CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 febbraio 2018, n. 2942
Agevolazioni fiscali – Piccola proprietà contadina – Accertamento – Riscossione – Cartella di pagamento – Notificazione
Fatti rilevanti e ragioni della decisione
1. L’agenzia delle entrate propone cinque motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 119/28/12 del 20 giugno 2012 con la quale la commissione tributaria regionale del Lazio, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo (unitamente alla cartella su di esso emessa, impugnata con ricorso riunito) l’avviso di liquidazione notificato ad E.L. in revoca delle agevolazioni di tutela della piccola proprietà contadina (l. 604/54) da questi fruite sull’atto 26 settembre 2001, registrato il 16 ottobre 2001, di acquisto di vari terreni in Tuscania.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che: – il ritardo verificatosi nell’allegazione all’amministrazione finanziaria del certificato definitivo dell’ispettorato agrario, attestante il possesso dei requisiti per l’agevolazione, non comportasse decadenza dai benefici, in quanto non imputabile al L.; – i terreni compravenduti avessero effettivamente natura e destinazione agricola, così come anche appurato dal primo giudice.
Resiste con controricorso e memoria il L..
2. Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 4 l. 604/54, nonché 2697 cod.civ.. Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che il mancato rispetto del termine triennale di allegazione del certificato definitivo dell’ispettorato agrario (nel caso di specie da quest’ultimo emesso il 15 settembre 2004 e spedito al contribuente, in tempo utile, l’11 ottobre 2004, a fronte dello scadere del triennio dalla registrazione in data 16 ottobre 2004) comportava la decadenza dai benefici di legge; salva la prova – non fornita – della non imputabilità al contribuente del ritardo.
Con il secondo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce omessa o insufficiente motivazione in ordine ad un fatto decisivo della lite. Per non avere la commissione tributaria regionale congruamente motivato sui presupposti della presunzione in base alla quale il ritardo nel deposito del certificato – pur a fronte della trasmissione in tempo utile da parte dell’ispettorato agrario, e comunque in assenza di solleciti rivolti a quest’ultimo dal contribuente – non sarebbe stato a questi imputabile.
Con il terzo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 2 l. 604/54 e 36, secondo comma, d.l. 223/06 conv. in I. 248/06. Per non avere la commissione tributaria regionale rilevato che la revoca dei benefici era stata disposta anche perché parte dei terreni acquistati (particelle 171-190 e 229-230) aveva destinazione urbanistica secondo il piano regolatore generale del Comune di Tuscania (‘zona C – espansione edilizia’). E che tale destinazione non veniva meno, ai fini dell’agevolazione, né per la destinazione ‘di fatto’ dei medesimi terreni ad attività agricola; né per la mancata adozione, al momento dell’atto di trasferimento, degli strumenti urbanistici attuativi.
Con il quarto motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta omessa pronuncia su un motivo di appello da essa proposto, con conseguente violazione dell’articolo 112 cod.proc.civ.. Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che la revoca dei benefici era stata disposta, ex art. 7 l. 604/54, anche perché parte dei terreni era stata dal L. ceduta a terzi prima del decorso di cinque anni dall’acquisto; e che essa agenzia delle entrate aveva proposto uno specifico motivo di appello avverso la decisione con la quale il primo giudice aveva ritenuto non ostativa tale circostanza, perché asseritamente relativa a terreni di modeste dimensioni e, inoltre, fatti oggetto di una mera redistribuzione di porzioni di terreno tra i proprietari interessati alla sopravvenuta delibera comunale di lottizzazione dell’area.
Con il quinto motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce ‘in via gradata’ analoga censura sotto il profilo ex art. 360, 1° co. n. 5 cod.proc.civ.. Posto che, qualora si ritenesse che la commissione tributaria regionale avesse implicitamente espresso un giudizio di fatto in termini di adesione a quanto già ritenuto dal primo giudice sul punto, tale giudizio non poteva ritenersi congruamente motivato in ordine alla asserita inidoneità della cessione infraquinquennale dei terreni ad integrare la causa di decadenza dai benefici ex art. 7 l. 604/54 cit..
