CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 maggio 2017, n. 11152
Imprese alberghiere – Sgravi contributivi ex art. 3, L. n. 502/1978 – Condizioni – Esclusione – Recupero contributivo
Fatti di causa
Si controverte dell’opposizione, da parte della E. s.a.s. di M. L. & V. G., alla cartella esattoriale con la quale le è stato intimato il pagamento in favore dell’Inps di contributi e somme aggiuntive, che l’ente previdenziale ritiene dovuti in relazione al periodo 1991-1992, per non avere l’opponente diritto all’invocato beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali di cui all’art. 3 della legge n. 502/78, previsto per le imprese alberghiere.
La Corte d’appello di Firenze, nell’accogliere l’impugnazione dell’Inps avverso la sentenza del Tribunale di Livorno che aveva ritenuto prescritta ed infondata la pretesa contributiva dell’ente previdenziale, ha rilevato che la procedura di condono intrapresa dall’opponente aveva avuto l’effetto di conservare il regime della prescrizione decennale applicabile sin dall’inizio alla fattispecie in esame, osservando, nel contempo, che l’appellata, la quale aveva svolto l’attività di “affittacamere” nel periodo in contestazione, non aveva dimostrato di aver conseguito la licenza per albergo in epoca anteriore all’ultimazione dei lavori, certificata dal Comune di Campo nell’Elba il 23.6.1993.
Per la cassazione della sentenza ricorre la società E. s.a.s. di M. L. & V. G. con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. Resiste con controricorso l’Inps, anche in rappresentanza della società di cartolarizzazione dei crediti.
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 502/1978, contestando la mancata estensione alla categoria degli affittacamere del beneficio dello sgravio degli oneri sociali previsto per le imprese alberghiere. La ricorrente precisa che nella fattispecie il servizio da essa fornito ai propri clienti era solo quello della utilizzazione di camere dotate di servizi igienici, vale a dire lo stesso di quello reso dai gestori degli alberghi, per cui non era dato comprendere il motivo della mancata estensione agli affittacamere del suddetto beneficio contributivo. Inoltre, se era vero che la licenza alberghiera le era stata rilasciata il 3.7.1993, vale a dire successivamente al biennio 1991-1992 interessato dal recupero contributivo preteso dall’Inps, era altresì certo che con delibera n. 771 del 19.10.1989 la Giunta Municipale del Comune di Campo nell’Elba aveva classificato con l’indicatore di una stella l’albergo “Mirage”, di cui era titolare la E. s.r.l., la qual cosa provava che già a quell’epoca era svolta l’attività alberghiera.
1.1. Il motivo è infondato. Invero, come questa Corte ha già avuto modo di statuire (Sez. L, n. 3690 del 13/4/1987), “in tema di fiscalizzazione degli oneri sociali e degli sgravi contributivi previsti dall’art. 3 della legge 5 agosto 1978 n. 502 (di conversione del d.l. 6 luglio 1978 n. 353) in favore delle imprese alberghiere, le strutture ricettive denominate case-albergo, residences o residenze turistico-alberghiere e che forniscono alloggio e servizi accessori in unità abitative arredate, benché costituiscano esercizi para-alberghieri aventi talune caratteristiche comuni o similari a quelle degli alberghi e benché siano inquadrate anch’esse nel settore del turismo ai fini della contrattazione collettiva (nonché assoggettate allo stesso regime fiscale I.V.A e di pagamento dei diritti alla SIAE), non possono fruire del suddetto beneficio della fiscalizzazione, atteso che l’art. 3 cit. si riferisce unicamente alle imprese alberghiere come tali classificate ai sensi della legge 30 dicembre 1937 n. 2651 (come modificata dalla legge 18 gennaio 1939 n.382), imprese alle quali non sono equiparabili – neppure dopo la legge quadro 17 maggio 1983 n. 217 per il turismo – le suddette strutture residenziali; tale differenza rispetto alle imprese alberghiere vere e proprie fa anche ritenere manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 3 cit. per disparità di trattamento.”
1.2. Sulla non equiparabilità delle case-albergo alle imprese alberghiere, ai fini degli sgravi contributivi di cui alla legge n. 502/78, si è poi espressa questa stessa Corte con la sentenza n. 1374 del 18.3.1989, mentre con la sentenza n. 12962 del 27.5.2010 si è pronunciata sulla non equiparabilità agli alberghi, agli stessi fini, delle strutture costituite dai villaggi turistici e dai “residences”.
