CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 novembre 2016, n. 22434
Avviso di accertamento – Rettifica reddito da capitali – Maggior reddito – Documentazione extracontabile – Indagini bancarie
Svolgimento del processo
A.S., in qualità di socio della società M. Abbigliamento s.r.l., della quale possedeva una partecipazione pari al 99%, impugnava l’avviso di accertamento relativo all’anno 1999 con il quale, trattandosi di società a ristretta base azionaria, era stato rettificato il reddito da capitali percepito dal ricorrente, in conseguenza del maggior reddito accertato nei confronti della società, con separato avviso di accertamento, e scaturente dalla ricostruzione del reddito di impresa sulla base della documentazione extracontabile e delle risultanze delle indagini bancarie.
Nel ricorso si deduceva l’illegittimità del procedimento di accertamento eseguito nei confronti della società in quanto fondato su documentazione extracontabile acquisita senza autorizzazione della Procura della Repubblica, in locali non in uso alla società, nonché sulle base delle sole movimentazioni bancarie, in assenza di ulteriori riscontri probatori.
La CTP accoglieva il ricorso ed a seguito di appello proposto dall’Ufficio, la CTR di Latina con la sentenza n. 101/39/09 del 9 febbraio 2009 rigettava l’impugnazione.
Infatti, disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dal contribuente in ordine alla regolarità della notifica, riteneva che non fosse sufficientemente provata la riconducibilità della documentazione rinvenuta presso la società, sicché l’accertamento si basava su semplici presunzioni che non potevano essere condivise.
Per la cassazione di tale sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso, affidato a sei motivi denunciando sia nullità della sentenza per ritenute omissioni di pronuncia (par. 1) e/o di motivazione (par. 6), sia ripetuti vizi della complessiva giustificazione della decisione di merito sul fatto (parr. 2 – 4 – 5), sia violazione di norme (D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 32 D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51 e 54 e artt. 2697 e 2729 cod. civ.) di diritto sostanziali (par. 3).
A.S. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa del resistente m ragione dell’omessa indicazione del nominativo del legale rappresentate dell’Agenzia delle Entrate nonché dell’omessa specificazione dell’incarico conferito all’Avvocatura dello Stato, attesa la soggettività giuridica dell’Agenzia formalmente distinta dall’Amministrazione statale.
La giurisprudenza della Corte si è pronunciata su entrambe le questioni affermando che (cfr. Cass. n. 14785/2011) in tema di contenzioso tributario, l’Avvocatura dello Stato, per proporre ricorso per cassazione in rappresentanza dell’Agenzia delle entrate, deve avere ricevuto da quest’ultima il relativo incarico, del quale, però, non deve farsi specifica menzione nel ricorso atteso che l’art. 366, n. 5), cod. proc. civ., inserendo tra i contenuti necessari del ricorso “l’indicazione della procura, se conferita con atto separato”, fa riferimento esclusivamente alla procura intesa come negozio processuale attributivo dello “ius postulandi”, (peraltro, non necessario quando il patrocinio dell’Agenzia delle entrate sia assunto dall’Avvocatura dello Stato) e non invece al negozio sostanziale attributivo dell’incarico professionale al difensore (ed ancor prima si veda in senso conforme, Cass. S.U. n. 23020/2005).
Inoltre si è precisato (cfr. Cass. n. 5875/2013) che in tema di contenzioso tributario, stante la rappresentanza legale dell’Agenzia delle Entrate in capo al suo direttore generale ed il difetto di personalità giuridica delle rispettive articolazioni territoriali, non occorre necessariamente indicare nel ricorso per cassazione il nome della persona fisica preposta a tale carica, essendo individuato in modo incontrovertibile, per la circostanza sopradetta, ai sensi degli artt. 67 e 68 del d.lgs. n. 300 del 1999, quale unico rappresentante ed autorizzato “ex lege” a stare in giudizio davanti alla corte di cassazione (conf. ex multis Cass. 22761/2004).
