CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 dicembre 2017, n. 29241
Applicazione della tutela reale – Requisito dimensionale – Prova della natura autonoma dell’articolazione aziendale – Fatti non allegati dalle parti – Eccezione in senso lato – Esercizio dei poteri d’ufficio ex art. 421 c.p.c.
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Catanzaro, per quanto qui ancora interessa, ha confermato la sentenza del Tribunale di Crotone che ha ritenuto dimostrato il requisito dimensionale per l’applicazione della tutela reale nella controversia avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato dalla E. s.r.l. a A.D.S. in data 24 marzo 2009.
2. Il giudice di appello ha in primo luogo escluso che i dipendenti in servizio presso un’unità produttiva diversa da quella in cui prestava la sua attività la D.S., in mancanza di prova della natura autonoma dell’articolazione aziendale, dovessero essere esclusi dal computo dei lavoratori in servizio in relazione all’art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300. Inoltre ha ritenuto irrilevanti le contingenti ed occasionali contrazioni della manodopera osservando che il criterio da utilizzare era quello della normale occupazione. Pertanto ha accertato che, anche esclusa la dipendente assunta per soli tre mesi in sostituzione di altra lavoratrice assente per maternità e del dipendente assunto in epoca successiva al licenziamento, vi erano in servizio 17 lavoratori.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre la E. s.r.l. che denuncia in via principale l’avvenuta violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 112, 115, 116 e 420 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ. e, in via subordinata, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ.. A.D.S. si è difesa con controricorso. La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. insistendo nelle conclusioni già prese.
Ragioni della decisione
4. Con il primo motivo di ricorso ci si duole del fatto che la Corte territoriale avrebbe posto in discussione la circostanza di fatto dell’autonomia dell’unità produttiva sita nella provincia di Cosenza rispetto a quella di Crotone dove era in servizio la lavoratrice, che in giudizio non era mai stata specificatamente contestata e pertanto doveva essere ritenuta accertata. Nella prima difesa utile (all’udienza dell’8 luglio 2010) si era infatti osservato solo che non si trattava di un soggetto giuridico diverso dalla E. s.r.l. e la contestazione aveva genericamente investito il numero dei lavoratori e non, specificatamente, quelli che componevano l’organico di Crotone; inoltre con erronea applicazione dell’art. 18 comma 8 dello Statuto che prevede una autonomia funzionale amministrativa e non anche una autonomia giuridica, non erano state specificatamente indicate le ragioni per le quali non vi sarebbe stata autonomia organizzativa tra le due unità produttive.
4.1. La censura è priva di fondamento poiché, in materia di licenziamento, l’eccezione di inapplicabilità della tutela reale del lavoratore subordinato, ai sensi dell’art. 18 della I. n. 300 del 1970, integra una eccezione in senso lato, con la conseguenza che è nella facoltà del giudicante, nell’esercizio dei suoi poteri d’ufficio ex art. 421 c.p.c., con riferimento ai fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio, ammettere la prova indispensabile per decidere la causa sul punto (cfr. Cass. 23/05/2017 n. 12907)
4.2. In tema di riparto dell’onere probatorio, ai fini dell’applicazione della tutela reale o obbligatoria al licenziamento di cui sia accertata l’invalidità, sono fatti costitutivi del diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l’attività e, sul piano processuale, dell’azione di impugnazione del licenziamento, esclusivamente l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l’illegittimità dell’atto espulsivo, mentre le dimensioni dell’impresa, inferiori ai limiti stabiliti dall’art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300, costituiscono, insieme al giustificato motivo del licenziamento, fatti impeditivi che devono, perciò, essere provati dal datore di lavoro. L’assolvimento di un siffatto onere probatorio consente a quest’ultimo di dimostrare, ex art. 1218 c.c., che l’inadempimento degli obblighi derivatigli dal contratto non è a lui imputabile e che, comunque, il diritto del lavoratore a riprendere il suo posto non sussiste, con conseguente necessità di ridurre il rimedio da lui esercitato al risarcimento pecuniario.
