Dichiarazioni dei redditi – Crediti d’imposta – Rimborso – Risarcimento del danno da svalutazione monetaria
Ritenuto in fatto
La Commissione tributaria provinciale di Viterbo accoglieva parzialmente, previa riunione, i ricorsi proposti dalla B.T. di credito cooperativo per azioni contro il silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione all’istanza di rimborso per l’erogazione dei crediti d’imposta per gli anni dal 1984 al 1989 e per l’anno 1992, come esposti nelle relative dichiarazioni dei redditi, con interessi moratori ma con esclusione del maggior danno, ex art. 1224 comma 2 c.c..
L’Agenzia delle entrate appellava la sentenza, lamentando con unico motivo la tardività della richiesta di rimborso, ai sensi dell’art. 38 d.P.R. 602/73, prodotta il 12.8.2002; la B.T. s.c.p.a. proponeva appello incidentale per il risarcimento del danno da svalutazione monetaria oltre danni ulteriori.
La C.T.R. del Lazio, con sentenza, n. 42.22.10 dep. 18.3.2010, in relazione all’appello principale proposto dall’Ufficio ha dichiarato cessata la materia del contendere, per avere l’Ufficio versato le somme di cui al credito d’imposta e i relativi interessi, dichiarando il proprio difetto di giurisdizione sull’appello incidentale della Banca quanto al risarcimento dei maggior danno; domanda ritenuta rientrante nella cognizione del giudice ordinario, in quanto l’asserita responsabilità è riconducibile ad attività di natura negoziale estranea alla materia tributaria.
L’Agenzia delle entrate si costituisce con controricorso, riconoscendo la giurisdizione delle commissioni tributarie in materia di danni da svalutazione monetaria, ma eccependo la mancanza di prova sui danno ulteriore rispetto a quello compensato dagli interessi già corrisposti, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse.
B.T. Credito cooperativo s.c.p.a. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Considerato in diritto
1. Col primo motivo del ricorso la B.T. di credito cooperativo s.c.p.a. deduce l’illegittimità della sentenza impugnata, per avere la CTR dichiarato la propria carenza di giurisdizione in materia di risarcimento del danno da svalutazione monetaria, ex art. 1224 comma 2 c.c. e violazione dell’art. 2 d.lgs. 546/92.
2. Col secondo motivo si evidenzia il concreto interesse alla pronunzia sulla giurisdizione, avendo la Banca offerto nei gradi di merito ampia prova del danno subito (in relazione alla situazione di incertezza sul rimborso richiesto a causa del persistente silenzio dell’amministrazione, con ricadute sul bilancio, con conseguente necessità di effettuare accantonamenti per far fronte a un eventuale rifiuto; all’impossibilità di investire in attività proficue; alla mancanza di liquidità, con conseguente necessità di acquistare da terzi il denaro per lo svolgimento dell’attività bancaria, con interessi passivi e costi).
3. Premesso che non vi è contestazione da parte dell’Agenzia delle entrate controricorrente sulla giurisdizione del giudice tributario adito per il rimborso di imposte non dovute e per il risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria, in applicazione del principio di concentrazione (S.U. n. 16871 del 2007 e n. 14499 del 2010; Cass. 5 n. 17993 del 19/10/2012), il ricorso è fondato e va accolto.
Questa Corte ha affermato, in fattispecie riguardante la medesima ricorrente (Cass. n. 28332/2013), con riferimento alle pretese restitutorie vantate dal contribuente nei confronti dell’Erario, operante il principio secondo il quale, nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione pecuniaria, può liquidarsi il danno da svalutazione monetaria, sempre che il creditore deduca e dimostri che un tempestivo adempimento gli avrebbe consentito di impiegare il denaro in modo tale da elidere gli effetti dell’inflazione e salva l’applicazione – imposta dalla specificità della disciplina dell’obbligazione tributaria – di un particolare rigore nella valutazione del materiale probatorio (sent. SSUU n. 16871/07; conf. Cass. n. 26403/10).
Questa Corte ha poi già avuto modo di precisare, in tema di imposte sui redditi, che qualora il contribuente evidenzi nella dichiarazione, secondo le modalità stabilite dalla legge, un credito d’imposta, non occorre da parte sua alcun altro adempimento ai fini di ottenerne il rimborso, in quanto tale condotta costituisce già istanza di rimborso, che tiene luogo, a tutti gli effetti, di quella di cui al d.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, essendo l’Amministrazione – edotta, con la dichiarazione, dei conteggi effettuati dal contribuente – posta in condizione di conoscere la pretesa creditoria; tanto ciò è vero che da quel momento, impedita ovviamente la decadenza, decorre, secondo i principi generali, l’ordinario termine di prescrizione decennale per l’esercizio della relativa azione dinanzi al giudice tributario (d.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2: cfr. da ultimo Cass. n. 16797/16).
La Commissione Tributaria Regionale ha dunque errato nel ritenere non applicabile nel caso dell’obbligazione di rimborso dell’IRPEG il disposto dell’art. 1244 comma 2, c.c., in quanto non si può negare in astratto il diritto del contribuente al risarcimento del maggior danno da ritardo nei rimborso IRPEG; salvo adottare particolare rigore nella valutazione della prova di tale danno, proprio in ragione della specialità della fattispecie tributaria.
4. In conclusione il ricorso va accolto e la sentenza va cassata, con rinvio alla CTR del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese, perché si attenga al principio di diritto sopra enunciato e pertanto – ritenuta l’astratta risarcibilità del maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2, da ritardo nel pagamento dei rimborsi IRPEG – proceda alla concreta e rigorosa disamina delle prove al riguardo offerte dalla contribuente, verificando che la domanda della stessa risulti sorretta da specifiche indicazioni in ordine al danno derivatole dalla indisponibilità del denaro determinata dall’inadempimento dell’Erario.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR del Lazio, in diversa composizione.