Ne discende pertanto l’infondatezza di entrambi i rilievi.
2. Il primo motivo di ricorso, corredato da quesito di diritto, lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 55 e 36 del D. Lgs. n. 546/92, dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 277 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata avrebbe omesso del tutto di pronunziarsi sulla doglianza formulata dall’Ufficio con il terzo motivo di appello con il quale si contestava la non corretta valutazione da parte della CTP delle risultanze delle indagini bancarie, laddove la decisione di appello si era incentrata unicamente sull’uso della documentazione extracontabile, senza spendere alcuna parola sugli esiti degli accertamenti bancari.
Il secondo motivo di ricorso lamenta la motivazione insufficiente e contraddittoria, corredando la censura con quesito di sintesi, per avere confermato la decisione del giudice di primo grado, senza avere minimamente preso in esame gli esiti delle indagini condotte sui rapporti bancari della società e dei relativi soci.
Il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 39 del DPR n. 600/73 e degli artt. 51 e 54 del DPR n. 633/72, nonché degli artt. 2697 e 2729 c.c., in quanto si sarebbe affermato che la ricostruzione posta a fondamento dell’accertamento era supportata solo da semplici presunzioni in assenza di valide prove, laddove al contrario l’operato dell’Ufficio era basato sulla documentazione extracontabile rinvenuta in locali in uso alla società e sulla scorta delle movimentazioni bancarie.
In tal senso si sarebbe deciso in violazione dei costanti orientamenti della giurisprudenza di legittimità per i quali anche documenti rinvenuti con modalità analoghe a quelle verificatesi nella fattispecie, possono costituire indizi dotati dei caratteri richiesti dall’art. 2729 c.c. per procedere alla determinazione del reddito con metodo induttivo.
Con il quarto motivo, ed in via subordinata, si denunzia la motivazione insufficiente e contraddittoria su di un fatto controverso e decisivo rappresentato dall’avere affermato che non vi fossero prove a sostegno di quanto sostenuto nell’avviso impugnato, trascurandosi che lo stesso non era legato solo alle emergenze della documentazione extracontabile, ma anche agli accertamenti bancari, circostanza che emergeva chiaramente dal tenore dell’atto impugnato, la quale era stata ribadita dalla difesa dell’Ufficio, emergendo altresì dalla difesa del contribuente e dal contenuto della sentenza di primo grado.
Il quinto motivo denunzia motivazione insufficiente su di un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in quanto ancorché il contribuente avesse denunziato con il ricorso introduttivo l’illegittimità dell’accertamento poiché fondato su documentazione extracontabile acquisita, senza l’autorizzazione della Procura della Repubblica e presso locali non in uso alla società stessa, l’affermazione dei giudice di appello secondo cui non era sufficientemente provata la riconducibilità di tale documentazione rinvenuta presso la società contribuente, sicché l’accertamento operato si fondava su presunzioni semplici e su fragili elementi probatori, non appariva adeguatamente argomentata.
Infatti, se con tali espressioni si voleva sostenere che la documentazione de qua non riguardava in realtà la ricorrente, le stesse espressioni davano però adeguata contezza del tenore delle difese dell’Ufficio, che avevano evidenziato gli elementi fattuali in base ai quali era possibile attribuire i documenti m esame proprio alla M. Abbigliamento.
Il sesto motivo infine denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del D. Lgs. n. 546 del 1992 nonché dell’art. 132 co. 1 n. 4 c.p.c., in quanto il rigetto dell’appello sarebbe stato motivato con il semplice richiamo alle motivazioni dei giudici di primo grado, laddove la motivazione per relationem in grado di appello è consentita legittimamente nel solo caso in cui il giudice di appello facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, ancorché in maniera sintetica, le ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione proposti, situazione che non si presentava nel caso in esame.
