CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 novembre 2016, n. 22747
Tributi – IVA – Credito – Omessa presentazione dichiarazione – Prova dell’esistenza del credito – Istanza di condono e dichiarazione integrativa ai sensi della Legge n. 289 del 2002 – Esclusione
Fatto
Con sentenza n. 181 del 10 maggio 2010 la Commissione Tributaria Regionale della Campania annullava la cartella di pagamento emessa ex art. 36 bis d.P.R. n. 600 del 1973 nei confronti della C. soc. coop. a r.l. a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta 2001, limitatamente all’iscrizione a ruolo di una maggiore imposta dovuta per disconoscimento del credito IVA utilizzato nel predetto anno di imposta, ma maturato negli anni precedenti per i quali aveva omesso la presentazione delle relative dichiarazioni sostenendo che, ancorché la contribuente non avesse esibito la <copia delle dichiarazioni mensili, trimestrali o annuali>, l’esistenza del credito maturato nell’anno di imposta 2000 poteva desumersi dall’istanza di condono avanzata ai sensi della legge n. 289 del 2002 e dalla dichiarazione integrativa per la definizione degli anni pregressi, esibiti in copia dalla società contribuente.
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo cui non replica l’intimata.
Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente del 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.
Motivi della decisione
La ricorrente nell’unico motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 8 d.P.R. n. 322 del 1998, 19 e 28 d.P.R. n. 633 del 1972 nonché 2697 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. sostenendo che, pur essendo il diritto alla detrazione del credito IVA subordinato all’accertamento dell’esistenza del medesimo nell’anno per il quale la dichiarazione risulta omessa, aveva errato la CTR nel ritenere che la prova del predetto credito potesse desumersi dall’istanza di condono avanzata ai sensi della legge n. 289 del 2002 e dalla dichiarazione integrativa per la definizione degli anni pregressi, esibiti in copia dalla società contribuente.
Il motivo è fondato.
In tema di detrazione del credito IVA maturato con riferimento ad un anno di imposta in cui il contribuente ha omesso di presentare la relativa dichiarazione, recentemente le Sezioni Unite di questa Corte, nella sentenza n. 17757 del 2016 hanno affermato il principio secondo cui «la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta – risultante da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto – sia riconosciuta dal giudice tributario se siano stati rispettati dal contribuente tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; pertanto, in tal caso, il diritto di detrazione non può essere negato nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia dimostrato in concreto – ovvero non controverso – che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili». In senso analogo si sono espresse le S.U. nella sentenza n. 17758 del 2016, in cui si è affermato (par. 6.7) che <il diritto di detrazione non può essere negato nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia dimostrato in concreto – ovvero non controverso – che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili e di deduzione eseguita entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto>.
Si tratta, quindi, di verificare se la prova della sussistenza di tale diritto possa essere data dal contribuente, cui incombe il relativo onere (cfr., oltre alle citate S.U., anche Cass., sez. 5^, n. 11168 del 2014, n. 18924 del 2015 e 17815 del 2015), attraverso l’esibizione dell’istanza di condono avanzata ai sensi della legge n. 289 del 2002 e della dichiarazione integrativa per la definizione degli anni pregressi.
Al quesito deve darsi risposta negativa.
Invero, se, come osservano le S.U. nella citata sentenza n. 17757 del 2016 (par. 3.7.), <il fatto costitutivo del rapporto tributario col fisco nazionale è ravvisato dalla effettività e liceità dell’operazione, mentre obblighi di registrazione, dichiarazione e consimili hanno una diversa funzione meramente illustrativa e riepilogativa dei dati contabili, finalizzata ad agevolare i controlli dell’Amministrazione finanziaria per l’esatta riscossione dell’imposta>, la prova certa dell’operazione che dà diritto alla detrazione <può essere acquisita dai dati risultanti dalle fatture o da altro documento equivalente, come, ad esempio, la documentazione contabile, essendo, invece, a tal fine poco rilevante l’osservanza degli obblighi dichiarativi. Da ciò consegue che la prova che il credito IVA che il contribuente intende portare in detrazione sia sorto in conseguenza di <acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili (Cass. S.U. n. 17757 del 2016; in termini anche Cass. Sez. 5, n. 7576 del 2015) può essere fornita attraverso la produzione delle fatture o della documentazione contabile, che l’Amministrazione finanziaria nella circolare 21/E del 25 giugno 2013 ha individuato nei <registri IVA e relative liquidazioni, dichiarazione cartacea per l’annualità omessa> e <documenti inerenti e/o equipollenti> alle fatture.
Orbene, tra questi documenti non possono annoverarsi né l’istanza di condono avanzata ai sensi della legge n. 289 del 2002 (Finanziaria 2003) né la dichiarazione integrativa per la definizione degli anni pregressi di cui all’art. 8 della citata disposizione, sia perché non contengono alcun elemento utile a dimostrare la sussistenza in capo al dichiarante dei requisiti sostanziali per usufruire della detrazione (v. Provvedimento dell’Agenzia delle entrate del 25 febbraio 2003, art. unico, comma 1.2), sia perché è la stessa finanziaria 2003> a prevedere (al terzo comma del citato art. 8 ed al nono comma dell’art. 9) che <la dichiarazione integrativa non costituisce titolo per il rimborso di ritenute, acconti e crediti d’imposta precedentemente non dichiarati, né per il riconoscimento di esenzioni o agevolazioni non richieste in precedenza, ovvero di detrazioni d’imposta diverse da quelle originariamente dichiarate>; ipotesi, quest’ultima, in cui si inscrive la fattispecie in esame.
Le disposizioni da ultimo citate si pongono, peraltro, in linea con la giurisprudenza eurounitaria che, proprio in materia di prova del diritto a detrazione, ha affermato che in mancanza di norme specifiche <gli Stati membri hanno il potere di prescrivere la produzione dell’originale della fattura per comprovare tale diritto, nonché quello di ammettere, se il soggetto passivo non ne è più in possesso, altre prove attestanti che l’operazione oggetto della domanda di detrazione è realmente avvenuta (cfr. Corte di giustizia UE, sent. 5 dicembre 1996 in causa C-85/95, Reisdorf, p. 30 e dispositivo), potendo escluderne altre.
Conclusivamente, quindi, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata e, poiché la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., non essendovi ulteriore accertamenti da svolgere – avendo la CTR escluso che oltre ai predetti documenti la società contribuente ne abbia presentato altri a dimostrazione del diritto alla detrazione – va rigettato l’originario ricorso della contribuente.
In considerazione dell’incidenza sulla decisione delle recenti pronunce delle Sezioni unite, va disposta la compensazione delle spese di tutti i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente compensando le spese di tutti i gradi di giudizio.
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