3.1 I primi due motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria, sono fondati.
Sul piano della corretta applicazione normativa, rileva che il certificato in questione andava prodotto – ex art.4 I. 604/54 – entro i tre anni dalla registrazione dell’atto; in difetto di che, era dovuta l’imposta in aliquota ordinaria, così come richiesto con l’avviso di liquidazione opposto.
A fronte di quanto dedotto dal contribuente circa l’ascrivibilità del ritardo all’inerzia della PA, andava fatta qui applicazione dell’orientamento di legittimità secondo cui (Cass. n. 10406/11): “In tema di agevolazioni fiscali per l’acquisto di terreni agricoli stabilite, a favore della piccola proprietà contadina, dalla legge 6 agosto 1954, n. 604, il contribuente che non adempia l’obbligo di produrre all’Ufficio il previsto certificato definitivo entro il prescritto termine decadenziale di tre anni dalla registrazione dell’atto, non perde il diritto ai benefici qualora provi di aver operato con adeguata diligenza allo scopo di conseguire la certificazione in tempo utile, richiedendola tempestivamente, e che il superamento del predetto termine sia dovuto a colpa degli uffici competenti, avendo gli stessi indebitamente ritardato il rilascio della documentazione”.
Si tratta di indirizzo affermato anche da Cass. nn. 9159/10, 21980/14, e più recentemente richiamato sia da Cass. ord. 882/16, secondo la quale “l’intempestiva presentazione del certificato definitivo di cui alla L. n. 604 del 1954, art. 3, determina la decadenza dal beneficio fiscale, a meno che il contribuente non dimostri la circostanza che il ritardo nella presentazione del certificato sia imputabile alla condotta colpevole dell’amministrazione competente al rilascio del certificato stesso”; sia da Cass. ord. 117/18, la quale – nel ribadire il principio – ha osservato altresì come la (solo apparentemente) diversa regola desumibile da Cass. nn. 11610/03, 10248/13 e 8326/14 (nel senso della possibilità di autonomo vaglio probatorio dei requisiti agevolativi da parte del giudice tributario), non valga in via generale, ma unicamente nel caso in cui la mancata tempestiva allegazione del certificato sia – appunto – dovuta alla comprovata inerzia della PA.
Sicché va qui ribadito che: – ai fini dell’agevolazione a favore della piccola proprietà contadina di cui alla l. 604/54, il certificato definitivo IPA (vincolante per l’amministrazione finanziaria che deve provvedere alla liquidazione dell’imposta) deve sempre essere allegato entro tre anni dalla registrazione dell’atto, a pena di decadenza dal beneficio provvisoriamente riconosciuto, e liquidazione delle imposte in misura ordinaria, così come stabilito dall’art. 4 l.cit.; – l’accertamento della qualità di coltivatore diretto e degli altri requisiti agevolativi ben può essere compiuto autonomamente dal giudice tributario sulla base delle prove a tal fine offerte dal contribuente, ma ciò unicamente qualora il certificato prescritto dalla legge non venga rilasciato in tempo utile per la comprovata inerzia della PA, e non per il ritardo o la negligenza del contribuente stesso nel richiederne o sollecitarne il rilascio.
L’applicazione al caso di specie di questi principi esclude altresì la fondatezza dell’eccezione di giudicato interno (asseritamente formatosi sui requisiti agevolativi) opposta dal contribuente; atteso che, come detto, in tanto può darsi ingresso nel giudizio tributario all’accertamento probatorio di tali requisiti, in quanto il contribuente non abbia tempestivamente prodotto il certificato IPA per causa a sé non imputabile.
3.2 Sul piano della motivazione, è vero che il giudice di merito ha ritenuto che il ritardo non fosse “imputabile al contribuente”; tuttavia questa affermazione deve ritenersi qui sindacabile, perché del tutto apodittica. Essa non esplicita in alcun modo le ragioni per le quali non fosse imputabile al contribuente il mancato tempestivo inoltro all’amministrazione finanziaria di un certificato trasmessogli dall’ispettorato agrario in tempo utile, perché alcuni giorni prima (11 ottobre) della scadenza del triennio (16 ottobre).
