CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 febbraio 2018, n. 3215
Indebito pensionistico – Irripetibilità – Assenza di dolo dell’interessato
Fatti di causa
La Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Siena con la quale il primo giudice aveva dichiarato l’insussistenza del diritto dell’Inps a procedere alla ripetizione dell’indebito pensionistico formatosi a carico di R.P. nel periodo gennaio 2002/agosto 2006 a seguito della corresponsione della cd ” maggiorazione aumento sociale” non dovuta.
La Corte territoriale ha rilevato che all’indebito formatosi negli anni 2002/2006 era applicabile la disciplina derivante dal combinato disposto dell’art. 52 L. n. 88/1989 e dell’art. 13 L. n. 412/1991 e che l’Inps, nonostante le contestazioni contenute nell’atto di appello, nelle conclusioni sembrava aver finito per riconoscere l’applicabilità della citata normativa avendo insistito solo per il recupero delle differenze relative al 2004 e 2005 sulla base della facoltà di revisione annuale delle prestazioni riconosciutagli dall’art. 13, 2° comma, citato.
Secondo la Corte, pertanto, si poteva ritenere implicitamente rinunciata l’impugnazione dell’Inps nella parte in cui aveva sostenuto l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione del beneficio dell’irripetibilità nel caso di assenza di dolo dell’interessato, circostanza difficilmente contestabile nella fattispecie, e, di conseguenza, si poteva affermare la totale irripetibilità dell’indebito in forza dell’art. 13 citato, pur rilevandosi che per il 2004 il termine annuale era stato anche superato essendo la richiesta di ripetizione dell’agosto 2006.
Avverso la sentenza ricorre l’Inps con due motivi resistono gli eredi della R., nelle more deceduta, che depositano anche memoria ex art. 378 cpc.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo INPS denuncia violazione dell’art. 2697 cc, 115 e 116 cpc, dell’art. 13 L. n. 412/1991, nonché vizio di motivazione.
2. Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 112 cpc.
Richiamato l’art. 13 citato l’Inps censura la sentenza in quanto la Corte aveva omesso di accertare se la pensionata avesse mai ricevuto la comunicazione da parte dell’Inps di un provvedimento formale e definitivo di attribuzione della prestazione, come previsto dall’art. 13, 1 comma, citato per l’irripetibilità delle somme corrisposte in eccedenza .
Rileva, altresì, che avendo l’assicurata proposto una domanda di accertamento negativo gravava su quest’ultima l’onere di provare la sussistenza del provvedimento finale e la Corte aveva omesso di pronunciarsi circa l’eccezione di insussistenza di detto provvedimento in violazione dell’art. 112 cpc.
Lamenta che la sentenza non era conforme all’art. 13 citato in quanto aveva incentrato il suo ragionamento sull’avvenuta comunicazione dei redditi da parte della pensionata, pur in mancanza di un provvedimento attributivo delle somme percepite.
Deduce, inoltre, che erroneamente la Corte aveva ritenuto di non doversi pronunciare sulla suddetta questione avendo l’Inps implicitamente rinunciato all’impugnazione nella parte in cui aveva ritenuto non sussistere i presupposti per l’applicazione del beneficio dell’irripetibilità nel caso di assenza di dolo dell’interessato.
In subordine, rileva che erroneamente la Corte aveva ritenuto la totale irripetibilità anche per gli anni 2004 e 2005 sebbene i redditi del 2004 potevano essere verificati solo nel 2005 e dunque la richiesta del 2006 era tempestiva ed a maggior ragione era tempestiva la richiesta relativa al 2005.
I motivi , congiuntamente esaminati stante la loro connessione, sono infondati.
La Corte ha affermato l’implicita rinuncia dell’INPS ad insistere sulla non applicabilità dell’art. 13, 1 comma , citato per insussistenza dei suoi presupposti quali l’attribuzione della prestazione con provvedimento formale e definitivo e l’assenza di dolo dell’interessato ed anzi circa il dolo la Corte ha anche aggiunto che sarebbe difficilmente contestabile alla luce delle indagini del CTU che aveva accertato l’avvenuta regolare comunicazione dei redditi da parte della R., ivi compresi quelli del coniuge, per quanto ” scartati ” dalla procedura informatica.
