CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 novembre 2016, n. 51362
Professionisti – Commercialisti – Esercizio abusivo della professione – Art. 348 del codice penale – Assenza di idoneo titolo abilitativo
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Milano con sentenza del 20 maggio 2011 ha condannato D. B. alla pena di giustizia per i reati, in forma continuata ed aggravata al primo contestati, di esercizio abusivo di professione, sostituzione di persona e falso in scrittura privata (artt. 81, 348, 61 n. 2, 494, 481, 485 cod. pen.).
Si è in tal modo ritenuto che il prevenuto abbia esercitato senza idoneo titolo abilitativo l’attività di commercialista sia fornendo prestazioni professionali ad una pluralità persone fisiche e società sia assistendo privati innanzi alla Commissione tributaria di Milano, organo che induceva in errore attribuendosi il falso nome di C. M., ragioniere commercialista.
Nel medesimo contesto poi il prevenuto commetteva il reato di cui agli artt. 481 e 485 cod. pen., falsificando la firma del M. in calce ai ricorsi presentati dinanzi alla Commissione tributaria ed autenticando quella ivi apposta dai patrocinati, G. P. e R. C..
Su impugnativa dell’imputato, la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 24 novembre 2015, ha confermato la sentenza del Tribunale.
2. Ricorre per cassazione il prevenuto a mezzo di difensore di fiducia ed articola quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, si fa valere inosservanza o erronea applicazione della legge penale e delle norme extrapenali integrative, con riferimento alle previsioni del d.lgs. n. 139 del 2005, istitutivo dell’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
Si deduce che la condotta osservata dall’imputato si era concretizzata nella tenuta della contabilità, nella registrazione di fatture e nella predisposizione della dichiarazione dei redditi, attività, queste, che, in quanto rientranti nella sezione B) dell’Albo, potevano essere svolte da esperti contabili che non si trovassero in regime di esclusività.
Trattandosi di libero esercizio di attività professionale doveva escludersi la sussistenza del reato di abusivo esercizio della professione.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia il mancato operato assorbimento, ad opera della Corte territoriale, del reato di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.) in quello di falso in scrittura privata (art. 485 cod. pen.), nella dedotta unicità della condotta del prevenuto, che aveva sottoscritto la procura alle liti a nome di altra persona, e nella natura sussidiaria della fattispecie di cui all’art. 494 cod. pen.
2.3. Con il terzo motivo, si deduce l’intervenuta depenalizzazione del reato di cui all’art. 485 cod. pen. per il d.lgs. n. 7 del 2016 e si chiede quindi l’assoluzione dal relativo titolo dell’imputato e, ancora, dal reato di sostituzione di persona in quanto assorbito nel reato depenalizzato.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente fa valere l’erronea applicazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen.per non avere la Corte di appello debitamente valorizzato la condotta di collaborazione del prevenuto che aveva confessato e non si era opposto alle verifiche della Guardia di Finanza.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.
2. Non è fondato il motivo per il quale il ricorrente denuncia l’erronea applicazione della legge penale, nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto integrata, per la condotta ascritta al prevenuto, la fattispecie di esercizio abusivo della professione e non rilevante la distinzione contenuta nell’Albo unificato dei dottori commercialisti e degli esperti contabili” tra attività riservate ai dottori commercialisti (sezione A) ed attività che possono essere liberamente svolte dagli iscritti alla sezione degli esperti contabili (sezione B).
La Corte di appello di Milano ha fatto corretta applicazione, per motivazione che non si presta a sindacato alcuno in sede di legittimità, del principio di diritto, da cui non si ha qui ragione di discostarsi, persuasivamente affermato dalla Corte di cassazione sin dalla sentenza, a Sezioni Unite, Cani (Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011 (dep. 2012), Cani, Rv. 251819; in termini: Sez. 6, n. 23843 del 15/05/2013, Mappa, Rv. 255673), in materia di professioni protette ed esercizio abusivo della professione.
