CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 novembre 2016, n. 22442
Accertamento fiscale – Maggiori ricavi – Emissione atto di contestazione di sanzioni
Ritenuto in fatto
1. Con l’avviso n. R9P032300571 l’Ufficio accertava maggiori ricavi per l’anno 1999 a carico della società Z. SRL ed irrogava alla società la sanzione pecuniaria in relazione a svariate violazioni alla stessa imputabili.
A seguito di questo avviso veniva emesso l’atto di contestazione n. R9PC02300229 nei confronti di Z. S. personalmente, socio e presidente del consiglio di amministrazione in qualità di autore delle violazioni, con il quale veniva determinata a carico di quest’ultimo la sanzione amministrativa, ai sensi degli artt. 2, comma 2, 5 e 11 del DLGS n. 472/1997, quale ideatore, organizzatore e coordinatore dell’intero disegno criminoso.
Z.S. proponeva ricorso, allegando l’avviso di accertamento, anziché l’atto di contestazione; con successiva nota il difensore chiariva l’errore e depositava l’atto di contestazione.
In primo grado, respinta l’eccezione di inammissibilità, proposta dall’Ufficio per violazione dell’art. 18, comma 2, lett. d) del DLGS n. 546/1992, il ricorso era parzialmente accolto sulla considerazione che la separata impugnazione proposta dalla società avverso l’avviso di accertamento aveva avuto esito favorevole alla stessa.
La decisione era appellata dall’Ufficio che sosteneva la definitività dell’atto di contestazione, perché non ritualmente impugnato, osservando che il ricorso del contribuente non aveva contestato i profili strettamente sanzionatori, ma l’infondatezza della pretesa tributaria: ne deduceva che il ricorso introduttivo originario avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.
La Commissione Tributaria Regionale delle Marche, con la sentenza n. 115/06/09, depositata il 07.05.2009 e non notificata, respingeva l’appello dell’Ufficio.
2. Secondo il giudice di appello non ricorreva l’inammissibilità del ricorso originario in quanto dall’esame dell’atto introduttivo non si evinceva alcuna incertezza sull’oggetto dell’impugnazione. Nel merito confermava la pronuncia di primo grado, sulla considerazione che l’appello dell’Ufficio, in merito ad altra sentenza concernente il presupposto avviso di accertamento, era stato anch’esso respinto.
3. L’Agenzia delle entrate ricorre su tre motivi, ai quali replica con controricorso Z. S..
Considerato in diritto
1.1. Preliminarmente va respinta l’eccezione di tardività della notifica del ricorso, che risulta eseguita entro il termine di un anno e 46 giorni dal deposito della sentenza, termine scaduto il 22.06.2010, giorno di spedizione della notifica eseguita dall’Ufficiale giudiziario a mezzo del servizio postale.
2.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione degli artt. 18 e 21, comma 4, del DLGS n. 546/1992, nonché dell’art. 112 cpc (art. 360, comma 1, n. 4, cpc).
Sostiene la ricorrente che la CTR ha errato nel confermare la sentenza di primo grado, implicitamente annullando l’atto di contestazione emesso nei confronti di Z. S., poiché questo non era stato impugnato dallo stesso – vertendo il ricorso originario sull’avviso di accertamento emesso nei confronti della società ed essendo inidoneo il mero successivo deposito dell’atto di contestazione, privo della richiesta di annullamento dello stesso, ad estendere l’oggetto del giudizio.
2.2. Il motivo è infondato. Al riguardo va richiamato l’orientamento di questa Corte (sentenze nn: 21170/2005, 6391/2006, 29394/2008, 15444/2010, 6130/2011, 26560/2014) secondo il quale le previsioni di inammissibilità nel processo tributario, proprio per il loro rigore sanzionatorio, devono essere interpretate in senso restrittivo, limitandone cioè l’operatività ai soli casi nei quali il rigore estremo è davvero giustificato.
La CTR ha seguito tale criterio, illustrando – sia pure sinteticamente – gli elementi e le ragioni per cui ha ritenuto che non vi fosse incertezza sull’oggetto dell’impugnazione, segnatamente considerando che l’esercizio della difesa dello Z. non doveva ritenersi solo limitata alla sussistenza del vincolo dell’obbligazione solidale degli effetti sanzionatori, ma poteva essere estesa – come era avvenuto – anche a tutti i profili che attenevano alla sussistenza delle violazioni contestate e che costituivano il presupposto dei profili sanzionatori, come nel caso era avvenuto. Tale accertamento in fatto della CTR non risulta essere stato censurato sul piano motivazionale ed il motivo va respinto per infondatezza.
3.1 Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, cpc), sostenendo che la CTR ha errato nell’annullare l’irrogazione della sanzione nei confronti del socio e presidente del consiglio di amministrazione, sulla considerazione che il ricorso avverso l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, ritenuto pregiudiziale, era stato annullato con sentenza non ancora irrevocabile.
3.2. Con il terzo motivo si denuncia, in via subordinata, la omessa applicazione dell’art. 295 cpc (art. 360, comma 1, n. 4, cpc) sostenendo che in una situazione di rapporto di pregiudizialità, come quello considerato già con il secondo motivo, la CTR aveva errato a non sospendere il giudizio ex art. 295 cpc.
3.3. Il secondo motivo è fondato e va accolto.
3.4. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare in una fattispecie identica (Cass. n. 16615/2015)), nel caso di specie il giudice di appello, riconoscendo portata decisiva alla pronuncia emessa da altro collegio della CTR, che in altro, separato, procedimento, aveva parzialmente annullato l’accertamento dei maggiori utili della società di capitali che costituivano il presupposto per l’irrogazione delle sanzioni nei confronti dello Z., ha attribuito efficacia vincolante a tale sentenza che, però, non era ancora passata in giudicato, tanto da essere stata successivamente oggetto di ricorso per cassazione. Deve al riguardo rilevarsi che sussiste effettivamente rapporto di pregiudizialità – dipendenza tra la causa avente ad oggetto la statuizione sui maggiori utili della società e quella, conseguente, relativa alla irrogazione delle sanzioni nei confronti dell’amministratore.
3.5. Considerato peraltro che le cause non erano riunite, la CTR ha erroneamente esteso, in via automatica, alla causa “dipendente” l’efficacia di una pronuncia, pregiudiziale, che non era ancora definitiva, in violazione dei principi in materia di giudicato esterno, che attribuisce tale efficacia “riflessa” alle sole sentenze definitive.
La CTR nella sentenza impugnata risulta essersi discostata da tali principi, essendosi limitata a rinviare alla pronunzia, resa in altro procedimento, e non ancora passata in giudicato.
3.6. La disamina del terzo motivo è assorbita dall’accoglimento del secondo.
4.1. In conclusione il ricorso va accolto sul secondo motivo, assorbito il terzo ed infondato il primo; la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla CTR delle Marche in altra composizione per il riesame e la statuizione anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
– accoglie il ricorso sul secondo motivo, assorbito il terzo ed infondato il primo;
– cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR delle Marche in altra composizione per il riesame e la statuizione anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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