CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 agosto 2017, n. 19587
Pensione di vecchiaia – Ricostituzione – Accredito contributi – Obbligo di restituzione in favore dell’Inps dei ratei già percepiti – Transazione novativa stipulata con il proprio datore di lavoro – Effetto estintivo del rapporto di lavoro – Pretesa sul piano previdenziale – Non sussiste – Eliminazione giuridica del rapporto di lavoro subordinato quale presupposto dell’obbligazione contributiva – Diversa titolarità del rapporto previdenziale – Non rileva
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 5.7.2011, la Corte d’appello dell’Aquila confermava la statuizione di primo grado che aveva rigettato la domanda di C. D. P. volta ad ottenere la condanna dell’INPS al pagamento della somma di L. 47.218.554, previa ricostituzione della pensione di vecchiaia con l’accredito dei contributi maturati dal 1°.7.1991 al 18.7.1995 e conseguente declaratoria dell’insussistenza di qualsiasi obbligo di restituzione in favore dell’INPS dei ratei di pensione medio tempore percepiti.
La Corte, in particolare, riteneva che la transazione novativa stipulata dall’assicurato con la propria datrice di lavoro in epoca successiva alla pronuncia del Pretore di Vasto che aveva accertato la precorsa sussistenza inter partes di un rapporto di lavoro subordinato avesse effetto estintivo del rapporto stesso e, sostituendo ad esso un altro rapporto, non abilitasse il lavoratore assicurato a rivendicare alcuna pretesa sul piano previdenziale.
Contro tali statuizioni ricorre C. Di P. con tre motivi di censura, illustrati da memoria. L’INPS resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2115 e 2116 c.c., nonché deH’art. 12, I. n. 153/1969, per avere la Corte di merito ritenuto che la transazione novativa da lui stipulata con la propria datrice di lavoro in epoca successiva alla pronuncia del Pretore di Vasto, che aveva accertato la sussistenza inter partes di un rapporto di lavoro subordinato (ed in dipendenza dalla quale la datrice di lavoro aveva provveduto al pagamento della prima tranche del condono per i contributi omessi), avesse effetto estintivo del rapporto di lavoro e, sostituendo ad esso un nuovo rapporto, non lo abilitasse a rivendicare alcuna pretesa sul piano previdenziale.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta omessa motivazione su di una circostanza determinante ai fini del decidere per non avere la Corte territoriale considerato che l’INPS si era nelle more attivato nei confronti della datrice di lavoro per il recupero coattivo della contribuzione omessa, notificando una cartella esattoriale che, non essendo stata tempestivamente opposta, doveva ritenersi passata in giudicato.
Con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 52, I. n. 88/1989, per come autenticamente interpretato dall’art. 13, I. n. 412/1991, e dell’art. 38, commi 7-10, I. n. 448/2001, per non avere la Corte di merito ritenuto che sussistessero le condizioni per non far luogo al recupero dei ratei pensionistici percepiti in buona fede e che, in ogni caso, il recupero non poteva essere superiore al limite di un quarto delle somme percepite.
Ciò posto, il primo e il secondo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione dell’intima connessione delle censure svolte, e sono infondati.
Va premesso che la Corte territoriale ha accertato in fatto che il Pretore di Vasto, accogliendo la domanda dell’odierno ricorrente, aveva condannato la sua datrice di lavoro al pagamento delle differenze retributive e alla regolarizzazione della posizione previdenziale e, dato atto che nel prosieguo del giudizio le parti erano addivenute ad una transazione, in esecuzione della quale il presunto datore di lavoro aveva corrisposto all’odierno ricorrente la somma di € 10.000,00 «per puro spirito di liberalità ed al solo fine di evitare un danno all’immagine […] senza alcuna relazione con quanto dedotto e richiesto dal lavoratore», ha desunto che la somma fosse stata «erogata […] senza alcun riferimento al preteso rapporto di lavoro» e, conseguentemente, «la natura novativa della transazione» (così la sentenza impugnata, pag. 2). Considerato che nei confronti di tale accertamento di fatto non sono state proposte censure di sorta, reputa il Collegio che del tutto correttamente la Corte territoriale abbia sussunto la vicenda concretamente occorsa inter partes nell’ambito delle transazioni novative, negando per conseguenza che le somme corrisposte in esecuzione di essa potessero essere assoggettate a contribuzione: questa Corte, infatti, ha già avuto modo di chiarire che, qualora sia intervenuta tra datore di lavoro e lavoratore una conciliazione giudiziale relativa alla definizione delle pendenze riconducibili alla cessazione ed estinzione del rapporto di lavoro subordinato sottostante, il negozio transattivo stipulato ha le parti ha natura novativa, costituendo l’unica ed originaria fonte dei diritti e degli obblighi successivi alla risoluzione, di talché le somme dovute al lavoratore, ancorché aventi natura retributiva, restano disancorate dal preesistente rapporto e il relativo importo non può essere computato per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale (Cass. n. 20146 del 2010).
