CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 maggio 2017, n. 11167
Risoluzione incentivata del rapporto di lavoro – Esodo incentivato – Indennità c.d. “una tantum”
Fatti di causa
Con sentenza del 27 aprile 2011, la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Roma, delle domande proposte da G.P. nei confronti dell’AMA – Azienda Municipale Ambiente S.p.A. relative alla corresponsione, in ragione dell’intervenuta conclusione tra le parti di un accordo di risoluzione incentivata del rapporto di lavoro, sia dell’indennità di preavviso sia dell’indennità c.d. “una tantum” mentre accoglieva, confermando sul punto la pronunzia del primo giudice, quella relativa all’indennità “una tantum”, rigettava quella avente ad oggetto l’indennità di preavviso.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto efficace tra la Società datrice e la dirigente l’accordo circa la possibilità di beneficiare dell’esodo incentivato di cui alla delibera n. 69/2002 intervenuto in data 17.5.2006, recante la previsione del trattenimento in servizio fino alla maturazione dei requisiti pensionistici il successivo 30.6.2007 e qualificabile tale periodo, anche in considerazione del tenore dell’accordo predetto, come preavviso lavorato, così da escludere la spettanza della relativa indennità sostitutiva.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la P., affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso la Società.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1321, 1372, 2118 c.c. ed il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, lamenta a carico della Corte territoriale l’erroneità, alla stregua dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, dell’interpretazione dell’accordo qualificato come pienamente efficace tra le parti e della delibera della Società, che ne integra il contenuto, in ordine al disconosciuto diritto all’indennità di preavviso, a suo dire, espressamente previsto dai predetti testi.
Le medesime censure sono riproposte con il secondo motivo sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione in relazione all’interpretazione della clausola relativa al termine di operatività dell’effetto risolutivo del rapporto, coincidente con la maturazione da parte della dirigente del diritto alla pensione di anzianità.
I due motivi, che, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi infondati, atteso che la conclusione cui perviene la Corte territoriale nel senso di riconoscere, in esecuzione dell’intesa negoziale dichiarata conclusa e pienamente efficace tra le parti, la spettanza dell’indennità una tantum e non dell’indennità di preavviso, trova fondamento in una ricostruzione giuridica della fattispecie che si sottrae alle censure qui sollevate dalla ricorrente o che, più precisamente, neppure è stata qui fatta oggetto di specifica censura da parte della ricorrente.
In effetti, la negazione da parte della Corte territoriale dell’indennità di preavviso non deriva dal disconoscimento della previsione di cui alla delibera della Società che quella indennità includeva tra le spettanze dovute a quanti avessero aderito alla proposta di dimissioni incentivate, trovandosi nelle condizioni ivi previste della maturazione del diritto alla pensione di anzianità con età anagrafica inferiore ai 59 anni (primo motivo), né deriva dal travisamento della volontà espressa dalla ricorrente all’atto dell’adesione all’offerta datoriale (17 maggio 2006) in quello che è stato qualificato come l’accordo concluso tra le parti di risolvere il rapporto alla successiva data (30 giugno 2007) di maturazione del predetto requisito pensionistico (secondo motivo). Quel diniego consegue invece ad un ragionamento ben esplicitato in motivazione per cui proprio l’accoglimento dell’assunto originario della ricorrente – secondo cui l’accettazione da parte dell’Amministratore delegato della proposta della ricorrente medesima di risolvere il rapporto pro futuro alla successiva data del 30 giugno 2007 con applicazione dei benefici di cui alla delibera della Società n. 69/2002 avrebbe determinato la conclusione tra le parti di un accordo impegnativo in tal senso – impone di leggere quell’intesa non come espressione del diritto potestativo della ricorrente di aderire all’esodo incentivato, non avendo la ricorrente quel diritto per non essere nelle condizioni previste nella delibera che sarebbero viceversa maturate oltre un anno più tardi, ma come adesione della Società ad una volontà di risoluzione del rapporto di lavoro con applicazione del beneficio di cui alla delibera che, se pure destinata ad essere attuata in un momento futuro, risultava già perfezionata al momento della dichiarazione oggetto dell’accettazione, cosicché il largo anticipo con cui le parti avevano stabilito tale patto, mentre garantiva alla ricorrente il valersi del beneficio a prescindere da accadimenti successivi, consentiva alla Società di imputare a preavviso “lavorato” il periodo di prosecuzione del rapporto necessario per l’inveramento della condizione legittimante la promessa risoluzione del rapporto.
Ed è appena il caso di aggiungere, al di là di quanto rilevato circa la sostanziale assenza di censura in merito da parte della ricorrente, come si tratti di ragionamento immune da vizi logici e giuridici.
Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità nei confronti della sola parte costituita, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
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