CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 novembre 2017, n. 26578
Esposizione al costante rumore dei macchinari di lavoro – Risarcimento del danno biologico – Improcedibilità della domanda – Assoggettamento di una delle società appellate alla procedura di amministrazione straordinaria – Non sussiste – Più soggetti obbligati solidalmente – Autonomia delle azioni proponibili da un creditore
Svolgimento del processo
La Corte territoriale di Lecce, con sentenza depositata il 27 gennaio 2014, dichiarava improcedibile l’appello interposto da T.C. avverso la sentenza resa dal Tribunale di Brindisi il 9 febbraio 2011, con la quale era stata respinta la domanda del T., volta ad ottenere la condanna dei propri datori di lavoro, R. S.p.A. ed A.F. Srl, al risarcimento del danno biologico e di quello morale subiti per esposizione al costante rumore prodotto dai macchinari sul luogo di lavoro.
Al riguardo, il T. precisava di avere prestato la propria opera con mansioni di operaio addetto al “Reparto Precompresso” dello stabilimento di produzione di Brindisi, in un primo tempo (dall’1 maggio 1971 al 31 dicembre 1988), alle dipendenze della R. S.p.A. e, successivamente (dall’1 gennaio 1989 all’1 gennaio 1999). alle dipendenze della A.F. S.r.l., succeduta ope legis alla prima in tutti i rapporti giuridici.
La Corte di merito, per quanto in questa sede rileva, sottolineava che la R. S.p.A. è stata assoggettata a procedura di amministrazione straordinaria ai sensi del D.Lg.vo n. 270/99 e che, pertanto, nei suoi confronti, non è procedibile alcuna azione di accertamento, né di condanna.
Per la cassazione della sentenza il T. propone ricorso articolando tre motivi ulteriormente illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 del codice di rito.
La R. S.p.A. in amministrazione straordinaria resiste con controricorso.
La A.F. S.r.l. non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 348 c.p.c. e del D. Lg.vo n. 270/1999, lamentando la erroneità ed illegittimità della dichiarazione di improcedibilità della domanda di risarcimento dei danni pronunziata dalla Corte di merito, la quale non ha tenuto in alcun conto la circostanza che l’assoggettamento di una delle società appellate (la R. S.p.A.) alla procedura di amministrazione straordinaria non poteva certamente impedire la prosecuzione del giudizio nei confronti dell’altra società (A.F. S.r.l.). succeduta ope legis alla prima in tutti i rapporti giuridici, al fine di accertare la responsabilità datoriale di quest’ultima. Così come espressamente richiesto nell’atto di appello, né tanto meno poteva essere di ostacolo all’eventuale condanna al pagamento delle somme richieste a titolo di risarcimento danni, in ragione dell’attività svolta dal T., per più di dieci anni, alle dipendenze del datore di lavoro A.F. S.r.l..
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, in riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 156 c.p.c.. nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti lamentando, in particolare, che la dichiarazione di improcedibilità pronunciata dalla Corte d’Appello ha impedito alla stessa Corte di esaminare i profili di illegittimità della sentenza emessa di prima istanza, così come formulati nell’atto di appello.
3. Con il terzo motivo di denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2697 c.c., nonché l’omessa valutazione della documentazione prodotta e la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..
4. Il primo motivo è fondato.
Invero, come rettamente osservato dalla parte ricorrente, la domanda dalla stessa formulata, finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno biologico, era indirizzata ai due datori di lavoro, relativamente ai periodi di rispettiva competenza. Per la qual cosa, la Corte territoriale, nell’emettere una pronunzia di improcedibilità, è incorsa in un errore di diritto, non avendo tenuto conto che l’autonomia delle azioni proponibili da un creditore nei confronti di più soggetti obbligati solidalmente nei confronti dello stesso “opera anche nel caso di fallimento di uno di essi, con la conseguenza che l’azione verso il fallito comporta il ricorso alla procedura speciale dell’insinuazione al passivo del credito – e quindi l’improcedibilità della domanda non proposta con il rito fallimentare – mentre l’azione del coobbligato in bonis può procedere con il rito ordinario – (cfr., ex plurimis. Cass. nn. 2902/2016, 10543/2016, 4464/2011, 2411/2010, 14468/2005). Al riguardo, gli arresti giurisprudenziali di legittimità sono costanti. Pertanto, venuta meno una delle due società datrici, parti in causa (la R. S.p.A.), il processo doveva essere proseguito nei confronti dell’altra (la A.F. S.r.l., che. invece, a causa della pronunzia oggetto di questo giudizio, è stata del tutto incomprensibilmente estromessa dalle domande esplicitamente formulate del lavoratore anche nei confronti di quest’ultima.
La sentenza impugnata va, pertanto. cassata in relazione al motivo accolto, – rimanendo, all’evidenza, assorbiti gli altri mezzi di impugnazione – con rinvio della causa alla Corte di Appello di Lecce, in diversa composizione, la quale provvederà di conseguenza, statuendo anche sulle spese del giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 385, terzo comma, c.p.c..
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo; assorbiti gli altri. Cassa e rinvia, in relazione al motivo accolto, alla Corte di Appello di Lecce, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio.
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