L’individuazione di siffatto onere probatorio a carico del datore di lavoro persegue la finalità di non rendere troppo difficile l’esercizio del diritto del lavoratore, il quale, a differenza del datore di lavoro, è privo della “disponibilità” dei fatti idonei a provare il numero dei lavoratori occupati nell’impresa (cfr. Cass. s.u. 10/01/2006 n. 141 ed inoltre, più recentemente Cass. 16/03/2009 n. 6344 e Cass. 19/04/2017 n. 9867).
4.3. Quanto alla denunciata errata applicazione del principio di non contestazione, va in via generale rilevato che il sistema di preclusioni del processo civile tuttora vigente e di avanzamento nell’accertamento giudiziale dei fatti mediante il contraddittorio delle parti, se comporta per queste ultime l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa, evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione, suppone che la parte che ha l’onere di allegare e provare i fatti, anzitutto specifichi le relative circostanze in modo dettagliato ed analitico così che l’altra abbia il dovere di prendere posizione verso tali allegazioni dettagliate e di contestarle ovvero di ammetterle, in mancanza di una risposta in ordine a ciascuna di esse (cfr. Cass. 15/10/2014 n. 21847).
4.4. Ciò posto va poi rilevato che, poiché ai fini dell’accertamento del requisito dimensionale richiesto per l’applicabilità dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 il numero dei dipendenti di una articolazione aziendale priva di autonomia va sommato a quello dei lavoratori operanti presso la unità produttiva a cui la medesima fa capo, anche se ubicata in un altro comune (cfr. tra le altre Cass. 04/10/2004 n. 19837 e Cass. 10/11/1997 n. 11092) ove la datrice di lavoro intenda avvalersi di questa autonomia organizzativa ed amministrativa è tenuta ad allegare specificatamente che le unità sono autonome sia sotto il profilo organizzativo che sotto quello amministrativo ( cfr. Cass. 11/04/2012 n. 7989). Solo a fronte di tale puntuale e specifica allegazione la mancata tempestiva contestazione comporta che il fatto debba ritenersi ammesso.
4.5. Nel caso di specie, al contrario, la stessa ricorrente nel riportare i passi delle difese articolate nei gradi di merito ha dato la dimostrazione del fatto che tale specifica allegazione non vi era stata atteso che ciò che risulta è solo che alcuni dei lavoratori conteggiati erano in servizio in un’altra unità.
4.6. Ne consegue che esclusa la non contestazione il giudice senza incorrere nella denunciata violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e delle altre disposizioni denunciate ha correttamente disposto gli approfondimenti che ha ritenuto necessari e con valutazione indenne da vizi ha ritenuto l’unicità della struttura aziendale sotto il profilo amministrativo ed organizzativo e conseguentemente sussistente il requisito dimensionale per la reintegrazione.
5. Anche il secondo motivo di ricorso, con il quale ci si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ. non può essere accolto. Ad avviso della ricorrente la Corte non avrebbe chiarito in base a quali elementi di fatto avrebbe ritenuto che l’attività svolta dall’unità produttiva di Rende fosse strumentale e deputata a funzioni ausiliarie.
5.1. Va tuttavia al riguardo rilevato che premesso che al procedimento in esame trova applicazione l’art. 348 ter comma 5 cod. proc. civ. , applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e che pertanto il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse. Poiché l’odierna ricorrente non vi ha provveduto la censura è inammissibile.
5.2. Peraltro va anche qui ribadito che, poiché è onere della società allegare e dimostrare l’insussistenza del requisito dimensionale per l’applicabilità dell’art. 18 dello Statuto, gravava sul datore di lavoro la dimostrazione dell’autonomia dell’articolazione aziendale ai fini della non cumulabilità dei lavoratori operanti presso tale unità produttiva con quelli in servizio in altra eventualmente ubicata in altro comune (cfr. Cass. 11/04/2012 n. 7989 cit.),
6. In conclusione, per le esposte considerazioni, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 5000,00 per compensi professionali, ed € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie ed accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R..
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