L’integrazione del reato di esercizio abusivo della professione di dottore commercialista o di ragioniere e perito commerciale, nel vigore del codice di cui al d.lgs. n. 139 del 2005, resta integrata infatti dal compimento senza titolo di atti – quali le condotte di tenuta della contabilità aziendale, redazione delle dichiarazioni fiscali ed effettuazione dei relativi pagamenti – che, pur non rientrando singolarmente nella competenza esclusiva di una determinata professione liberale, siano comunque idonei a creare, in quanto svolti per continuatività, onerosità, organizzazione e retribuzione, in assenza di chiare indicazioni diverse, oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato.
Poiché il prevenuto ha operato, tenendo la contabilità, registrando fatture, predisponendo la dichiarazione dei redditi per una pluralità di società e persone fisiche, in epoca successiva all’entrata in vigore del d.lgs. n. 139 del 2005, istitutivo dell’ ‘Albo unificato dei dottori commercialisti e degli esperti contabilì, in applicazione dell’indicato principio, come rilevato dalla Corte di appello di Milano, a nulla vale il rilievo difensivo che il primo si sia limitato a svolgere l’attività dell’esperto contabile che, in quanto prevista dalla sezione B) dell’Albo, sarebbe liberamente esercitabile in quanto non di esclusiva attribuzione ad una determinata categoria professionale.
3. Non è poi fondato il motivo con cui si deduce l’assorbimento del reato di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.) in quello di falso in scrittura privata (art. 485 cod. pen.), attese le specifiche modalità per le quali è contestata al prevenuto l’integrazione dei quest’ultimo reato.
Per il fatto ascritto e ritenuto infatti, il B. si è sostituito ad altra persona, professionista abilitato, sottoscrivendo il ricorso presentato alla Commissione tributaria ed autenticando le firme apposte dai privati, che in detta occasione egli assisteva.
Il reato di sostituzione di persona può ritenersi assorbito da un altro delitto contro la fede pubblica quando si tratti di una unicità di azione o di omissione riconducibile contemporaneamente alla previsione dell’art. 494 cod. pen. e ad altra norma posta a tutela della fede pubblica (Sez. 1, n. 6098 del 02/05/1984, Pilone, Rv. 165068).
Si ha, per contro, concorso materiale di reati quando ci si trovi in presenza di una pluralità di fatti e quindi di azioni diverse e separate (Sez. 6, n. 13328 del 17/02/2015, Scarano, Rv. 263076).
Quest’ultima evidenza è stata congruamente apprezzata dalla Corte milanese che ha, in tal modo, escluso il dedotto assorbimento, ed affermato l’autonomia dei contestati reati, nella pluralità delle condotte contestate, ravvisabile in chi si attribuisca un falso nome ed una falsa qualifica e poi falsifichi materialmente la scrittura privata – nella specie i due ricorsi presentati davanti alla Commissione tributaria -, apponendovi false sottoscrizioni.
4. In ordine agli indicati motivi il ricorso va quindi rigettato.
5. Il motivo sulla depenalizzazione del reato è invece fondato.
Il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 all’art. 1, lett. a) ha abrogato infatti il reato di cui all’art. 485 cod. pen.
All’abrogazione segue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente all’indicato titolo perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
All’abrogazione segue altresì la necessità di rideterminare la pena, operazione, quest’ultima, per la quale si impone l’annullamento con rinvio.
Ed infatti, avendo il Tribunale, che è stato confermato per le adottate statuizioni in grado di appello, quantificato la pena da irrogare muovendo da una pena-base determinata sulla violazione più grave, identificata in quella di cui all’art. 485 cod. pen., resta sottratto a questa Corte, nella sopravvenuta illegalità del trattamento sanzionatorio applicato, il potere di procedere a nuova determinazione della pena (art. 620 lett. I) cod. proc. pen.).
La pena – base è espressione infatti della discrezionalità propria del giudice del merito al cui esercizio non può supplire la Corte di legittimità chiamata invece ad operare sulla misura della pena, per illegalità della stessa, nel solo caso in cui la modifica del trattamento sanzionatorio si atteggi quale risultato di una mera operazione aritmetica.
Non soccorrendo la situazione da ultimo indicata, è necessario il rinvio alla Corte di appello di Milano, altra sezione, perché la stessa provveda alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio all’esito dell’intervenuta depenalizzazione del reato di falso in scrittura privata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 485 cod. pen. perché il fatto non è previsto dalla legge come reato;
annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per la rideterminazione della pena.
Rigetta nel resto.
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