Quanto sopra, ovviamente, non equivale a dire che la transazione potesse avere ad oggetto il rapporto previdenziale, che è giuridicamente distinto dal rapporto di lavoro e, facendo capo ad un soggetto terzo rispetto al rapporto di lavoro (e presentando per di più connotati pubblicistici), non è ovviamente disponibile per le parti del rapporto di lavoro medesimo: tanto è vero che, in altra fattispecie, questa Corte non ha mancato di precisare che la transazione intervenuta tra il datore di lavoro ed il lavoratore e relativa alle obbligazioni retributive gravanti sulla parte datoriale è inopponibile all’ente previdenziale, stante che la nozione di retribuzione imponibile di cui all’art. 12, I. n. 153/1969, deve correlarsi a tutto ciò che il lavoratore ha diritto di ricevere dal datore di lavoro, indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi siano concretamente adempiuti o che il lavoratore abbia rinunciato ai propri diritti (Cass. n. 2642 del 2014).
Il punto, tuttavia, è che, giusta l’accertamento compiuto dalla Corte di merito, la transazione sopraggiunta in specie inter partes ha eliminato dal mondo giuridico il pregresso accertamento giudiziale del rapporto di lavoro subordinato, che dell’obbligazione contributiva costituisce indefettibile presupposto. E se ciò rende l’odierna fattispecie strutturalmente differente rispetto a quella esaminata da Cass. n. 2642 del 2014, cit., dal momento che lì vi era stato un accertamento giudiziale dell’illegittimità del licenziamento e il lavoratore si era limitato a rinunciare agli effetti della pronuncia di reintegra nel posto di lavoro, vale la pena precisare che non potrebbe nella specie codesto accertamento giudiziale essere surrogato dalla mancata opposizione del datore di lavoro alla cartella esattoriale con cui l’INPS gli aveva richiesto il pagamento dei contributi in ipotesi dovuti, avendo questa Corte ormai chiarito che la scadenza del termine per proporre opposizione a cartella di pagamento, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo, ma non anche la formazione di alcun giudicato sul presupposto del credito medesimo, essendo la cartella mero atto amministrativo al quale non è applicabile il disposto di cui all’art. 2953 c.c. (Cass. S.U. n. 23397 del 2016).
Dovendo pertanto ritenersi che del tutto legittimamente l’INPS abbia esercitato la propria potestà di autotutela, non potendo ovviamente configurarsi né obblighi contributivi né prestazioni previdenziali senza previo accertamento di un rapporto di lavoro subordinato, resta da dire che parimenti infondato è il terzo motivo: è sufficiente sul punto rilevare, per un verso, che l’applicazione dell’art. 52, I. n. 88/1989, presuppone che l’indebito pensionistico sia scaturito da un errore dell’ente previdenziale, che nella specie la Corte di merito ha accertato non esservi stato, e, per un altro verso, che l’applicazione delle esenzioni di cui all’art. 38, commi 7-10, I. n. 448/2001, presuppone pur sempre che si dia prova del reddito che si possiede, ciò che, sempre a giudizio della Corte territoriale, parte ricorrente non ha fatto nel corso del giudizio.
Il ricorso, pertanto, va rigettato. Nulla sulle spese ex art. 152 att. c.p.c.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
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