CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 giugno 2017, n. 14426
Tributi – Imposta di registro – Valutazione Immobile – Maggior valore
Fatti di causa
La controversia concerne l’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso con riferimento all’imposta di registro, conseguente alla stima di maggior valore dell’immobile oggetto di compravendita, notificato a M.M., parte venditrice, ed alla M. s.r.I., parte acquirente.
Entrambi i contribuenti impugnavano l’avviso, contestando la mancanza di motivazione e l’erroneità del valore attribuito al bene.
La Commissione tributaria di primo grado accoglieva le ragioni dei contribuenti, e la sentenza veniva confermata dalla Commissione tributaria di secondo grado, mentre la Commissione tributaria centrale, n.749/2010, depositata il 10/2/2010, accoglieva le difese dell’Ufficio e riformava la sentenza d’appello.
Avverso la pronuncia i contribuenti propongono ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c., mentre l’Ufficio resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione della legge, con riferimento all’art. 22, D.P.R. n. 636 del 1972 (vigente ratione temporis), nonché, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5, insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo della causa, in quanto la CTC (come anche la CT di secondo grado) avrebbe dovuto rilevare, anche d’ufficio, la tardività dell’appello, perché proposto dopo la scadenza del termine di giorni 60 dalla comunicazione della decisione di primo grado, in violazione della norma indicata in rubrica, avendo fatto riferimento, per la decorrenza del suddetto termine, alla data di ricevimento dell’atto da parte dell’Ufficio e non alla data in cui la segreteria della Commissione aveva certificato “l’avvenuta notifica della sentenza all’Ufficio”.
Il motivo è infondato.
Assumono i ricorrenti che la decisione della CT di primo grado venne comunicata all’Ufficio in data 14/11/1986 (elenco n. 8264), ed ai contribuenti in data 16/10/1986, che l’appello venne proposto dall’Agenzia delle Entrate in data 15/1/1987, tardivamente, con conseguente passaggio in giudicato della decisione, perché il termine per impugnare la sentenza di primo grado (“L’appello può essere proposto nel termine di sessanta giorni decorrenti, rispettivamente, dalla notificazione o dalla comunicazione previste dal terzo comma dell’art. 38”) era già interamente decorso il 13/1/1986, ai fini qui considerati rilevando la data (14/11/1986) indicata dalla segreteria della CT di primo grado e non quella – successiva – in cui l’Ufficio ebbe effettiva conoscenza della sentenza in questione.
Orbene, l’art. 22 primo comma, D.P.R. n. 636 del 1972 (vigente ratione temporis) prevede che “l’appello può essere proposto nel termine di 60 gg. decorrenti, rispettivamente dalla notificazione o dalla comunicazione previste dal terzo comma dell’art. 38”, mentre l’art. 32, primo comma, che “le comunicazioni sono fatte mediante avviso della segreteria della commissione consegnato alle parti, che ne rilasciano immediatamente ricevuta, o spedito in plico senza busta, raccomandato con avviso di ricevimento. Le comunicazioni all’ufficio tributario possono essere fatte mediante trasmissione di elenco in duplice esemplare, uno dei quali, immediatamente datato e sottoscritto per ricevuta, è restituito alla segreteria della Commissione”.
Giova ricordare che, secondo quanto affermato da questa Corte in tema di contenzioso tributario, « nell’ipotesi in cui la decisione della Commissione tributaria venga comunicata all’Ufficio tributario mediante trasmissione di elenco in duplice esemplare ai sensi del primo comma dell’art. 32 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, il termine per proporre impugnazione decorre dalla data in cui il funzionario responsabile appone la propria firma sull’avviso di ricevimento spedito unitamente al plico raccomandato, senza che rilevi, al fine della decorrenza del termine di impugnazione, la data successiva a quella attestata dall’avviso di ricevimento del plico, in cui il funzionario dell’ufficio destinatario della comunicazione ha sottoscritto l’esemplare dell’elenco da restituire alla segreteria della commissione tributaria » (Cass. n. 10274/2000; n. 666/2000).
La Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa, ma nel fascicolo di causa, richiesto con ordinanza interlocutoria, non si rinviene l’avviso di ricevimento da parte dell’Ufficio, allora appellante, attestante la data in cui il funzionario responsabile appose la propria firma, e nella copia autentica della sentenza di primo grado, il timbro apposto in calce, privo peraltro di qualsivoglia sottoscrizione, reca la dicitura “decisione notificata – All’Ufficio il 14/11/86 – Al contribuente il 16/10/86”, che deve intendersi riferita, come del resto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, alla data di invio della comunicazione e non già alla data nella quale la stessa è pervenuta al destinatario.
Del tutto correttamente, quindi, la CTC ha ritenuto tempestivo l’appello, in quanto il termine di giorni 60 per impugnare decorre dalla ricezione della notificazione (secondo la teoria della scissione degli effetti) da parte dell’Ufficio (e non dal suo invio da parte della segreteria del giudice a quo), mentre la documentazione in atti attesta solo l’ esecuzione dell’adempimento di cui è gravata la segreteria.
Con il secondo motivo di doglianza i contribuenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 49, D.P.R. n. 634 del 1972 (disciplina dell’imposta di registro, vigente ratione temporis), in quanto l’avviso (di cui è stato riportato uno stralcio in ricorso) non rispetterebbe le indicazioni prescritte dalla norma citata, essendo indicato il criterio astratto applicato e non anche gli immobili presi a base della valutazione di quello in contestazione, peraltro, avente caratteristiche peculiari essendo ubicato in aperta campagna, in posizione isolata, e privo di strada di accesso, non avendo l’Ufficio provveduto, neppure nella fase contenziosa, ad integrare le ragioni a supporto della correttezza del criterio adottato.
Anche tale censura va disattesa in quanto i ricorrenti non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata che in parte qua richiama, puntualmente, la giurisprudenza di legittimità secondo cui “l’enunciazione del criterio astratto in base al quale è stato rilevato il maggior valore” è sufficiente a consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa.
Questa Corte, in tema di accertamento tributario, ha ribadito più volte « che la motivazione di un avviso di rettifica e di liquidazione ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, consentendo al contribuente l’esercizio del diritto di difesa » per cui, fermo restando l’onere della prova gravante sulla Amministrazione finanziaria, « è sufficiente che la motivazione contenga l’enunciazione dei criteri astratti, in base ai quali è stato determinato il maggior valore », e non sussiste << la necessità di esplicitare gli elementi di fatto utilizzati per l’applicazione di essi, in quanto il contribuente, conosciuto il criterio di valutazione adottato, è già in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale » ed ancora, « l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento di maggior valore mira a delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa ed a consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa. Al conseguimento di tali finalità è necessario e sufficiente, pertanto, che l’avviso enunci il criterio astratto in base al quale è stato rilevato il maggior valore, con le specificazioni che si rendano in concreto necessarie per il raggiungimento di detti obiettivi, essendo riservato alla eventuale sede contenziosa l’onere dell’Ufficio di provare nel contraddittorio con il contribuente (e sempre che l’impugnazione giudiziale contenga specifiche e dettagliate allegazioni al riguardo) gli elementi di fatto giustificativi della propria pretesa nel quadro del parametro prescelto e la facoltà del contribuente di dimostrare l’infondatezza della stessa anche in base a criteri non utilizzati per l’accertamento » (ex multis, Cass. n. 565/2017; n. 11560/2016; n. 25559/2014; n. 25153/2013).
La decisione impugnata risulta in linea con la giurisprudenza di legittimità in quanto è puntualmente evidenziato che “l’avviso di cui è causa risulta motivato con il riferimento, sul retro del modulo prestampato, al criterio sub 1) avente ad oggetto i trasferimenti di immobili di similari caratteristiche conclusi nei tre anni anteriori alla data dell’atto della cui imposizione si tratta”, informazione di per sé sufficiente a consentire al contribuente la contestazione della pretesa erariale.
Il ricorso, in conclusione, va respinto con ogni conseguenza anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento della spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.600,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.
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