CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 luglio 2017, n. 16984
Rapporto di lavoro – Dipendente bancario – Mobbing – Risarcimento danni alla salute – Responsabilità
Fatti di causa
Il TAR del Lazio ha rigettato il ricorso proposto da R.P. per ottenere il risarcimento dei danni alla salute subiti -a causa dell’attività di “mobbing” posta in essere dal datore di lavoro e in ogni caso per responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c.- nel corso del rapporto di lavoro alle dipendenze della Banca d’Italia dal 1976 al 2005; il C.d.S. ha respinto l’appello proposto dal predetto avverso la decisione del Tar.
Contro la decisione del C.d.S. il P. ricorre in questa sede con due motivi. La Banca d’Italia resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
Col primo motivo il ricorrente deduce eccesso di potere giurisdizionale sub specie di rifiuto della giurisdizione e denegata giustizia per avere il C.d.S. declinato la giurisdizione in favore del giudice ordinario in difetto di eccezione di parte sul punto ed in presenza di giudicato sulla giurisdizione del giudice amministrativo.
Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi che nella sentenza impugnata sostiene la decisione assunta.
Invero, i giudici del Consiglio di Stato non hanno negato ma hanno invece affermato ed esercitato la propria giurisdizione nei limiti di quanto richiesto, decidendo sulla domanda – siccome proposta in primo grado e riproposta in appello – di risarcimento per danni alla salute qualificati come danno biologico, patrimoniale e morale a seguito di condotte illegittime tenute dalla Banca in violazione degli artt. 2087 e 2043 c.c., escludendo la sussistenza di responsabilità della Banca sotto tutti i profili prospettati; hanno poi aggiunto in un obiter, in ordine alla deduzione di una serie di patologie che sarebbero state causate dall’attività lavorativa, che, trattandosi di questioni relative alla possibile dipendenza da causa di servizio, potevano essere fatte valere, ricorrendone le condizioni, nei modi previsti dalla legge.
E’ evidente pertanto che non vi è stato diniego di giurisdizione avendo il giudice pronunciato su tutta la domanda siccome proposta nei confronti dalla Banca ai sensi degli artt. 2043 e 2087 cc rigettandola. Col secondo motivo il ricorrente deduce ulteriore eccesso di potere giurisdizionale “per avere il C.d.S. operato uno stravolgimento delle norme di rito tale da implicare un vero e proprio diniego di giurisdizione e una violazione della parità delle parti nel processo – violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e 2087, 2103 e 2697 c.c. in relazione agli artt. 360 co. 1 n. 1 c.p.c., sub specie di eccesso di potere giurisdizionale per radicale stravolgimento delle norme di rito, tale da implicare un diniego di giustizia con riferimento al danno biologico richiesto, per mancato esame degli atti e dei documenti del ricorrente”.
Anche questo motivo è inammissibile. Come risulta con assoluta evidenza perfino dalla sola lettura dell’occhiello riportato in grassetto prima dell’esposizione del motivo medesimo, nessuna effettiva censura per “motivi di giurisdizione” viene prospettata, risultando la denuncia di eccesso di potere giurisdizionale esclusivamente strumentale a censurare il merito della decisione impugnata.
Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma del comma 1 quater dell’art. 13 d.p.r. n. 115 del 2002 inserito dall’art. 1 comma 17 I. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ricorrente alle spese che liquida in € 5.000 oltre spese forfetarie e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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