CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 dicembre 2017, n. 29180
Imposte – Accertamento – Determinazione del reddito complessivo – Deducibilità spese – Registrazione contabile
Fatti di causa
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con due motivi nei confronti della sentenza della Commissione tributaria centrale che, rigettandone il ricorso – nel giudizio introdotto dall’ENPAIA, ente pubblico previdenziale del settore agricolo, con l’impugnazione dell’avviso di accertamento ai fini dell’IRPEG e dell’ILOR per il 1979 con il quale veniva negata la deducibilità di spese sostenute ai sensi dell’art. 21, terzo comma, del d.P.R. n. 598 del 1973 -, ha ritenuto che, per la determinazione del reddito complessivo del contribuente, da considerare ente non commerciale a mente dell’art. 2, lettera c), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, occorreva far riferimento ai successivi artt. 19, 20 e 21; ne derivava che, non sussistendo una contabilità separata, i costi e gli oneri, compresi gli interessi passivi, erano deducibili ai sensi dell’art. 21, terzo comma
L’ente contribuente non ha svolto attività nella presente sede.
Ragioni della decisione
Col primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del d.P.R. n. 598 del 1973, l’amministrazione ricorrente, posto che è incontroversa la natura di ente non commerciale dell’ENPAIA, censura la Commissione tributaria centrale per avere erroneamente ritenuto che da ciò deriverebbe ipso facto che, in assenza di una contabilità separata – cui fa riferimento il secondo comma -, debba trovare applicazione il terzo comma dell’art. 21, che consente all’ente non commerciale la deduzione dei costi in misura proporzionale in relazione alle attività commerciali da questo occasionaImente svolte in via eventuale in margine a quelle istituzionali (cd. attività promiscua). Ciò perché sarebbe estraneo alla ratio della disposizione l’effetto di consentire una deduzione di costi qualora l’ente non svolga attività commerciali occasionali, sicché potrebbe ammettersi la deduzione di componenti negativi del reddito di un ente non commerciale ai sensi dell’art. 21, terzo comma, del d.P.R. n. 598 del 1973 soltanto qualora l’ente svolga un’attività promiscua, cioè compia a margine dell’attività istituzionale anche un’attività di natura commerciale.
Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione: posto che è controverso se la percezione di interessi su mutui ipotecari e su prestiti a iscritti e dipendenti compiuti dall’ENPAIA, ente pubblico preposto alla previdenza e assistenza per gli impiegati dell’agricoltura, risponda ad un’attività istituzionale o commerciale, l’amministrazione ricorrente osserva che il punto di fatto in astratto sarebbe stato decisivo poiché, qualora l’attività in parola si fosse qualificata corre commerciale, essa avrebbe potuto dar luogo alle deduzioni disconosciute dall’ufficio. Tuttavia, non avendo la sentenza impugnata preso posizione sul punto, in ragione della particolare applicazione, censurata, dell’art. 21, terzo comma, del d.P.R. n. 598 del 1973, qualora si volesse ritenere che il giudice abbia inteso implicitamente affermare la natura commerciale dell’attività in questione, la sentenza dovrebbe allora ritenersi priva di motivazione sul punto.
I motivi, da trattare congiuntamente in quanto strettamente legati, sono fondati.
Questa Corte ha avuto modo di chiarire corre nella determinazione “ai fini IRPEG del reddito imponibile degli enti non commerciali, corre regolato dal titolo III del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598 (applicabile alla specie “ratione temporis”), la disciplina della deducibilità dei costi e degli oneri dettata dall’art. 21, terzo comma, ha riguardo ai soli enti che svolgano attività “promiscua”, e cioè, accanto all’attività “istituzionale” – per definizione non commerciale, per la quale sono configurabili solo redditi fondiari e di capitale -, un’attività commerciale, sia pure occasionale, che dia luogo a un reddito d’impresa, ancorché per questa attività non sia stata tenuta (“in mancanza di”) quella “contabilità separata” prescritta in linea generale dal secondo comma dello stesso art. 21. Con la disposizione del terzo canna – derogatoria rispetto a quella del comma precedente, ma anch’essa rivolta ai soli soggetti che svolgano attività “promiscua” – si è, infatti, introdotta “la regola della proporzionalità” della deduzione, ispirata ad un atteggiamento di “favor” nei confronti degli enti non commerciali, al fine di non escludere la possibilità di deduzione di costi in assenza di una “contabilità separata”, benché non sia possibile, in ragione di tale assenza, quell’immediato riconoscimento dell’inerenza del costo che ne costituisce la condizione di deducibilità ai fini della determinazione del reddito d’impresa. Per gli enti non commerciali che svolgano esclusivamente attività “istituzionale”, i relativi redditi, fondiario e di capitali, si determinano invece, alla luce degli artt. 19, 20 e 21, primo corra, del d.P.R. n. 598 del 1973, secondo le specifiche norme che disciplinano le singole categorie di reddito – rispettivamente, gli artt. 24, 30, 34, e l’art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 -, e come tali sono già assunti al netto per la formazione del reddito complessivo imponibile” (Cass. n. 28701 del 2005, n. 26737 del 2016).
La Commissione tributaria centrale è incorsa quindi nella violazione di legge ad essa addebitata.
Il ricorso deve essere pertanto accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata alla Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale procederà ad un nuovo esame della controversia uniformandosi al principio di diritto sopra enunciato – e quindi anche a verificare la ricorrenza nella specie dello svolgimento da parte dell’ente di “attività promiscua” -, oltre a provvedere in ordine alle spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio.
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