ore ogni ventiquattro ore, non aveva previsto che le ore di riposo dovessero essere consecutive, lasciando in tal modo intendere che la volontà delle parti contraenti era quella di derogare, come loro facoltà contemplata dallo stesso decreto legislativo, al dettato normativo generale, al fine di introdurre una disciplina più rispondente alle realtà ed alle esigenze aziendali e, quindi, non irrazionale.
Inoltre, se per un verso i giudici d’appello avevano ritenuto che la sanzione prevista dall’art. 18 bis, co. 4, del d.lgs. n. 66/03 non poteva essere applicata, nella versione allora vigente, per ogni singola violazione, d’altro canto i medesimi giudici avevano escluso che la violazione della norma verificatasi con riferimento a più rapporti di lavoro potesse costituire un’unica violazione, finendo con l’affermare, in modo contraddittorio, che era comunque giustificata l’applicazione di una sanzione per ogni lavoratore che non avesse potuto godere del previsto riposo, con la conseguenza che la rideterminazione della sanzione si rivelava arbitraria. Invece, alla stregua dell’art. 8 della legge n. 689/81, avrebbe dovuto essere considerato che chi con un’azione od omissione viola diverse disposizioni che prevedono sanzioni amministrative o commette più violazioni della stessa disposizione soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo.
3. Osserva la Corte che per motivi di priorità logica va esaminata dapprima la parte del ricorso incidentale in cui è dedotta la liceità della condotta sanzionata, in quanto secondo tale assunto difensivo la stessa si giustificherebbe sulla base di una deroga consentita al dettato normativo in materia di rispetto della durata minima del riposo giornaliero.
4. Orbene, la doglianza è infondata dal momento che la stessa non supera il rilievo di fondo contenuto nell’impugnata sentenza in base al quale, considerato che la mancata previsione collettiva del carattere continuativo del riposo non appariva sufficiente a concretizzare la deroga al chiaro precetto legislativo (l’art. 7 del d.lgs. n. 66/2003 prevede, infatti, la fruibilità in modo consecutivo, fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o da regimi di reperibilità), non risultava che l’articolazione oraria praticata consentisse un riposo di undici ore, seppure non continuative, nell’arco delle 24 ore, non essendo stato allegato che dopo le 10 ore di intervallo (tra le ore 21.00 e le ore 7.00 della mattina successiva) ricorresse un’altra ora di riposo nell’arco delle 24 ore, utile a riportare ad 11 ore il complesso dei riposi. Tale rilievo, corretto sotto l’aspetto logico-giuridico, non risulta inciso dalla presente doglianza attraverso la quale si propugna il carattere non continuativo del riposo minimo giornaliero alla luce della generale previsione collettiva.
5. Tanto premesso si osserva che, per quel che concerne invece il ricorso principale, è da ritenere arbitrario il meccanismo di determinazione giudiziale della sanzione applicato dalla Corte d’appello in mancanza di un chiaro riferimento normativo alternativo alla quantificazione per ogni singola violazione nella versione “ratione temporis” vigente del quarto comma dell’art. 18 bis del d.lgs. n. 66 del 2003.
Infatti, la norma di cui all’art. 18 bis, comma 4, del d.lgs. n. 66 del 2003 nel testo “ratione temporis” vigente stabiliva quanto segue: “La violazione delle disposizioni previste dagli articoli 7, comma 1, e 9, comma 1, è punita con la sanzione amministrativa da 105 euro a 630 euro.”
Il tenore letterale della norma è chiaro nel suo riferimento alla singola violazione da sanzionare, per cui l’interpretazione offerta dalla Corte di merito, che pure tiene conto della circostanza che occorre riferirsi all’applicazione di una sanzione per ogni lavoratore il quale non abbia potuto godere del riposo previsto, finisce per rivelarsi arbitraria nel momento in cui, ai fini della determinazione in concreto della sanzione, individua tre gruppi di lavoratori a seconda dell’arco temporale più o meno lungo in cui il riposo era stato inferiore al limite stabilito dalla norma, graduandola in base alla durata della violazione stessa.
