CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 marzo 2017, n. 5401
Tributi erariali indiretti – Riforma tributaria del 1972 – Imposta sul valore aggiunto (i.v.a.) – Obblighi dei contribuenti – Fatturazione delle operazioni – Modalità – In genere
Ritenuto in fatto
1. Con avviso di accertamento n. R1R03FF00957, emesso nei confronti della società S.B. N.V. per l’anno di imposta 2000, la Agenzia delle entrate ha rettificato l’IVA per € 111.540,23, più interessi e sanzioni, per un totale di € 1.878.468,00.
L’Ufficio ha provveduto a recuperare una maggiore IVA sulla base del raffronto tra gli acquisti intracomunitari relativi al periodo verificato computi dalla società e le fatture ed i documenti contabili. Le sanzioni sono state comminate per la mancata regolarizzazione delle fatture ricevute dai cedenti in violazione dell’art. 46, comma 1, del DL n. 331/1993, per la omessa doppia registrazione di fatture di acquisto, nonché per la infedele dichiarazione IVA presentata in data 20.07.2001 e successivamente integrata con una seconda dichiarazione in data 26.11.2003.
L’Agenzia ricorre per cassazione su due motivi avverso la decisione della CTR della Lombardia, in epigrafe indicata, che, respingendo il suo appello, ha confermato l’annullamento parziale dell’avviso di accertamento e la rideterminazione dell’importo dovuto nella misura di € 21.046,00, concernente solo le sanzioni così ridotte.
2. Il giudice di appello ha affermato che la detrazione ai fini IVA spetta in presenza di mere irregolarità formali, anche alla luce della giurisprudenza comunitaria in tema di inversione contabile; che la dichiarazione integrativa, presentata nel quadriennio, ha sanato le carenze della dichiarazione originariamente presentata e non può essere considerata tardiva.
Ha inoltre escluso la punibilità per la mancata integrazione delle fatture di acquisto nella misura applicata dall’Ufficio, sostenendo che sarebbe stata più coerente una eventuale sanzione sulla tipologia di cui all’art. 1, comma 155, della L. n. 244/2007 e che, comunque non si era in presenza di una evasione tecnicamente intesa, né di imponibile né di IVA, ed ha concluso confermando in toto la sentenza di primo grado.
3. La parte privata ha depositato memoria ex art. 378 cpc con la qual ha insistito nelle sue conclusioni, chiedendo in via subordinata, in caso di accoglimento del ricorso, di rinviare la controversia al merito per la determinazione delle sanzioni irrogabili secondo il nuovo regime sanzionatorio previsto in tema di inversione contabile.
Considerato in diritto
1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 del DPR n. 633/1972; 17, 18, nn.2 e 3, 21, n.1, lett. b), della sesta direttiva 77/388; 8, comma 2, del DPR n. 322/1998, 115 cpc (art. 360, comma 1, n. 3, cpc), per avere erroneamente ritenuto la CTR che la violazione degli obblighi formali di inversione contabile non poteva comportare di per sé la perdita del diritto alla detrazione, senza considerare invece che l’inutile decorso del termine biennale di esercizio del diritto a detrazione ne poteva invece comportare la perdita.
1.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, commi 1 e 9 bis, del DLGS n. 471/1997 (art. 360, comma 1, n. 3, cpc) per avere errato la CTR ad escludere l’applicazione dell’art. 6, comma 1, cit. alla condotta di omessa integrazione delle fatture di acquisto intracomunitario (€ 1.719.977,77) e ad aver ritenuto eventualmente applicabile la sanzione prevista dall’art. 6, comma 9 bis, cit.
La ricorrente critica l’affermazione della CTR secondo la quale l’applicazione dell’art. 6, comma 1, cit. avrebbe dovuto essere esclusa sulla considerazione che in concreto, con la mancata integrazione delle fatture di acquisto non si era verificata un’evasione di imponibile o di imposta, mentre sarebbe stata più coerente l’applicazione eventuale di una sanzione “sulla tipologia di cui all’art. 1 – comma 155 – della L. n. 244/2007” (fol. 3 della sentenza imp.). Osserva, quindi, che la violazione in esame prescinde dalla effettiva sottrazione di imponibile o di imposta, non costituisce violazione meramente formale perché mina la base di applicazione dell’imposta e richiede che sia stata contestata una evasione di imposta consequenziale a detta condotta.
