CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 giugno 2017, n. 14082
Accertamento – Redditi d’impresa – Dichiarazione dei redditi – IVA – Costi inerenti lo sviluppo dell’impresa – Detrazione
Fatti di causa e ragioni della decisione
La C.C. a r.l. propose ricorso avverso un avviso d’accertamento con cui l’Agenzia delle entrate aveva rettificato la dichiarazione del 2003, escludendo la deducibilità di costi e dell’iva; si costituì l’ufficio con controdeduzioni.
La Ctp accolse il ricorso; l’appello dell’ufficio fu respinto dalla Ctr secondo la cui motivazione: i costi oggetto di detrazione erano inerenti in quanto preordinati allo sviluppo dell’impresa; l’ufficio fiscale non aveva motivato adeguatamente in ordine al valore “normale” di mercato invocato; il contribuente aveva addotto ampie giustificazioni sulle scelte imprenditoriali adottate e spiegato, altresì, l’irrilevanza giuridica di alcune presunzioni utilizzate dall’ufficio fiscale. L’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione, formulando un unico motivo, denunziando l’insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a vari punti della motivazione della Ctr: la congruità del compenso previsto dai contratti stipulati dalla società ricorrente rispetto al valore di mercato; la genericità della documentazione a sostegno dei costi detratti.
Resiste la società C. con controricorso, eccependo l’infondatezza del ricorso. Il ricorso è infondato, in quanto la motivazione è chiara ed esaustiva in ordine all’inerenza dei costi sostenuti.
In particolare, il motivo è generico nella parte relativa al valore “normale” del compenso attribuito alle due società con cui furono stipulati contratti aventi ad oggetto l’attività di promozione commerciale.
Al riguardo, l’Agenzia ha lamentato la sproporzione dei compensi pattuiti rispetto alle controprestazioni, adducendo una serie di elementi presuntivi espressivi dell’antieconomicità dei negozi stipulati, quali: l’importo degli stessi compensi, se rapportati al fatturato conseguito; i collegamenti societari tra le varie società stipulatane dei due contratti; la genericità della documentazione consegnata all’ufficio; l’anomala immediata fatturazione.
In tema di imposte sui redditi, la tenuta della contabilità in maniera formalmente regolare non è di ostacolo alla rettifica delle dichiarazioni fiscali e, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento su base presuntiva, ed il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie (Cass., n. 9084 del 17.4.2017; n. 14428 dell’8.7.2005).
Alla stregua di tale consolidato orientamento, nel caso concreto, non è emerso che gli elementi presuntivi addotti dall’Agenzia delle entrate siano espressione di una condotta assolutamente contraria ai canoni dell’economia, poiché essi si sono concretizzati, in sostanza, in censure di scelte discrezionali dell’imprenditore.
Invero, i vari elementi presuntivi invocati dall’ufficio, seppure valutati nel loro complesso, non inducono ad esprimere uno scrutinio di assoluta antieconomicità, che presuppone una evidente ed inequivoca contrarietà a criteri generalmente seguiti dagli imprenditori dello specifico settore interessato.
Ora, l’Agenzia non ha dimostrato di aver allegato indici presuntivi circa l’assoluta antieconomicità del compenso concordato nei due suddetti contratti, sia perché non ha addotto parametri dell’assunta “normalità” dello stesso compenso, sia perché le giustificazioni del contribuente sono state ampie ed esaustive, come rilevato dalla Ctr.
Pertanto, la motivazione censurata è sufficiente e improntata ad una esposizione logica e persuasiva delle ragioni della decisione, che ha posto in evidenza che i fatti utilizzati dall’ufficio fiscale non erano assurti al rilievo legittimante la presunzione di legge, anche in considerazione delle giustificazioni fornite dal contribuente in ordine all’irrilevanza di alcuni elementi indicati nell’avviso d’accertamento.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condannando la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese di giudizio, che liquida nella somma di euro 13.000,00, oltre alla maggiorazione del 15%, quale rimborso forfettario delle spese generali, ed accessori di legge.
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