Sicché avrebbe il giudice di appello dovuto motivare sulle ragioni per cui la sussistenza di tale arco temporale (modesto, ma di per sé non preclusivo) dovesse, nella concretezza della specie, ritenersi comunque oggettivamente inidonea a porre il contribuente in condizione di tempestivamente trasmettere il certificato all’amministrazione finanziaria; così da doversi in sostanza equiparare la presente fattispecie (caratterizzata dalla trasmissione ancora in tempo utile del certificato al contribuente) a quella di vero e proprio ‘ritardo della PA’.
In ogni caso, quand’anche il giudice di merito si fosse convinto di quest’ultimo elemento, egli avrebbe dovuto motivare – sulla scorta del su riportato orientamento applicativo delle norme di riferimento – sul perché tale (‘equiparato’) ritardo fosse estraneo alla sfera di iniziativa e di intervento del contribuente stesso; quantomeno, data per tempestiva l’iniziale richiesta di rilascio, sotto il profilo della sua successiva attivazione per formalmente sollecitare, nell’evidenza dell’approssimarsi del termine triennale di scadenza, il rilascio del documento. Ciò in applicazione di quanto altresì stabilito da questa corte di legittimità, secondo cui: era preciso onere del Cavalli dimostrare di avere fatto tutto il possibile, attivandosi quindi con la normale diligenza, onde ottenere il rilascio del documento, senza che a tal fine fosse sufficiente il solo e semplice fatto di avere richiesto quella certificazione otto giorni dopo la stipula dell’atto d’acquisto del terreno. Certamente il contribuente, che non aveva adempiuto l’obbligo di produrre il previsto certificato definitivo all’Ufficio entro il prescritto termine decadenziale, non perdeva il diritto ai benefici, però qualora avesse provato non solo che il superamento del medesimo era stato dovuto a colpa degli uffici competenti, che avessero indebitamente ritardato il rilascio della documentazione, ma anche dimostrato di aver operato con adeguata diligenza anche dopo la mera richiesta, allo scopo di conseguire la certificazione in tempo utile ad evitare la decadenza, non essendo sufficiente soltanto la mera sua richiesta iniziale (Cfr. pure Cass. Sentenze n. 14671 del 12/07/2005, n. 15953 del 2003, n. 10939 del 2002)” (Cass. 9159/10 cit. ed altre).
Sotto questo punto di vista, parimenti incongruo è quanto osservato dal giudice di appello in ordine al fatto che l’ufficio non avrebbe provato che “il contribuente fosse in possesso del certificato prima della scadenzaposto che, a fronte del dato obiettivo costituito dal tardivo inoltro del certificato all’amministrazione finanziaria, era il contribuente – e non quest’ultima – a dover provare la non imputabilità a sé di tale ritardo.
4. Parimenti fondate sono la terza e la quarta censura (con assorbimento della quinta), posto che la commissione tributaria regionale non ha pronunciato in ordine alle ulteriori ragioni, involgenti anche accertamenti fattuali, poste dall’amministrazione finanziaria a fondamento dell’avviso di revoca e liquidazione (il cui testo è riportato in ricorso), e da essa riproposte in appello (destinazione urbanistica dei terreni; cessione infraquinquennale di parte dei medesimi).
La sentenza va dunque cassata con rinvio alla commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione la quale, in applicazione del su riportato principio, riconsidererà la fattispecie per quanto concerne la ravvisabilità, nella specie, di un ritardo nel rilascio del certificato da parte della PA e, in caso di accertamento positivo, la sua non-imputabilità al contribuente.
Dovrà altresì il giudice di merito prendere in esame gli ulteriori motivi di gravame, non considerati nella pronuncia cassata.
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente procedimento.
P.Q.M.
Accoglie i primi quattro motivi di ricorso, assorbito il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione.
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