2.1. Prima di passare alla disamina dei motivi è opportuno premettere che, come si evince da quanto riportato in ricorso per autosufficienza (fol. 3), con l’avviso di accertamento era stata recuperata IVA indebitamente detratta pari ad € 111.540,00. Erano state quindi contestate le seguenti violazioni ed irrogate sanzioni: a) per omessa integrazione di fatture di acquisto intracomunitario imponibile ex art. 46 del D.L. n. 331/1993, con sanzione in misura pari all’imposta relativa alle stesse, ammontante ad € 1.719.977,77; b) per mancata registrazione di operazioni di acquisto intracomunitario, con sanzione in misura pari all’imposta relativa alle stesse, ammontante ad € 46.950,06; c) per infedele dichiarazione IVA per omessa dichiarazione di acquisti intracomunitari, con sanzione in misura pari all’imposta accertata, ammontante ad € 15.540,00.
Le sanzioni per le violazioni sopra indicate sub a) e b) erano state irrogate in applicazione dell’art. 6, commi 1, 4 e 5, del DLGS n. 471/1997; la sanzione per la violazione sub c) era stata irrogata ai sensi dell’art. 5, comma 4, del DLGS n. 471/1997.
2.2. La Commissione Tributaria Provinciale con la sentenza n. 325/05/08 (riprodotta in ricorso, fol. 12, ed in controricorso, fol. 19) aveva ritenuto che nessun danno fosse derivato per l’Amministrazione dal comportamento formalmente omissivo della società; di poi aveva ritenuto sussistente la violazione costituita dalla omissione della registrazione delle fatture di acquisto intracomunitario (v. sub a) ed applicabile la sanzione, mitigata dal ritenuto concorso di violazioni e dalla continuazione di cui all’art. 12 del DLGS n. 472/1997, che aveva quantificata in € 21.046,00, in ragione dell’IVA di periodo maggiorata del 25%. Con riferimento agli altri rilievi il giudice di primo grado così si era espresso “il Collegio li giudica non appropriati in considerazione della complessità delle materie, delle verificate discordanze in sede comunitaria, della acclarata mancanza di danno da parte dell’Erario e della modesta incidenza percentuale degli stessi rapportati al fatturato sociale”.
2.3. Nel respingere l’appello dell’Ufficio, la CTR, dopo avere ritenuto la dichiarazione integrativa tardiva (oltre il biennio) sufficiente a validare l’esercizio del diritto di detrazione da parte della contribuente, anche in presenza di irregolarità formali, aveva affermato di non poter condividere la punibilità per la mancata integrazione delle fatture di acquisto nella misura applicata dall’Ufficio, sostenendo che sarebbe stata più coerente una eventuale sanzione sulla tipologia di cui all’art. 1, comma 155, della L. n. 244/2007 ed aveva affermato che, comunque non si era in presenza di una evasione tecnicamente intesa, né di imponibile né di IVA; aveva quindi concluso confermando in toto la sentenza di primo grado.
2.4. Tale premessa consente di delimitare la materia giustiziabile, come riveniente dalla pronuncia della CTR e dai motivi di ricorso, alla legittimità del recupero dell’IVA conseguente al reverse charge, per la quale impostala contribuente aveva esercitato tardivamente il diritto a detrazione, ed alla individuazione della sanzione applicabile in relazione alla violazione per omessa integrazione delle fatture di acquisto in inversione contabile (sub a) e per infedele dichiarazione (sub c).
3.1. Passando all’esame dei motivi ne va affermata la fondatezza, nei termini di seguito precisati.
3.2.1. Quanto al primo motivo, va confermato quanto questa Corte ha già avuto modo di affermare e cioè che “In tema d’IVA e con riferimento agli acquisti intracomunitari, l’applicazione del meccanismo d’inversione contabile comporta che la violazione degli formali di contabilità e dichiarazione, pur non impedendo l’insorgenza del diritto di detrazione, del quale sussistano i requisiti sostanziali in testa al concessionario, incide sul suo esercizio, potendo provocare la decadenza da esso allorché il contribuente, pur essendo a conoscenza della natura imponibile di una fornitura, ometta, per tardività o per negligenza, di richiedere la detrazione dell’IVA a monte entro il termine previsto dalla legge” (Cass. n. 14767/2015).
