CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 gennaio 2017, n. 572
Bancarotta – Denaro proveniente dal delitto di bancarotta
Ritenuto in fatto
1 – Con sentenza dell’11 maggio 2016 il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma dichiarava non luogo a procedere nei confronti di M.S., P.T. e F.G. in ordine al delitto loro ascritto ai sensi degli artt. 110 e 648 bis, commi 1 e 2, cod. pen., per avere, tutti quali funzionari della B.P.A., filiale di Jesi, sostituito denaro proveniente dal delitto di bancarotta consumato da R.M., richiedendo, lo S., e monetizzando, gli altri due, in denaro contante 6 assegni circolari dell’importo totale di euro 72.000, tratti da valuta della I.C. srl (dichiarata fallita con sentenza del 24 gennaio 2013), così compiendo operazioni idonee ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa anche grazie all’interposizione nella negoziazione degli stessi della madre e della moglie del T. e dei genitori del G.; fatti consumati in Jesi nel luglio 2009.
Il Giudice, sulla scorta del principio di diritto fissato da questa Corte con sentenza n. 23052 del 23 aprile 2015, aveva ritenuto che il delitto contestato agli imputati potesse configurarsi solo in relazione a condotte poste in essere in epoca successiva alla declaratoria del fallimento perché, solo in tale data, si poteva considerare consumato il delitto di bancarotta presupposto.
2 – Propone ricorso avverso la predetta ordinanza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma censurando la decisione del giudice in quanto il delitto presupposto non poteva considerarsi inesistente o non perfezionato posto che, se anche gli elementi costitutivi dell’ipotesi di bancarotta non si erano tutti avverati non essendo stato ancora dichiarato il fallimento, le condotte che avevano consentito il lucro oggetto del contestato delitto di riciclaggio avevano pur sempre rilievo penale, concretando, a danno della società poi fallita, il delitto di appropriazione indebita aggravata, punibile ai sensi degli artt. 110, 646, 61 n. 11. cod. pen., un delitto che non poteva, però essere contestato sotto quella forma, una volta che era subentrata la dichiarazione di fallimento.
Ricordava poi il ricorrente che, per ritenere consumato il delitto di riciclaggio, non è neppure necessario che si accerti l’esatta tipologia del delitto presupposto, essendo sufficiente che emerga che i valori provengano da un delitto non colposo (Cass. n. 546 del 7 gennaio 2011) posto che, altrimenti, si dovrebbe concludere per la sussistenza di una sorta di impunità per i fatti consumati ai danni di società poi fallite se commessi prima della declaratoria dell’insolvenza.
Il rinvio a giudizio di alcuni imputati e la condanna in sede di rito abbreviato di un coimputato dimostrava che, secondo lo stesso decidente, il delitto presupposto si era effettivamente consumato, seppure sotto il titolo di bancarotta imposto dall’intervenuta sentenza di fallimento.
3 – Il difensore di F.G. deposita memoria nella quale sviluppa argomentazioni adesive alla decisione impugnata, ricordando i tempi di consumazione delle condotte contestate che erano anteriori alla declaratoria di fallimento e, quindi, alla consumazione degli ipotizzati delitti presupposti di bancarotta.
Si doveva anche considerare che il delitto di bancarotta per distrazione avrebbe potuto anche rivelarsi insussistente se, chi aveva prelevato i fondi e li aveva consegnati all’indagato, li avesse poi riversati, avendoli avuti in restituzione dal G., nella casse sociali prima della declaratoria di fallimento, realizzando così una “bancarotta riparata”.
4 – Il difensore di S. ha chiesto, in sede di discussione del ricorso, di poter produrre la sentenza, non definitiva, di proscioglimento di R.M., assumendone la rilevanza ai fini della prova della sussistenza del delitto presupposto.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato.
1 – Il più recente arresto di questa Corte è nel senso che i delitti di ricettazione e riciclaggio riguardanti il provento del reato di bancarotta fraudolenta sono configurabili anche nell’ipotesi di distrazioni fallimentari compiute prima della dichiarazione di fallimento, in tutti i casi in cui tali distrazioni erano “ab origine” qualificabili come appropriazione indebita, ai sensi dell’art. 646 cod. pen. (Sez. 2, n. 33725 del 19/04/2016, Dessi, Rv. 267497).
Un giudizio, questo, che si condivide in considerazione del rapporto in cui si trovano il delitto di appropriazione indebita (aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 11 cod. pen., in considerazione delle qualità dei soggetti agenti; e quindi anche procedibile d’ufficio) e il delitto di bancarotta patrimoniale in ragione del quale il secondo assorbe il primo (ai sensi dell’art. 84 cod. pen., divenendo l’appropriazione un elemento costitutivo della bancarotta: così Sez. 5, n. 2295 del 03/07/2015, Marafioti, Rv. 266018) quando la società, a danno della quale l’agente ha realizzato la condotta appropriativa (che diviene distrattiva), venga dichiarata fallita.
La diversa opinione non tiene, infatti, conto di tale progressione criminosa e finisce per affermare l’irrilevanza penale delle indicate condotte di appropriazione indebita solo perché le stesse sono state erroneamente qualificate come condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in contrasto con il potere, ed il dovere, del giudice di attribuire al fatto storico sottoposto al suo giudizio l’esatta qualificazione giuridica (con i possibili riflessi sanzionatori derivanti dalla applicazione al caso concreto dell’attenuante prevista dal comma terzo dell’art. 648 bis cod. pen.).
Del resto questa Corte ha anche affermato che, ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio, non si richiedono l’esatta individuazione e l’accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile (Sez. 6, n. 28715 del 15/02/2013, Alvaro, Rv. 257206).
2 – Quanto poi alla obiezione da ultimo avanzata dal difensore dello S. circa il proscioglimento del M. dal delitto presupposto con sentenza non definitiva, accompagnata dalla istanza di produzione del documento che secondo la difesa avrebbe già dovuto essere presente agli atti, la Corte non ha, innanzitutto, potuto accogliere l’istanza non essendo consentita, nella fase di legittimità, la produzione di atti quando questa sarebbe stata possibile, come affermato dallo stesso difensore, nei precedenti giudizi di merito (Sez. 5, n. 45139 del 23/04/2013, Casamonica, Rv. 257541) e tale produzione sarebbe stata comunque irrilevante in considerazione del fatto che il proscioglimento del M. non è definitivo (Sez. 2, n. 10746 del 21/11/2014, Bassini, Rv. 263156) e che questa Corte avrebbe dovuto operare un non consentito giudizio di fatto sulla consunzione del delitto presupposto ad esito della sentenza pronunciata nei confronti del M..
3 – Ne consegue che la sentenza di non luogo a procedere del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma va annullata con rinvio al medesimo ufficio per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame.
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