E’ agevole rilevare che tale criterio non è contemplato dalla norma da applicare al caso concreto, né tanto meno lo è quello propugnato dal ricorrente incidentale, il quale tenta di accreditare la tesi della possibilità di applicazione analogica dell’art. 8 della legge n. 689/81 nell’ipotesi di plurime violazioni di diverse disposizioni di legge o della stessa legge con una sola azione od omissione.
6. Non va, comunque, sottaciuto che, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 153 del 21 maggio 2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale (per contrasto con l’art. 76 Cost.) dell’art. 18 bis commi 3 e 4 del d.lgs. n. 66 del 2003. Pertanto, la questione che occupa consiste nel definire l’ambito e gli effetti che la citata sentenza della Corte costituzionale ha prodotto nella disciplina oggetto del presente giudizio. Orbene, ai fini del decidere appare di fondamentale rilievo procedere alla ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
A tal riguardo si rileva che con la legge del 1° marzo 2002, n. 39 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2001) veniva concessa al Governo la delega per l’attuazione di direttive comunitarie, tra le quali quelle in materia di orario di lavoro. Tale legge all’art. 2, comma 1, lettera c), stabiliva il criterio direttivo per cui le sanzioni amministrative dovevano essere regolate secondo la previsione, per la quale, in ogni caso “saranno previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi”.
In attuazione della delega, il d.lgs. n. 66 del 2003 agli artt. 4, 7 e 9, comma 1, regolava la materia dell’orario di lavoro e dei riposi giornalieri e settimanali, senza prevedere nell’originaria formulazione specifiche sanzioni per la violazione di dette norme, e quindi, implicitamente, rinviando per l’aspetto sanzionatorio a quanto previsto per la violazione delle regole sul riposo giornaliero alla sanzione di cui all’art. 9 del r.d.l. n. 692 del 1923, per la violazione della disciplina del riposo settimanale alla sanzione di cui all’art. 27 della legge n. 370 del 1934, e per la violazione della disciplina sull’orario di lavoro settimanale, sempre, alla sanzione di cui all’art. 9 del r.d.l. n. 692 del 1923.
Il suddetto assetto normativo subiva, però, importanti modificazioni intervenute con l’entrata in vigore del d.lgs. 19 luglio 2004, n. 213 (Modifiche ed integrazioni al d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, in materia di apparato sanzionatone dell’orario di lavoro) il quale, con l’introduzione dell’art. 18 bis del d.lgs. n. 66 del 2003, contemplava specifiche sanzioni per la violazione delle disposizioni del citato d.lgs. n. 66 del 2003, sanzioni molto più elevate rispetto a quelle previste dalla citata, precedente, normativa.