La Corte territoriale ha affermato, infatti, che l’Istituto nelle conclusioni dell’atto di appello, aveva insistito solo per il recupero delle differenze relative agli anni 2004 e 2005 sulla base della facoltà di revisione annuale delle prestazioni riconosciutagli dal secondo comma dell’art. 13 citato .
Il ricorrente nega la fondatezza di quanto affermato dalla Corte, ma la censura difetta di specificità non avendo l’Istituto riportato il proprio atto di appello, il contenuto delle difese svolte dall’Istituto in primo grado ed ha omesso di trascrivere i motivi di gravame onde consentire a questa Corte di verificare la fondatezza della censura, ed anzi risulta proprio la correttezza dell’interpretazione della domanda accolta dalla Corte sulla base di quanto riportano i controricorrenti che, a pag. 10, del controricorso hanno trascritto le conclusioni dell’Inps davanti alla Corte d’appello da cui risulta la richiesta dell’Istituto di riforma parziale della sentenza del Tribunale e l’accoglimento della domanda di ripetibilità dell’indebito pensionistico per gli anni 2004 e 2005. Va sottolineato , inoltre, che l’interpretazione della domanda giudiziale è operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua e adeguata (cfr, tra le tante, Cass. 9011/2015).
Alla luce delle suddette considerazioni restano prive di rilievo le censure circa il mancato accertamento dell’esistenza di un provvedimento formale di riconoscimento della prestazione o della mancata pronuncia sulla relativa eccezione, sollevate dall’Inps .
Quanto alle censure relative alla domanda subordinata che l’Inps assume di aver formulato volta a recuperare gli indebiti relativi al 2004 e 2005 sulla base del 2° comma dell’art. 13 , va rilevato che la Corte territoriale , accertata l’irripetibilità dell’indebito ai sensi del 1° comma dell’art. 13 citato per le considerazioni di cui sopra – ed anche per l’assenza di dolo dell’assicurata stante l’accertata regolare comunicazione dei redditi da parte della R., ivi compresi quelli del coniuge , per quanto ” scartati ” dalla procedura informatica e dunque per fatto non imputabile alla pensionata – ha ritenuto di poter affermare la totale irripetibilità anche dell’indebito relativo agli anni 2004 e 2005 aggiungendo ” ad abundantiam ” che per il 2004 era trascorso il termine annuale alla data di richiesta dell’Inps.
Le censure dell’Inps a riguardo non sono decisive in quanto si limitano ad affermare la tempestività, in relazione al 2° comma dell’art. 13 citato, della richiesta formulata dall’Istituto nel 2006 con riferimento agli indebiti del 2004 e 2005.
Le censure, cioè, si sono soffermate sull’inciso contenuto nella sentenza impugnata secondo cui con riferimento all’indebito del 2004 il termine annuale di cui al 2° comma dell’art. 13 sarebbe trascorso. A prescindere dalla constatazione che l’affermazione della Corte è “ad abundantiam”, l’Istituto non censura invece l’altra ragione posta dalla Corte territoriale a base della decisione e che cioè era definitivamente accertata l’irripetibilità degli indebiti per doversi escludere i presupposti richiesti dal 1° comma , tra i quali , il dolo dell’assicurata o l’assenza di uno specifico provvedimento dell’Istituto .
La previsione dell’art. 13, 2° comma, tuttavia,a differenza di quanto stabilito nel 1° comma, non richiede alcun accertamento del dolo dell’assicurato o dell’esistenza di un provvedimento dell’Istituto di attribuzione del bene, ma impone soltanto il controllo delle date in cui la comunicazione dell’assicurata è avvenuta e la tempestività della richiesta dell’Istituto rispetto ad esse. L’art. 13, 2° comma, stabilisce che “l’INPS procede annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l’anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza.”
Ne consegue che in assenza di censura di entrambe le ragioni della decisione impugnata sono inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza , in quanto queste ultime , quand’anche fondate , non potrebbero comunque , condurre , stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate , all’annullamento della decisione stessa (cfr ex plurimis, Cass. SU n. 7931/2013).
Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna dell’Inps a pagare le spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in Euro 1.500,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
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