3. Osserva il Collegio che anche la società, nelle more fallita, aveva proposto autonomamente ricorso avverso l’avviso di accertamento che la riguardava, e che, non essendosi disposta la sospensione del presente giudizio in attesa della definizione di quello concernente la società, quest’ultimo che, cosi come l’opposizione in esame, aveva visto soccombente l’Ufficio nei due gradi di merito, è pervenuto dinanzi a questa Corte, la quale con la sentenza n. 21997/2015, ha accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza impugnata con rinvio alla CTR del Lazio — sezione di Latina, in diversa composizione.
Avendo l’odierno resistente posto a fondamento del proprio ricorso originano doglianze che investivano la legittimità dell’accertamento operato nei confronti della società, cui di riflesso si ricollega la propria vicenda personale, emerge che i motivi oggi proposti dall’Ufficio siano del tutto sovrapponibili a quelli già delibati dalla Corte della precedente occasione (attesa anche l’identità delle motivazioni con le quali la CTR aveva confermato l’accoglimento del ricorso del contribuente).
Ritiene il Collegio che debba condividersi quanto statuito nei confronti della società, e che pertanto debba provvedersi all’accoglimento del ricorso dell’Ufficio.
In tal senso si ritiene che siano fondati i tre motivi di ricorso per vizi di motivazione laddove censurano la sentenza d’appello per avere trascurato sia le risultanze degli accertamenti bancari (n. 2), sia le movimentazioni dei conti della società e dei soci nel dettaglio (n. 4), sia la presenza di sicuri indicatori della riferibilità alla società contribuente della documentazione extracontabile rinvenuta (n. 5).
Ed invero la sentenza d’appello, per quanto scarna e lacunosa possa reputarsi, non mette in crisi il modello decisorio nella sua struttura formale. Essa è censurabile non tanto per omissioni invalidanti (motivi nn. 1 e 6) ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4 quanto per profili motivazionali di non compiutezza della giustificazione della decisione di merito su fatti decisivi e rilevanti ai fini del n. 5 della stessa norma di rito.
Si può parlare, infatti, di nullità della sentenza per “error in procedendo” solo se, per la non intelligibilità dei contenuti del testo e/o per la incompletezza della pronunzia finale, non sia rispettato il modello legale della decisione. Diversamente, se la decisione stessa contrasti con dati emergenti dagli atti e dalle difese, può trattarsi di errore di giustificazione della decisione di merito sul fatto, da denunciare solo come vizio motivazionale ex art. 360, n. 5.
Sotto tale aspetto la sentenza d’appello può dirsi adeguata sul piano logico e dimostrativo se il giudice esprima, sia pure in modo sintetico, chiare ragioni per la conferma o la riforma della prima pronuncia in relazione ai rilievi proposti, in modo tale che il percorso argomentativo sia appagante e corretto.
Va invece cassata, in forza dell’art. 360, n. 5 la sentenza d’appello laddove la laconicità della motivazione adottata non consenta di ritenere che alla (sostanziale) condivisione del giudizio di primo grado il giudice di merito pervenga attraverso l’esame critico e la valutazione approfondita dell’infondatezza delle tesi dell’appellante. Infatti è necessario che, sia pur sinteticamente, la commissione regionale dia idonea risposta ai rilievi della parte soccombente, potendo risultare solo per questa (minima) via appagante e corretto il percorso argomentativo eventualmente desumibile – anche implicitamente – attraverso l’integrazione delle motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado (Cass. 3636/07).
Nel caso in esame non è chiaro il procedimento logico che ha portato il giudice d’appello a ritenere non sufficientemente provato che sia riferibile alla Soc. M. Abbigliamento la documentazione extracontabile trovata dalla Guardia di finanza nell’ispezione di un garage nella disponibilità di altra società dello stesso gruppo aziendale. L’affermazione, che sul punto vorrebbe essere auto – evidente, si prospetta invece come “anapodittica” laddove non espone il criterio logico che porta il giudice a svalorizzare gli elementi accertati e richiamati negli atti fiscali riprodotti in ricorso.
