CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 dicembre 2017, n. 28972
Procedura di mobilità – Licenziamento – Illegittimità – Criterio di scelta prevalente – Esigenze tecnico-organizzative – Iter procedurale per la messa in mobilità – Indicazione specifica delle omissioni ed irregolarità su cui fonda il petitum
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Firenze, R.L., dipendente della D. s.p.a., poi P. s.r.l. e quindi P.U. s.r.I., già collocato in c.i.g.s. dal marzo 2010 e poi riammesso al lavoro per ordine giudiziale, chiedeva dichiararsi l’illegittimità del licenziamento intimatogli il 27.3.13 all’esito di procedura di mobilità, indicando l’azienda, quali motivi, quelli esposti nella nota di avvio della procedura di mobilità del 16.1.13, di cui chiedeva l’esibizione in giudizio, nonché degli incontri tenutisi con le OO.SS., facendo riferimento al criterio di scelta prevalente delle esigenze tecnico-organizzative, considerato prevalente e facendone applicazione “secondo le modalità che saranno comunicate agli uffici competenti ex art. 4, comma 9, L. n. 223\91”.
Chiedeva dunque dichiararsi l’illegittimità del licenziamento, con ordine di reintegra nel posto di lavoro (oltre al pagamento di una indennità pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione), in caso di accertata violazione dei criteri di scelta, ovvero al risarcimento del danno (pari a 24 mensilità dell’ultima retribuzione) in caso di “accertata violazione delle procedure previste dalla legge”.
Il Tribunale dichiarava improcedibile il ricorso per mancata tempestiva sua notifica.
Avverso il provvedimento il Sig. L. ricorreva alla Corte d’appello di Firenze, censurando la sentenza di primo grado unicamente in ordine alla declaratoria di improcedibilità del ricorso e rinnovando al contempo le proprie istanze sia nel merito che istruttorie (così l’odierno ricorso, pag. 5).
Con sentenza depositata il 16.4.2015, la citata Corte d’appello dichiarava la procedibilità del ricorso ma respingeva nel merito la domanda, evidenziando che il lavoratore lamentò al riguardo solo di essere venuto a conoscenza del verbale di accordo con le OO.SS. del 18.3.13 nel quale si faceva riferimento “ad una comunicazione di apertura della procedura asseritamente del 16.1.13 – di cui si chiede ex art. 210 c.p.c. ordine di esibizione in giudizio – in cui avrebbero dovute essere comunicate le ragioni per le quali la datrice intendeva ridurre di 28 unità il proprio personale dipendente”, concludendo come in primo grado “non essendo dato di sapere come l’azienda abbia fatto applicazione dei criteri di scelta e dunque occorrendo attendere quanto meno l’esito dell’ordine di esibizione”.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il L., affidato a due motivi.
Resiste la società con controricorso.
Motivi della decisione
Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente sentenza.
1.-Con il primo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione alla illegittimità della procedura in sé ed a prescindere dal richiesto ordine di esibizione.
Lamenta che la sentenza impugnata non considerò che la procedura de qua era comunque viziata, come risultava per tabulas, dovendo la sentenza impugnata accertare comunque la legittimità o meno del licenziamento in questione, a prescindere dal richiesto ordine di esibizione, diretto a conoscere le modalità di applicazione dei criteri di scelta dei licenziandi.
Il motivo è infondato.