7. Sul contesto normativo così ricostruito, interveniva, quindi, la Corte costituzionale con la sentenza n. 153 del 2014 che dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 bis, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 66 del 2003 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE, concernenti la regolamentazione dell’orario di lavoro). Tale statuizione, scaturita a seguito di scrutinio avente ad oggetto la violazione dei principi della legge delega derivante dalla previsione, nell’art. 18 bis, del d.lgs. n. 66 del 2003, di sanzioni amministrative più elevate rispetto a quelle del sistema previgente, ed in particolare, il quesito concernente le sanzioni introdotte con il citato art. 18 bis, e se le stesse potessero essere considerate diverse, ed in tal caso, maggiori, rispetto “a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensività”, è stata articolata dalla Corte Costituzionale sulla base delle seguenti argomentazioni:
a) La sussistenza del rapporto di omogeneità tra le due normative sopra citate, costituisce, evidentemente, un aspetto decisivo, perché il riconoscimento dell’eventuale non omogeneità delle nuove sanzioni rispetto alle precedenti escluderebbe la sussistenza della violazione della legge delega;
b) costituisce giurisprudenza pacifica della Corte Costituzionale, il principio secondo il quale, ove sia necessario verificare la conformità della norma delegata alla norma delegante, risulta necessario svolgere un duplice processo ermeneutico, da condurre in parallelo: l’uno, concernente la norma che determina l’oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega, l’altro, relativo alla norma delegata, da interpretare nel significato compatibile con questi ultimi;
c) nel determinare il contenuto della delega si deve tener conto del complessivo contesto normativo nel quale si inseriscono la legge delega e i relativi principi e criteri direttivi, nonché delle finalità che la ispirano, che rappresentano non solo la base ed il limite delle norme delegate, ma anche lo strumento esegetico per la loro interpretazione;
d) tra i due sistemi normativi, quello di cui al r.d.l. n. 692 del 1923 e quello introdotto con il d.lgs. n. 66 del 2003, intercorre una sostanziale coincidenza nella logica di fondo che ispira i due diversi sistemi: entrambi sanzionano l’eccesso di lavoro e lo sfruttamento del lavoratore che ne consegue, ponendo limiti all’orario di lavoro giornaliero e settimanale ed imponendo periodi di necessario riposo;
e) il sistema delineato dal d.lgs. n. 66 del 2003, pur in parte diverso da quello passato, presenta una definizione dei limiti di lavoro e delle relative violazioni omogenea rispetto a quella precedente;
8. Dall’esame combinato della motivazione e del dispositivo della citata pronuncia del Giudice delle leggi, emerge, inequivocabilmente, la sua natura abrogativa, con la conseguente necessità, in relazione al presente giudizio di dover asseverare gli effetti dalla stessa determinati. Su tale tematica (effetti della sentenza della Corte costituzionale su una disposizione di legge abrogativa di altra legge precedente), occorre dare continuità ad un principio di diritto affermato da questa Corte in tempi, peraltro, non recenti (Cass. n. 3284 del 1979), secondo il quale, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una disposizione di legge abrogativa di altra legge precedente, ridiventa operante la norma abrogata dalla disposizione dichiarata illegittima, in quanto con la perdita fin dall’origine dell’efficacia della norma, vengono travolti anche gli effetti abrogativi che essa produceva, a differenza dell’abrogazione legislativa che opera soltanto dall’entrata in vigore del provvedimento che la contiene e che, quindi, salvo che sia espressamente disposto, non ha effetto ripristinatorio delle norme precedenti, che erano state a loro volta da esso abrogate.
Le pronunce di legittimità ad essa successive (ex plurimis Cass. n.3093 del 1989 – Cass. n. 13813 del 2000 – Cass. n. 13182 del 2010 – Cass. n. 257 del 2012) hanno da un lato confermato (Cass. n. 3093/1989 e n. 13813/2000) il principio di reviviscenza della normativa abrogata da altra disciplina legislativa a sua volta abrogata all’esito di declaratoria di illegittimità costituzionale, e dall’altro (Cass. n. 13182/2010 e n. 257/2012), escluso l’operatività del principio di reviviscenza di normativa precedentemente abrogata, solo nell’ipotesi, peraltro, non ricorrente nel caso in disamina, di normativa e correlate fattispecie concrete per le quali si rendeva indispensabile, a seguito della pronuncia di incostituzionalità, il successivo intervento, discrezionale, del legislatore.
9. Pertanto, alla luce di quanto sopra, deve trovare applicazione, anche, nel caso di specie il richiamato principio della reviviscenza normativa, con conseguente efficacia applicativa, nell’arco temporale disciplinato dall’abrogato art. 18-bis del d.lgs. n. 66 del 2003, della precedente disciplina ricavabile dal r.d.l. n. 692/23 e dalla legge n. 370/34.
