CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 giugno 2017, n. 14452
Licenziamento per giusta causa – Dipendente postale – Portalettere – Ripartizione della corrispondenza – Ritrovamento nel contenitore per i rifiuti – Onere probatorio
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 2534/2014, depositata il 22 dicembre 2014, la Corte di appello di Palermo, in riforma della sentenza del Tribunale di Palermo, annullava il licenziamento per giusta causa intimato dalla S.p.A. Poste Italiane a P.P. per avere la dipendente il 5 luglio 2013, nello svolgimento delle sue mansioni di portalettere, gettato in un contenitore stradale per la raccolta dei rifiuti parte della corrispondenza (quella “non a firma” ossia diversa dalle lettere raccomandate) assegnata per il recapito ad un collega appartenente al medesimo gruppo di lavoro (c.d. “areola”) e in tale giorno assente dal servizio.
2. La Corte di appello, ricostruita la prassi seguita per procedere alla suddivisione della corrispondenza fra i componenti del gruppo di lavoro, osservava come non fosse stata acquisita la prova del fatto, di centrale rilevanza ai fini dell’affermazione della responsabilità della dipendente, che la P. avesse materialmente preso in carico la corrispondenza poi ritrovata nel contenitore per i rifiuti.
3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società con due motivi; la lavoratrice ha resistito con controricorso.
4. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente, deducendo la violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma primo, n. 4 c.p.c., censura la sentenza impugnata per avere la Corte fondato la propria decisione su una motivazione inconciliabile e perplessa, avendo, da un lato, e in un primo momento, ritenuto dimostrata la circostanza che la posta rinvenuta nel cassonetto fosse stata effettivamente affidata alla P. per la consegna e, dall’altro, avendo negato, subito dopo, che la prova di tale circostanza potesse dirsi raggiunta.
2. Con il secondo motivo, deducendo la violazione dell’art. 2697 c.c. nonché la violazione e la falsa applicazione dell’art. 5 I. n. 604/1966, la ricorrente censura la sentenza là dove la Corte ha affermato la illegittimità del recesso in quanto Poste Italiane S.p.A. non avrebbe fornito la prova che la lavoratrice avesse “materialmente preso in carico la corrispondenza” del collega assente ad essa affidata: ciò che avrebbe costituito una indebita inversione dell’onere della prova e conseguentemente determinato l’erroneità della statuizione, posto che, se determinata corrispondenza viene di fatto ripartita e assegnata a un portalettere presente in servizio e la stessa viene poi rinvenuta all’interno di un cassonetto, grava sul dipendente (e non sul datore di lavoro) l’onere di dimostrare che l’evento è attribuibile a fatti imprevedibili o all’intervento doloso di terzi.
3. I motivi proposti devono esaminarsi congiuntamente, il secondo di essi sviluppando considerazioni (sul riparto dell’onere della prova in materia di recesso datoriale) che, muovendo dalla ricostruzione fattuale della vicenda, dipendono dall’esito del controllo sulla coerenza motivazionale che è oggetto del primo motivo.
4. Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
5. Si deve premettere che il giudice di appello, dopo di avere individuato il punto decisivo per la ricostruzione del fatto nella circostanza che la lavoratrice avesse preso in carico materialmente la corrispondenza già assegnata al collega assente (e poi ritrovata nel contenitore per i rifiuti), così da poterla ritenere formalmente responsabile della sua consegna ai destinatari, ha osservato come “altrimenti” non sarebbe stato “possibile risalire con valido procedimento logico dal fatto noto, ossia che essa aveva ricevuto per la distribuzione la corrispondenza ritrovata tra i rifiuti, al fatto ignoto, cioè che sia stata lei a gettarcela”, subito dopo escludendo che gli elementi di prova emersi su tale punto di fatto potessero avere valenza decisiva.
6. Ciò posto, non pare dubbio che la sentenza impugnata si sottragga alle censure che le sono state mosse.
7. Ed invero la Corte territoriale non ha, con le proposizioni riportate e incorrendo in una radicale e non superabile contraddizione, ritenuto esistente (come “fatto noto”) la circostanza che la dipendente avesse effettivamente ricevuto, per distribuirla, la corrispondenza ritrovata nel cassonetto, salvo poi, nel passaggio motivazionale immediatamente successivo, affermare il contrario (sulla base delle risultanze di prova acquisite al giudizio), avendo la Corte semplicemente delineato i termini essenziali del ragionamento presuntivo (fatto noto: avere la lavoratrice “ricevuto per la distribuzione la corrispondenza ritrovata tra i rifiuti”; fatto ignoto: essere “stata lei a gettarcela”) considerato idoneo a consentire l’accertamento della verità processuale e peraltro tale da richiedere la indispensabile verifica, quale effettivamente compiuta attraverso un congruo esame delle risultanze istruttorie, della corrispondenza al vero della premessa (ragionevolmente) indiziante.
8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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