CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 maggio 2017, n. 10844
Cigs – Criteri di scelta dei lavoratori da sospendere – Modalità di rotazione – Deroga
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Potenza, con sentenza del 5 giugno 2014, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva accolto le domande proposte da F.S. e G.A. nei confronti della N. Spa, dichiarando illegittima la sospensione in CIGS operata dalla società e condannandola al risarcimento del danno.
La Corte territoriale ha condiviso l’assunto del primo giudice che aveva accolto dette domande sul rilievo che: era stata omessa la comunicazione ex art. 1, co. 7, I. n. 223 del 1991; i criteri adottati nei tre accordi sindacali per derogare all’obbligo di rotazione in CIGS non erano specifici; l’esame congiunto si era svolto senza indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e delle modalità della rotazione.
2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso N. Spa con tre motivi.
Hanno resistito gli intimati con controricorso.
3. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente del 14.9.2016, la redazione della motivazione della sentenza in forma semplificata.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia “violazione della I. 15 marzo 1997, n. 59, art. 20, in relazione alla I. n. 223 del 1991, art. 1 e al DPR n. 218 del 2000, nonché all’art. 15 preleggi”, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui “ha affermato che la disciplina di cui al DPR 10.6.2000 n. 218 art. 2 non avrebbe alcuna efficacia abrogativa della legge 223/1991, art. 1, comma 7, relativo all’obbligo datoriale di comunicare in avvio della procedura alle OO.SS. i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere”.
Con il secondo motivo si denuncia “Violazione dell’art. 2 del DPR 218/2000, dell’art. 1, comma 7, I. n. 223 del 1991 e dell’art. 5 della I. 20 maggio 1975 n. 164”. Si deduce che la Corte di Appello avrebbe errato a ritenere la violazione dell’art. 1, co. 7, I. n. 223 del 1991, perché la legge non richiederebbe che la comunicazione ivi prevista debba avere una determinata forma né che in essa vengano indicati i criteri di selezione del personale da collocare in CIGS o specificazioni in ordine alla rotazione.
2. I due motivi, congiuntamente scrutinabili per connessione, sono infondati in ragione del principio di diritto reiteratamente espresso da questa Corte (Cass. ord. VI n. 26587 del 2011; conf. Cass. n. 193 del 2016 e molte altre; in origine v. Cass. n. 28464 del 2008).
Invero: “In tema di procedimento per la concessione della c.i.g.s. devono escludersi incompatibilità tra la normativa regolamentare introdotta con il d.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, e le disposizioni della legge 23 luglio 1991 n. 223: la disciplina regolamentare, che si limita a imporre all’imprenditore che intenda chiedere l’intervento straordinario di integrazione salariale l’obbligo di dare tempestiva comunicazione alle organizzazioni sindacali, attiene unicamente alla fase amministrativa di concessione dell’integrazione stessa, e nulla dice sul contenuto concreto della comunicazione, né detta alcuna disciplina in ordine ai criteri di scelta e, pertanto, non ha in alcun modo inciso sugli obblighi di rilevanza collettiva di cui all’art. 1, commi 7 e 8, della legge n. 223 citata. Né la normativa regolamentare ha spostato l’informazione circa i criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della comunicazione datoriale di avvio della procedura di integrazione salariale a quello, immediatamente successivo, dell’esame congiunto, atteso che, così opinando, il contenuto della norma di cui all’art. 2 del d.P.R. n. 218, citato, sarebbe del tutto estraneo all’ esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo, e avrebbe come conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri della parte datoriale con la compressione dei diritti d’informazione spettanti al sindacato, reclamando un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato”.
Val la pena aggiungere che, in generale, l’adeguatezza delle comunicazioni di avvio delle procedure di cui alla I. n. 223 del 1991 compete al giudice del merito verificare (v. da ultimo Cass. n. 17061 del 2016, in motivazione).
3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione delle stesse norme di legge di cui al secondo per avere la Corte di Appello ritenuto illegittima la sospensione in CIGS in quanto l’accordo sindacale “non ha avuto ad oggetto i criteri concreti di rotazione data la genericità delle formule indicate incentrate sulle esigenze tecniche organizzative, produttive e sul numero dei dipendenti e non sui meccanismi per la loro individuazione”. Parte ricorrente eccepisce che nessuna disposizione di legge prescriverebbe “oneri di forma per il verbale di accordo sindacale”.
Il motivo non può trovare accoglimento.
Una volta che la collocazione in cassa integrazione è risultata illegittima per violazioni attinenti alla comunicazione di apertura della procedura con accertamento che ha superato il vaglio di legittimità, il terzo motivo risulta inammissibile perché, anche ove fosse accolto, non travolgerebbe un decisum che autonomamente poggia anche su altra ratio decidendi (cfr., ex multis, Cass. n. 4349 del 2001, Cass. n. 4424 del 2001; Cass. n. 24540 del 2009),
3. Conclusivamente il ricorso va respinto.
Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5000, per compensi professionali, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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