Nè consta che il giudice d’appello abbia correlato sul piano della prova e dei relativi oneri processuali (a) i contenuti della documentazione extra contabile, (b) la loro conformità ai contenuti della memoria del computer pure rinvenuto e (c) le obiettive circostanze del loro rinvenimento. Il tutto è corroborato dai rilievi circa la movimentazione di assegni bancari, appurata con specifiche indagini e del tutto trascurata dal giudice d’appello.
Più in dettaglio, dal ricorso emerge che la Guardia di finanza, durante la verifica della C.M. S.r.l., ha individuato in un locale non dichiarato (e appartenente alla Soc. N.R.) “numerosa documentazione contabile ed extra contabile” riguardante pure “altre società tra quali anche M. Abbigliamento S.r.l. tutte riconducibili allo stesso gruppo aziendale della famiglia A.” (cfr., per similari accertamenti, Cass. 760/10, 1053/10, 5588/10, 5589/10, 15615/14).
Inoltre, “è stata rinvenuta in detto garage documentazione contabile riferita alla attività delle società verificata unitamente a un personal computer contenente i medesimi dati”.
In particolare risulta, dal processo verbale di constatazione, “che la contabilità in nero, sviluppata parallelamente a quella ufficiale, ha oggetto il periodo che va dal 25/10/1995 al 20/9/1999, ossia esattamente l’arco temporale in cui la verificata ha esercitato anche l’attività di vendita al dettaglio” e “che l’accesso è stato consentito, anche se a malincuore dalla parte, e non certo dal legittimo proprietario”.
Ed ancora, dalle indagini bancarie compiute nei confronti della Soc. M. Abbigliamento, dei suoi soci e dei loro familiari, sono emersi addebiti ed accrediti con movimenti complessivi di circa vecchie L. 4,2 miliardi. Essi sono ricondotti dal primo giudice “a pratiche finalizzate a procurare liquidità all’azienda”, però “senza esservi traccia nella contabilità dell’azienda”, come eccepito dall’appellante.
Si tratta di fatti storici esposti in ricorso e negli atti fiscali e processuali (ivi trascritti) sui quali il giudice, una volta investito dello specifico appello dell’ufficio, avrebbe dovuto soffermare la sua attenzione e motivare. Ne deriva che il negativo giudizio sulle prove presuntive offerte dal fisco e sulla loro derivazione resta figurativa, tautologica e inconsistente. Si consideri che, in tesi generale, il rinvenimento di una contabilità informale – tenuta su brogliacci, agende-calendario, block notes, memoria informatica, etc. – è indizio grave dell’esistenza d’imponibili non riportati nella contabilità ufficiale, il che legittima l’Amministrazione all’accertamento (Cass. 6949/06; conf. 25610/06 e 24051/11). Ne deriva che la documentazione extra contabile non può essere ritenuta di per sè rilevante o irrilevante, senza che alla conclusione finale, positiva o negativa, il giudice di merito giunga dopo l’analisi dell’intrinseco valore delle sue indicazioni e la loro comparazione con gli altri dati acquisiti e con quelli emergenti dalla contabilità ufficiale (Cass. 19329/06 e 3388/10).
Sull’accertamento così avviato incidono anche le risultanze dei conti bancari intestati a soci e loro familiari, riferendo alla medesima società le operazioni ivi riscontrate secondo elementi sintomatici evidenziati dalla peculiare fattispecie (Cass. 6595/13 e 26829/14).
In conclusione, disattesi il primo e il sesto mezzo, dai riscontrati vizi motivazionali derivano l’accoglimento di tutti i motivi dedotti ai sensi dell’art. 360, n. 5 (il secondo, il quarto e il quinto), l’assorbimento logico del terzo (addotto per ragioni giuridiche che presuppongono un corretto accertamento di fatto) e la cassazione della sentenza d’appello con rinvio al giudice competente per nuovo e più compiuto esame e regolamentazione delle spese anche del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il primo ed il sesto motivo, accoglie il secondo, quarto e quinto motivo, dichiara assorbito il terzo motivo, ed in conseguenza dell’accoglimento dei predetti motivi, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.