CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 aprile 2017, n. 9171
Successivi contratti conclusi tra le parti – Equa retribuzione e corresponsione delle differenze retributive – Fusione tra società
Fatti di causa
Con sentenza del 29 dicembre 2010, la Corte d’Appello di Potenza, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Lagonegro, accoglieva la domanda proposta da A.O. nei confronti di C. S.r.l., avente ad oggetto il riconoscimento ex art. 36 Cost. dell’equa retribuzione e la corresponsione delle differenze retributive maturate anche in relazione agli importi dovuti e mai percepiti per lavoro straordinario, assegni familiari e TFR, condannando la Società al pagamento delle somme risultanti dall’espletata CTU contabile per differenze retributive e TFR residuo.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto insussistenti le ragioni di nullità del ricorso introduttivo poste dal primo giudice a fondamento della decisione di rigetto e parzialmente fondata nel merito la domanda del lavoratore per essere risultata provata, al di là delle interruzioni risultanti dai successivi contratti conclusi tra le parti, la continuità dell’attività lavorativa prestata e la natura subordinata del rapporto accertato in giudizio come unitario, ascrivibili al VI livello della classificazione del personale di cui al CCNL di settore le mansioni promiscue e molteplici svolte e, di contro, non fornita la prova rigorosa delle prestazioni di lavoro straordinario asseritamente eseguite.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la Finanziaria I.T. S.p.A. in liquidazione, società incorporante la C. S.r.l., affidando l’impugnazione ad un unico motivo, cui, resiste, con controricorso, A.O..
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo, la Società ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 75, 100, 160, 161, 299 c.p.c. e 2504 bis c.c. in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., deduce la nullità della sentenza impugnata derivata dalla nullità del ricorso in appello a sua volta rilevabile per essere stato il predetto atto notificato alla società originariamente convenuta quando questa già risultava incorporata per fusione nella Società odierna ricorrente.
Il motivo deve ritenersi infondato alla luce dell’orientamento accolto da questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, per il quale con l’art. 2504 bis c.c. nel testo risultante dalla novella introdotta con il d.lgs. n. 6 del 2003 il legislatore ha definitivamente chiarito che la fusione tra società, prevista dagli art. 2501 c.c. e segg., non determina l’estinzione della società incorporata né crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria; ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione (vedi Cass., Sez. Un., ord. 8.2.2006, n. 2637), di modo che le fusioni avvenute dopo l’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 2504 bis c.c., lungi dal comportare l’estinzione di un soggetto e la correlativa creazione di un soggetto diverso, determinano soltanto un fenomeno evolutivo-modificativo dello stesso soggetto, che conserva la propria identità , pur in un nuovo assetto organizzativo (vedi Cass., Sez. un. 17.9.2010 n. 19698 e Cass., Sez. Un. 14.9.2010, n. 19509).
A tale stregua, infatti, deve ritenersi la vocatio in ius effettuata nei confronti della C. S.r.l. incorporata nella Finanziaria I.T. S.p.A. pienamente valida, a nulla rilevando che la stessa sia intervenuta quando la fusione per incorporazione già era divenuta operativa, dovendosi escludere, in ragione della perdurante identità del soggetto, la perdita da parte della società incorporata della capacità di agire di cui è aspetto la capacità processuale.
Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
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