CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 luglio 2017, n. 16564
Tributi – Accertamento – Attività di allevamento – Dichiarazione dei redditi – Omessa presentazione
Rilevato che
l’Agenzia delle entrate ricorre con tre motivi, nei confronti di E.L.I. (che non svolge difese nella presente sede), avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Commissione tributaria regionale della Sicilia ha rigettato l’appello dell’Ufficio, ritenendo illegittimo l’avviso di accertamento emesso nei confronti del predetto, esercente attività di allevamento di bovini e caprini, per Iva Irpef e Irap in relazione all’anno 1999, sulla base di reddito induttivamente determinato, stante l’omessa presentazione della denuncia dei redditi;
che i giudici d’appello hanno ritenuto infatti le argomentazioni dell’appellante «prive di alcuna allegazione probatoria» e che non erano ricavabili dal verbale della Guardia di Finanza elementi utili e conducenti;
che, a tale ultimo riguardo, hanno in particolare osservato che «l’iter seguito dagli agenti accertatori, seppur apprezzabile sotto un profilo teorico, non può assumere alcuna rilevanza dal punto di vista strettamente giuridico, poiché esso, al fine di determinare la produttività dell’allevamento, si fonda sostanzialmente su uno studio di settore (sic!) elaborato dal Comando della Tenenza di Sciacca, non previsto dal nostro ordinamento»;
considerato che con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39, comma secondo, lett. a), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., rilevando che, trattandosi nel caso di specie di accertamento d’ufficio, ben potevano i militari verificatori utilizzare, al fine di determinare la produttività dell’allevamento, i dati posti a base della verifica e poi dell’accertamento (dati ricavati da una indagine di polizia economica e veterinaria, effettuata dalla Guardia di Finanza di Sciacca con la collaborazione dell’Associazione degli allevatori della provincia di Agrigento, in merito alla produttività degli allevamenti di ovini/caprini e bovini);
che con il secondo motivo la ricorrente denuncia altresì motivazione illogica su fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di considerare che, come emergeva dalla pagina 13 del p.v.c., per l’anno in questione erano annotati nel «registro carico e scarico» n. 610 capi e per avere ritenuto, contrariamente ad ogni logica, che un gregge siffatto non abbia prodotto alcun reddito imponibile, agrario o di impresa ex artt. 29, 51 e 78 t.u.i.r.;
che, con il terzo motivo, la ricorrente denuncia infine violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1, 2 e 7 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., per avere la C.T.R., quale giudice non solo dell’impugnazione dell’atto ma anche del rapporto tributario, omesso comunque di quantificare il debito fiscale, determinando autonomamente il reddito imponibile attraverso un esame diretto degli atti a disposizione ed eventualmente utilizzando a tal fine criteri diversi da quelli adottati dall’Ufficio;
ritenuto che sono fondati i primi due motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili per la loro intima connessione, con assorbimento del terzo;
che, al riguardo, giova preliminarmente precisare che, in ipotesi, quale quella di specie, di mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, l’Ufficio procede all’accertamento ai sensi del secondo comma dell’art. 39 (ove si tratti di redditi d’impresa) e/o dell’art. 41 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (c.d. accertamento d’ufficio), in entrambi i casi «sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza»;
che in tal modo l’Ufficio è autorizzato a determinare il reddito complessivo del contribuente medesimo con facoltà di ricorso a presunzioni c.d. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale può fornire elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito (risultante algebrica di costi e ricavi) non è stato prodotto o che è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’ufficio (v. Cass. del 13/02/2006, n. 3115; Cass. del 18/06/2003, n. 9755; Cass. del 02/12/2002, n. 17016);
che la decisione impugnata appare non in linea con tale quadro di riferimento normativo, esprimendo un ingiustificato rigore valutativo circa l’idoneità degli elementi posti a base dell’accertamento in realtà rappresentati – alla stregua di quanto specificamente evidenziato in ricorso, con richiamo ad atti che risultano ritualmente acquisiti al giudizio (avviso di accertamento e p.v.c. ad esso allegato) e con pieno assolvimento, dunque, dell’onere di autosufficienza – dagli esiti di una indagine condotta dalla Guardia di Finanza con la collaborazione dell’associazione degli allevatori della provincia di Agrigento in merito alla produttività degli allevamenti di ovini/caprini e bovini, la quale non può aprioristicamente ritenersi inidonea a offrire (in rapporto al non irrilevante numero di capi posseduto dal contribuente, quale risultante dalla verifica, siccome pure specificamente evidenziato in ricorso) gli argomenti presuntivi richiesti ai fini dell’accertamento, potendo questo essere condotto nel caso di specie, per le ragioni dette, anche sulla base di indizi privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza;
che in accoglimento del ricorso, la sentenza va cassata e la causa rinviata al giudice a quo, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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