A siffatta conclusione, non osta il fatto che quest’ultima normativa, della quale è stata ora affermata la reviviscenza, sia stata abrogata, espressamente, non dall’art. 18-bis, ma dall’art. 19 dello stesso d.lgs. n. 66 del 2003, disposizione, però, quest’ultima che non è stata oggetto della pronuncia di incostituzionalità. Infatti, sussistono vari elementi esegetici che consentono di ritenere la sentenza della Corte costituzionale n. 153/2014 in “toto” abrogativa del sistema sanzionatorio introdotto dal d.lgs. n. 66 del 2003, in particolare: 1) Sulla base della ricostruzione della cornice normativa come sopra esposta emerge che gli artt. 4, 7 e 9, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2003, nella originaria formulazione, regolavano la materia dell’orario di lavoro e dei riposi giornalieri e settimanali, senza prevedere specifiche sanzioni per la violazione di dette norme; 2) Pare evidente che tale silenzio del legislatore collegato con la direttiva della legge delega n. 39 del 2002 che, in materia sanzionatola imponeva il rispetto del rapporto di omogeneità del nuovo sistema sanzionatorio rispetto a quello previgente, induce a ritenere che il legislatore, nella specie, abbia inteso normare, implicitamente, la materia sanzionatoria con riferimento al previgente sistema contenuto nel r.d.l., n. 92/1923, e nella legge n. 370/1934; 3) Di conseguenza, l’introduzione dell’art. 18-bis del d.lgs. n. 66/2003, che, invece, ha disciplinato espressamente la materia sanzionatoria, ha comportato, necessariamente, l’abrogazione della previgente normativa, atteso che il successivo art. 19, recante “disposizioni finali e deroghe” ha previsto l’abrogazione di “tutte le disposizioni legislative e regolamentari nella materia disciplinata dal decreto legislativo medesimo, salve le disposizioni espressamente richiamate e le disposizioni aventi carattere sanzionatorio”, e tale ultima disposizione non è riferibile al precedente regime sanzionatorio, posto che nel regolamentare quello nuovo il legislatore riteneva che non fossero vigenti, al tempo, norme regolanti il sistema sanzionatorio.
Infatti, ciò è autorevolmente confermato nel passaggio motivazionale della citata sentenza della Corte costituzionale n. 153 del 2014, laddove si dà conto dell’errore in cui è incorso il legislatore che, come si evincerebbe dalla consultazione degli atti parlamentari “ha riformato il sistema sanzionatorio nella erronea convinzione di poter intervenire liberamente per l’assenza di norme sanzionatone precedenti”.
10. In definitiva, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione per la nuova determinazione della sanzione di cui trattasi in base ai principi sopra richiamati.
P.Q.M.
Provvedendo sul ricorso principale e su quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 7110 depositata il 9 marzo 2023 - In tema di dirigenza medica del settore sanitario pubblico, la P.A. è tenuta a dare inizio e a completare, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, il procedimento per…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 29760 depositata il 26 ottobre 2023 - In tema di dirigenza medica del settore sanitario pubblico, la P.A. è tenuta a dare inizio e a completare, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, il procedimento per…
- Corte di Cassazione, ordinanza n. 28258 depositata il 9 ottobre 2023 - In tema di dirigenza medica del settore sanitario pubblico, la P.A. è tenuta a dare inizio e a completare, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, il procedimento…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 33097 depositata il 9 novembre 2022 - In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, la disposizione contenuta nel comma quarto dell'art. 7 del d. lgs 18 dicembre 1997, n. 472 - che consente di…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 25622 depositata il 1° settembre 2023 - In tema di pubblico impiego privatizzato, l’attribuzione del buono pasto - in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell’ambito dell’organizzazione dell’ambiente…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 13 maggio 2019, n. 12659 - Mancata concessione del riposo giornaliero - Sussistenza degli illeciti amministrativi
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…
- L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione
L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione, infatti il risparmio fiscale…
- Spese di sponsorizzazione sono deducibili per pres
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6079 deposi…
- E illegittimo il licenziamento del dipendente in m
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 8381 depositata…
- Illegittimo il licenziamento per inidoneità fisica
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9937 depositata…