3.2.2. Questo principio trova piena rispondenza nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale, anche di recente ha ribadito con riferimento all’applicazione del meccanismo di autoliquidazione, che «un termine di decadenza, la cui scadenza porti a sanzionare il contribuente non sufficientemente diligente, che abbia omesso di richiedere la detrazione dell’IVA pagata a monte, privandolo del diritto a detrazione, non può essere considerato incompatibile con il regime instaurato dalla direttiva IVA, purché, da un lato, tale termine si applichi allo stesso modo ai diritti analoghi in materia fiscale fondati sul diritto interno e a quelli fondati sul diritto dell’Unione (principio di equivalenza) e, dall’altro, esso non renda in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto a detrazione (principio di effettività)» (da ultimo sentenza Astone, C-332/15, punto 34 e la giurisprudenza ivi citata).
Con questa decisione la CGUE, in particolare, ha affermato che, per quanto riguarda il principio di effettività, un termine di decadenza di due anni, quale quello previsto all’articolo 19, primo comma, del DPR n. 633/1972, non può, di per sé stesso, rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto a detrazione, posto che l’articolo 167 e l’articolo 179, primo comma, della direttiva IVA consentono agli Stati membri di esigere che il soggetto passivo eserciti il proprio diritto a detrazione nello stesso periodo in cui tale diritto è sorto (punto 38).
3.2.3. Giova ricordare che anche le Sezioni Unite, intervenendo sul diverso tema dell’esercizio del diritto di detrazione in caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale, hanno statuito che va riconosciuta dal giudice tributario l’eccedenza d’imposta che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sempre che l’eccedenza sia stata dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto e sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili (Cass. SU n. 17757/2016), ed hanno così confermato la rilevanza della mancata decorrenza del termine biennale di decadenza per il riconoscimento del diritto di detrazione.
3.2.4. Tornando alla fattispecie concreta in esame, il principio di equivalenza non viene in discussione.
3.2.5. Quanto al principio dell’effettività, risulta invece evidente che la CTR, nell’affermare che la dichiarazione integrativa presentata entro il quadriennio (in data 26.11.2003) aveva sanato le carenze della dichiarazione originaria e che l’eccezione di tardività sollevata dall’Agenzia era errata, non ha tenuto conto del fatto che la dichiarazione integrativa, con la quale è stata fatto valere la detrazione, era intervenuta oltre il termine biennale, risultando per l’appunto tardiva rispetto alla previsione di cui all’art. 19 del DPR n. 633/1972, che – come prima chiarito-non viola il principio di effettività/e non ha pertanto dato corretta applicazione ai principi prima enunciati in ordine agli effetti della decorrenza di detto termine, laddove ha ritenuto di applicare la giurisprudenza comunitaria in merito alle violazioni meramente formali (che tuttavia, come sì è visto, non si attaglia al caso di specie, posto che non vi è stato il tempestivo esercizio del diritto di detrazione).
3.2.6. Ne consegue che, nel nostro caso, non essendo stato esercitato, né potendo più essere esercitato il diritto di detrazione, è destinata a rimanere ferma la pretesa fiscale volta a recuperare l’imposta a monte evasa, che non può dirsi assolta, neanche irregolarmente. Ciò in quanto l’estinzione del diritto alla detrazione ha impedito l’operatività del meccanismo compensativo tra posta a debito e posta a credito.
3.2.7. Di qui la configurabilità sia della fattispecie sanzionata dal DLGS. n. 471/1997, art. 6, comma 1, sia di quella regolata dall’art. 5, comma 4, del medesimo decreto, che si riferisce al caso in cui “dalla dichiarazione presentata risulta un’imposta inferiore a quella dovuta…”: l’inoperatività del meccanismo compensativo determina ineluttabilmente l’esposizione di un’imposta inferiore a quella dovuta, perché la dichiarazione non tiene conto dell’IVA a monte a debito.