1.3. Sono, altresì, infondati i rilievi incentrati sull’asserito svolgimento di attività alberghiera nel periodo 1991-92 oggetto di causa, in quanto il tentativo di far discendere la prova dello svolgimento effettivo di tale attività dalla sola classificazione conseguita in via amministrativa si scontra col dato insuperabile rappresentato dal certificato CCIA del 19.2.1992, indicato dalla Corte d’appello di Firenze allorquando ha fatto riferimento alla precisa circostanza di fatto che in quel periodo l’azienda appellata esercitava ancora l’attività di affittacamere. La stessa Corte territoriale ha, altresì, evidenziato che l’azienda appellata assunse i caratteri di impresa alberghiera solo quando, eseguiti taluni lavori, conseguì la relativa licenza in data 3.7.1993 (doc. 7 – Inps) e che la medesima non aveva mai dimostrato di aver ottenuto tale abilitazione in epoca anteriore all’ultimazione dei suddetti lavori, ultimazione, questa, certificata dal Comune di Campo nell’Elba il 23.6.1993.
In definitiva, la Corte di merito si è basata su documenti esistenti in atti, sia al fine di avvalorare l’accertato svolgimento dell’attività di affittacamere nel periodo in contestazione, sia con riferimento al riscontrato esercizio di attività alberghiera solo in epoca successive a quella della richiesta di pagamento, da parte dell’Inps, di contributi e somme aggiuntive, per non avere l’opponente diritto all’invocato beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali di cui all’art. 3 della legge n. 502/78. Pertanto, essendo la decisione impugnata basata su dati documentali, la stessa non risente della censura prospettata dall’odierna ricorrente nei termini sopra riassunti.
2. Col secondo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione dell’art. 2943 cod. civ., la ricorrente, pur riconoscendo la durata decennale della prescrizione applicabile nella fattispecie, contesta che potesse valere come atto interruttivo il semplice deposito della memoria difensiva di primo grado del 23.1.2001 contenente la relativa eccezione, non avendo tale atto difensivo natura di domanda idonea ad interrompere la prescrizione.
2.1. Il motivo è infondato.
Invero, come ha avuto occasione di precisare questa Corte (Cass. sez. 3, n. 19359 del 18.9.2007), “la valutazione dell’idoneità di un atto ad interrompere la prescrizione – quando non si tratti degli atti previsti espressamente e specificamente dalla legge come idonei all’eletto interruttivo, come nei casi indicati nei primi due commi dell’art. 2943 cod. civ. – costituisce apprezzamento di fatto, come tale riservato al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici o da errori giuridici.” (conf. a Cass. sez. lav. n. 9662 del 17.7.2001).
Orbene, la Corte territoriale si è espressa con giudizio di merito congruo ed immune da rilievi di legittimità allorquando ha precisato che con la memoria difensiva depositata il 23.1.2001 l’Inps si costituì contestando la tesi dell’azienda e concludendo per il rigetto dal ricorso, oltre che per l’accertamento del debito della E. s.a.s. relativamente ai contributi non versati, tanto più che l’ente previdenziale quantificò in modo dettagliato il suo residuo credito.
Oltretutto, va considerato che l’eccezione di interruzione della prescrizione, una volta acquisita, come nella fattispecie, al processo, è eccezione in senso lato e può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice.
Si è, infatti, spiegato (Cass. sez. lav. n. 2035 del 30.1.2006), che “l’eccezione di interruzione della prescrizione, configurandosi come eccezione in senso lato, distinta dalla non omogenea eccezione di prescrizione, può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice in qualsiasi stato e grado del processo. Detto potere deve essere, però, esercitato – come avviene in ogni caso di esercizio di poteri officiosi – sulla base di allegazioni e di prove, incluse quelle documentali, ritualmente acquisite al processo, nonché di fatti anch’essi ritualmente acquisiti al contraddittorio, e nel rispetto del principio della tempestività di allegazione della sopravvenienza, che impone la regolare e tempestiva acquisizione degli elementi probatori e documentali nel momento difensivo successivo a quello in cui è stata sollevata l’eccezione di prescrizione. Ne consegue che il giudice, chiamato a decidere sulla questione di prescrizione introdotta dal convenuto attraverso l’eccezione di cui all’art. 2938 cod. civ., può tener conto anche del fatto interruttivo di essa, anche se non dedotto formalmente dall’attore come controeccezione, purché sia stato ritualmente introdotto in giudizio.” (conf. a Sez. Un. n. 15661 del 27.7.2005)
Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di € 3500,00, di cui € 3300,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
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