Come già osservato da questa Corte, infatti, il lavoratore, il quale voglia far valere l’inefficacia o l’annullamento del licenziamento intimatogli, giusta quanto disposto dall’art. 5, terzo comma, e dall’art. 24, primo comma, della legge 23 luglio 1991, n. 223, in materia di “iter” procedurale per la messa in mobilità o per la riduzione del personale, è tenuto – a fronte dei numerosi adempimenti imposti dalle suddette norme – ad indicare le specifiche omissioni e le specifiche irregolarità addebitate e su cui fonda il “petitum”, in osservanza del disposto dell’art. 414 cod. proc. civ. ed in ragione dei criteri caratterizzanti il processo del lavoro. Solo quando il lavoratore che propone l’impugnativa abbia sufficientemente allegato i fatti costitutivi della pretesa azionata in relazione alla contestazione della mancata osservanza dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilità grava sul datore di lavoro l’onere di indicare e provare le circostanze di fatto poste a base dell’applicazione dei suddetti criteri (Cass. 8.8.2005 n. 16629). Nello stesso senso Cass. 19.5.2005 n. 10591, secondo cui è pacifico che nel giudizio di impugnativa di un licenziamento intimato a conclusione della procedura di mobilità ai sensi della legge 223/1991, il giudice di merito non può (per non incorrere nel vizio di extrapetizione) prendere in considerazione eventuali ulteriori ragioni di illegittimità della procedura stessa, in difetto di specifiche censure, in applicazione del principio di carattere processuale secondo cui la parte che chiede al giudice un determinato provvedimento è tenuta ad allegare tutte le circostanze e gli elementi di fatto che giustificano la proposizione della domanda, principio che, in caso di deduzione dell’illegittimità di un licenziamento, comporta la necessità di indicare i vizi di forma o di sostanza che lo inficiano, fermo restando che il datore di lavoro è onerato della prova dell’osservanza delle prescrizioni di legge. Il principio è stato recentemente ribadito da questa Corte con sentenze n.10420\17, n. 20436\15, secondo cui nel giudizio di impugnativa di un licenziamento intimato a conclusione della procedura diretta al collocamento di lavoratori in mobilità, a norma dell’art. 4 della I. n. 223 del 1991, il giudice di merito non può rilevare d’ufficio eventuali ragioni di illegittimità della procedura, incombendo sulla parte l’onere di allegare, tempestivamente, tutte le circostanze che giustificano la proposizione della domanda, inclusi i vizi di forma o di sostanza dei quali intenda avvalersi ai fini della inefficacia o annullabilità della procedura.
2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c. Lamenta che in sostanza la sentenza impugnata ritenne che avrebbe dovuto essere onere del lavoratore procurarsi la documentazione attestante le modalità di applicazione dei criteri di scelta presso gli enti pubblici (DTL) e non limitarsi a richiedere l’ordine di esibizione, ritenendo in sostanza onerato della prova non il datore di lavoro bensì il datore di lavoro.
Il motivo è infondato alla luce delle considerazioni svolte in ordine alla prima censura. A ciò aggiungasi che la critica del ricorrente non può accogliersi perché sostanzialmente propone un’applicazione analogica, nella materia dei licenziamenti collettivi, dell’onere di comunicazione dei motivi al singolo lavoratore che ne faccia richiesta ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 2, analogia cui è d’ostacolo la compiutezza e l’autosufficienza del meccanismo descritto dalla L. n. 223 del 1991, art. 4. Esso già prevede un’articolata procedimentalizzazione dei licenziamenti per riduzione di personale che culmina negli adempimenti di cui al comma 9 che, se per il singolo lavoratore si riducono alla mera comunicazione del recesso nel rispetto dei termini di preavviso, per le associazioni sindacali di categoria di cui al precedente comma 2 e per la pubblica amministrazione consistono nel rendere noti gli elenchi dei lavoratori licenziati, l’indicazione per ciascun soggetto del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età, del carico di famiglia e delle modalità con cui sono stati applicati i criteri di scelta.
Come ben si vede, l’analitica e puntuale disciplina dell’iter dei licenziamenti collettivi esclude lacune legislative e, con esse, la necessità di ricorrere all’estensione analogica della L. n. 604 del 1966, art. 2.
Ne consegue che il dipendente ben può chiedere ed ottenere informazioni sulle concrete modalità di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori licenziati, al fine di verificarne l’effettivo rispetto e – se del caso – far valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale (Cass. n. 1315\13), non potendo egli limitarsi a chiedere al giudice la declaratoria di illegittimità, in generale, della procedura.
3.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi, €.4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
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