CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 aprile 2017, n. 8830
Licenziamento disciplinare – Periodo di malattia – Scadenza – Assenza ingiustificata – Contestazione
Svolgimento del processo
S.G. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma con cui venne respinta la sua domanda volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli in data 28.8.10 da P.I., per assenza ingiustificata successivamente al 14.6.2010, quando era scaduto il periodo di malattia documentato.
Instauratosi il contraddittorio, con sentenza depositata il 22 aprile 2014, la Corte d’appello di Roma accoglieva il gravame, dichiarando l’illegittimità del licenziamento per assenza di prova dell’avvenuta preventiva contestazione degli addebiti, con le conseguenze di cui all’art. 18 L. n. 300\70.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società P.I., affidato due a motivi, poi illustrati con memoria.
Resiste il G. con controricorso.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 437, capoverso, 115, 116 e 215 c.p.c.
Lamenta che la sentenza impugnata ritenne non dimostrato il recapito al lavoratore della contestazione degli addebiti, in base al certificato anagrafico prodotto dal G. solo in grado di appello (attestante un cambio di residenza); ed in base alla dichiarazione proveniente dall’ufficio recapito di Roma ostiense, sempre prodotta solo in grado di appello, da cui risultava che la raccomandata sarebbe stata consegnata ad un soggetto diverso dal destinatario.
1.1 – Il motivo è in larga parte inammissibile in quanto diretto, nel regime di cui al novellato n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., ad una rivalutazione dei fatti da parte di questa S.C. Quanto alla denunciata violazione dell’acquisizione di nuova documentazione in appello, occorre in primo luogo evidenziare che secondo il consolidato orientamento di questa Corte anche l’eventuale nullità relativa alla deduzione, tempestività, ammissione e assunzione della prova debbono essere tempestivamente eccepite, rimanendo sanate ove l’atto istruttorio sia stato compiuto senza opposizione della parte che vi ha assistito (Cass. 12 agosto 2011 n. 17272; Cass. 29 luglio 2011 n. 16781).
In secondo luogo deve rilevarsi che l’acquisizione di (ulteriore) documentazione anagrafica o postale (quest’ultima quale gestore del servizio postale) non risulta in contrasto con l’invocato art. 437 c.p.c., avendo la corte capitolina accertato che il lavoratore allegò e lamentò, sin dal giudizio di primo grado, la mancata comunicazione della contestazione e trattandosi di documentazione indispensabile ai fini del decidere.
2. – Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1335 c.c. e dell’art. 8 L. n. 890\82 e degli artt. 20 e 25 del d.m. 1° ottobre 2008. Lamenta che in base alle norme citate la lettera raccomandata costituisce prova certa della trasmissione del plico spedito, attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo al destinatario dell’atto comprendente la busta ed il suo contenuto, e dunque di conoscenza del medesimo ex art. 1335 cod. civ. Spetta di conseguenza al destinatario l’onere di dimostrare che il plico non conteneva alcuna lettera al suo interno, e dunque la mancata conoscenza dell’atto (Cass. n. 23920\13).
Deve tuttavia rilevarsi che altro e più recente arresto di questa Corte (Cass. n. 20167\14) ha stabilito che la presunzione di conoscibilità di un atto giuridico recettizio richiede la prova, anche presuntiva, ma avente i requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ. (gravità, univocità e concordanza), che esso sia giunto all’indirizzo del destinatario, sicché, in caso di contestazione, la prova della spedizione attraverso il servizio postale non è in sé sufficiente a fondare la presunzione di conoscenza, salvo il caso in cui, per le modalità di trasmissione dell’atto (raccomandata, anche senza avviso di ricevimento, o telegramma), e per i particolari doveri di consegna dell’agente postale, si possa presumere l’arrivo nel luogo di destinazione. La ricorrente Poste non fornisce adeguati elementi a sostegno di tale presunzione.
D’altro canto vi è stato nella specie un adeguato accertamento da parte della corte di merito, che ha ritenuto non provato, in fatto, il recapito presso l’effettivo domicilio o residenza del G., escludendo peraltro, com’è pacifico tra le parti, l’indirizzo di Via (…) da Montecorvino, come emergeva dalla documentazione anagrafica.
Le censure si sostanziano dunque in una diversa valutazione ed apprezzamento dei fatti, in contrasto col novellato n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c.
Quanto alla dedotta novità della questione afferente la mancata rituale contestazione degli addebiti, non può che rilevarsi quanto accertato dalla sentenza impugnata, e cioè che il lavoratore contestò, sin dal giudizio di primo grado, l’avvenuta rituale comunicazione della contestazione, né l’attuale ricorrente documenta in alcun modo il suo contrario assunto.
3. – Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e, liquidate come da dispositivo, debbono distrarsi in favore del difensore del G., dichiaratosi anticipante.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi, € 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore dell’avv. G.B. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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