3.3.1. Sulla scorta delle ragioni prima esposte va, quindi, accolto anche il secondo motivo.
3.3.2. Va rilevato, infatti, che la violazione degli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini IVA ex art. 46 del D.L. n. 331/1993 (omessa integrazione di fattura) trova la sua sanzione proprio nell’art. 6, comma 1, del D.LGS n. 471/1997, poiché l’integrazione della fattura assolve l’obbligo di documentazione delle operazioni imponibili.
Invece l’art. 6, comma 9 bis, del D.LGS n. 471/1997, sanziona il mancato o l’irregolare assolvimento dell’imposta e non pertiene al caso in esame (v. sub 3.2.6).
4.1. L’accoglimento dei due motivi deve, tuttavia, tenere conto della più recente giurisprudenza comunitaria, con riferimento alle modalità di determinazione dell’importo delle sanzioni.
La CGUE ha infatti rimarcato come le sanzioni, “in considerazione dell’entità della percentuale – minima, nel caso in questione – fissata per la maggiorazione prevista dalla normativa nazionale e dell’impossibilità di adeguarla alle circostanze specifiche di ogni caso di specie”, possano eccedere quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’IVA ed evitare l’evasione (Corte giust. 17 luglio 2014, causa C-/13, Equoland, punti 44-45).
4.2. Ne consegue che le disposizioni di cui agli artt. 6, comma 1, 4 e 5, e 5, comma 4, del DLGS n. 471/1997, con riferimento alle modalità di determinazione delle sanzioni ed all’entità minima della percentuale di maggiorazione, dovranno quindi essere disapplicate in sede di giudizio di rinvio ed il giudice di merito dovrà riesaminare le fattispecie alla luce degli elementi in concreto rilevanti, graduando le sanzioni e ragguagliandone la quantificazione alle circostanze specifiche del caso al suo esame, considerando a titolo esemplificativo, le indicazioni retraibili dalla sentenza n. 14767/2015 di questa Corte.
4.3. Il giudice di merito dovrà anche valutare le eventuali ricadute sul piano sanzionatorio delle modifiche apportate dal DLGS n. 158/2015 agli artt. 6, commi 1, 4 e 5, e 5, comma 4, del DLGS n. 471/1997.
5. In conclusione, il ricorso va accolto sui due motivi, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR della Lombardia in altra composizione per il riesame alla luce dei principi espressi e per le determinazioni in tema di sanzioni anche alla luce delle novità normative intervenute sul punto, oltre che per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso sui due motivi;
– cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia in altra composizione per il riesame alla luce dei principi espressi e per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- MINISTERO FINANZE - Decreto ministeriale 01 febbraio 2024 Modalità di utilizzo dei dati fiscali relativi ai corrispettivi trasmessi al Sistema tessera sanitaria Art. 1 Definizioni 1. Ai fini del presente decreto si intende per: a) «dati fiscali», i…
- CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 5396 depositata il 29 febbraio 2024 - In tema di IVA, il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune europeo e non è suscettibile, in…
- Esonero contributivo per le aziende private che abbiano conseguito la certificazione di parità di genere e ulteriori interventi per la promozione della parità salariale di genere e della partecipazione delle donne al mercato del lavoro (in attuazione…
- Esonero contributivo per i datori di lavoro privati che siano in possesso della certificazione della parità di genere di cui all'articolo 46-bis del Decreto Legislativo n. 198/2006 - Avvio della campagna di acquisizione delle domande di esonero…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 25 giugno 2021, n. 18332 - In tema d'imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta l'art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R.…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 11722 depositata il 12 aprile 2022 - In tema d'imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta l'art. 32, comma 1, n. 2,…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- L’indennità sostitutiva di ferie non godute
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9009 depositata…
- Il giudice tributario è tenuto a valutare la corre
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5894 deposi…
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…
- L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione
L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione, infatti il risparmio fiscale…
- Spese di sponsorizzazione sono deducibili per pres
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6079 deposi…