CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 dicembre 2016, n. 25274
Inosservanza di disposizioni operative – Sanzione disciplinare – Sospensione di due giorni dal servizio e dalla retribuzione – Contestazione
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 527/2010, depositata il 15/2/2011, la Corte di appello di Venezia, in accoglimento del gravame della Cassa di Risparmio di V. S.p.A., dichiarava legittima, in riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Venezia, la sanzione disciplinare della sospensione di due giorni dal servizio e dalla retribuzione inflitta a M.S. in data 16 maggio 2007 in relazione a numerose e differenti irregolarità riscontrate in operazioni dal medesimo eseguite nel periodo compreso tra il settembre 2005 e l’aprile 2006 quale addetto al front office nella Filiale di Fossalta di Piave.
La Corte osservava che il datore di lavoro era pervenuto a piena e formale conoscenza dei fatti di rilievo disciplinare, poi addebitati al S., solo in esito alla conclusione, nei primi mesi del 2007, del processo di internal auditing, così che era da escludere, tenuto conto della complessità dell’organizzazione aziendale e del tempo necessario per gli accertamenti, che la contestazione dei medesimi fatti, avvenuta con lettera del 4 aprile 2007, potesse considerarsi tardiva.
La Corte riteneva, quindi, proporzionata la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per due giorni, che era andata a sanzionare plurime, e anche reiterate, condotte, poste in essere nella inosservanza di disposizioni operative ben note; né poteva avere rilievo il fatto che analoghe inadempienze, commesse da altri dipendenti, fossero state diversamente valutate dal datore di lavoro, posto che solo l’identità delle situazioni (nella specie non ricorrente) avrebbe potuto privare il provvedimento della sua base giustificativa.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il lavoratore con due motivi; la Cassa ha resistito con controricorso.
Risulta depositata memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c. da parte di I.S. S.p.A. quale società incorporante la Cassa di Risparmio di V. S.p.A., in virtù di allegato atto di fusione del 3/11/2014.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 7 I. n. 300/1970 e motivazione insufficiente, censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di appello ha escluso la tardività della contestazione disciplinare rispetto ai fatti addebitati.
In particolare, il ricorrente assume che molte delle anomalie riscontrate in relazione alle normali prassi operative sarebbero potute emergere dal sistema informatico di controllo e che le altre (una parte residuale, non rilevabile attraverso il sistema) erano state comunque registrate (in via informatica) e/o documentate (in via cartacea), così da risultare immediatamente conoscibili fin dal momento del loro compimento.
Con il secondo motivo, deducendo violazione degli artt. 2106 c.c. e 7 I. n. 300/1970, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione, il ricorrente censura la sentenza di secondo grado nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto adeguata la sanzione ed escluso l’esistenza di una disparità di trattamento rispetto a situazioni analoghe ma diversamente valutate nelle conseguenze disciplinari dal datore di lavoro.
Il primo motivo è infondato.
Il giudice del merito ha, infatti, ritenuto, con motivazione sintetica ma adeguata, che il datore avesse acquisito una conoscenza “piena e formale” dei fatti, che avrebbero poi condotto alla formulazione degli addebiti, soltanto attraverso la procedura di revisione interna e che non fosse configurabile la violazione del principio di immediatezza, posto che la contestazione disciplinare era stata portata a conoscenza del dipendente, con lettera del 4/4/2007, a breve distanza di tempo dalle indagini e dalla formalizzazione dei relativi risultati (come da relazione della Direzione Internal Auditing del 9/3/2007), così che era da escludere una concreta compromissione di quel diritto di difesa in cui è da riconoscersi l’essenziale ragione ispiratrice del principio.
Su tale premessa la Corte si è esattamente conformata all’orientamento di legittimità, secondo il quale il principio della immediatezza della contestazione dell’addebito deve essere inteso in senso relativo e valutato dal giudice del merito in aderenza ai tratti peculiari della concreta fattispecie, tra i quali assume necessariamente rilievo anche la natura e la complessità dell’organizzazione aziendale (cfr. Cass. n. 29480/2008; n. 19159/2006; n. 14113/2006; n. 4435/2004; n. 12141/2003).
A tale consolidato orientamento, in assenza di concreti e significativi argomenti di segno contrario, ritiene il Collegio di dover dare continuità.
Risulta egualmente infondato il secondo motivo di ricorso.
Quanto alla denunciata violazione dell’art. 2106 c.c., è da rilevare come la sentenza impugnata abbia concretamente preso in esame il comportamento tenuto dal S. e posto a fondamento dell’addebito disciplinare, considerando la differente tipologia delle infrazioni commesse e sottolineando in modo particolare il numero delle contestazioni e la frequente reiterazione delle condotte, attuate in violazione di disposizioni d’ufficio note al dipendente e idonee, pur in assenza di un danno di natura economica, a ledere l’immagine dell’azienda di credito nel rapporto con la clientela.
Tale accertamento di fatto, in quanto condotto con riguardo alle circostanze oggettive e soggettive del caso concreto e sorretto da congrua motivazione, si sottrae alla censura formulata, come da costante orientamento di questa Corte (cfr., fra le molte, Cass. n. 8679/2006).
Quanto al principio di parità di trattamento, di cui la sentenza impugnata ha escluso la violazione nella specie, si deve ribadire, con efficacia assorbente di ogni diversa e pur fondata considerazione (sommarietà della ricostruzione dei casi che risulterebbero comparabili; incoerenza con la tesi sostenuta, avendo l’azienda, in due dei tre casi riferiti, inflitto sanzioni più gravi di quella applicata al ricorrente), quanto precisato da Cass. n. 5546/2010 (richiamata dalla Corte di appello in motivazione) e cioè che “solo l’identità delle situazioni potrebbe privare il provvedimento (nella specie) espulsivo della sua base giustificativa, non potendo porsi a carico del datore di lavoro l’onere di fornire, per ciascun licenziamento, la motivazione del provvedimento adottato, comparata a quelle assunte in fattispecie analoghe” (conforme Cass. n. 10550/2013).
Il ricorso deve, pertanto, essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.
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