CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 luglio 2017, n. 16997
Inps – Indennità di disoccupazione – Allontanamento dal territorio nazionale – Rientro nel paese di origine – Corresponsione – Prova dello stato di disoccupazione
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 28.6.2010, la Corte d’appello di Torino, per quanto qui ancora rileva, confermava la statuizione di primo grado che aveva riconosciuto a S. G. il diritto di fruire dell’indennità di disoccupazione anche durante il periodo in cui questi era rientrato in Senegai, proprio paese di origine (29.11.2005-21.2.2006).
La Corte, in specie, valorizzava la duplice circostanza secondo cui l’INPS non aveva dato prova che, nel periodo in questione, l’assicurato non si fosse presentato a convocazioni da parte degli uffici competenti o avesse rifiutato alcuna congrua offerta di lavoro.
Contro tale pronuncia ricorre l’INPS, affidando le proprie censure ad un unico motivo. S. G. resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di censura, l’Istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 45, r.d.l. n. 1827/1935 (conv. con I. n. 1155/1936), e 34, d.P.R. n. 818/1957, per avere la Corte di merito ritenuto che l’indennità di disoccupazione potesse essere corrisposta all’assicurato anche nel periodo in cui questi era rientrato nel proprio paese di origine: ad avviso dell’Istituto, infatti, un’interpretazione del genere oblitererebbe il principio, già più volte affermato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, dato che lo scopo dell’indennità di disoccupazione è di assicurare un reddito per un periodo che si considera di disoccupazione involontaria trascorso in Italia, vale a dire in un periodo in cui l’assicurato, pur essendo disponibile a lavorare nel nostro paese, non riesce nondimeno a trovare occupazione, i periodi di allontanamento dal territorio nazionale non potrebbero intrinsecamente ricevere tutela, essendo il sistema assicurativo improntato al principio di territorialità, salvo diverse disposizioni di convenzioni internazionali, e non essendo giustificabile nella sua ottica alcuna esportazione della prestazione previdenziale.
Il motivo è infondato.
Va anzitutto ribadito che il sistema della sicurezza sociale è improntato al principio di territorialità, cui può derogarsi solo in relazione a disposizioni rivenienti da convenzioni internazionali cui lo Stato italiano abbia aderito (Cass. n. 22151 del 2008). Le prestazioni assicurate dal sistema della sicurezza sociale, infatti, obbediscono non soltanto all’obiettivo di assicurare al singolo un sostegno reale o monetario in dipendenza di determinati eventi che refluiscano negativamente sulla sua capacità di lavoro e/o di guadagno, ma altresì allo scopo di sostenere la domanda interna rispetto alle flessioni negative che sarebbero altrimenti provocate dalla perdita di reddito che gli assicurati e comunque i beneficiari delle prestazioni normalmente subiscono in dipendenza della perdita del lavoro o della capacità di lavoro o di guadagno. Ed è evidente che codesto obiettivo di politica economica, che storicamente ha concorso alla genesi dei vari sistemi di sicurezza sociale non meno della percezione diffusa della sofferenza sociale ricollegantesi ad eventi quali la malattia, la vecchiaia, l’invalidità e la disoccupazione involontaria, sarebbe affatto frustrato laddove si consentisse agli assicurati e/o ai beneficiari l’esportazione all’estero delle prestazioni loro riconosciute dal nostro ordinamento, dal momento che spesa per consumi che esse mirano a garantire, rivolgendosi necessariamente all’acquisto di beni e servizi in territorio estero, non eserciterebbe alcun effetto benefico sulla domanda interna e non potrebbe in alcun modo mitigare l’effetto depressivo che il calo di quest’ultima normalmente esercita nei confronti del reddito nazionale e dell’occupazione.
Tuttavia, compete al legislatore l’individuazione del punto di equilibrio tra l’eventuale esigenza del singolo beneficiario di una prestazione di dimorare altrove e la necessità di garantire che la spesa per consumi garantita dalle prestazioni del sistema di sicurezza sociale non venga distolta dagli scopi di politica economica per cui è istituita. E tale punto di equilibrio non può essere individuato che con riferimento ai requisiti soggettivi e oggettivi che presiedono al riconoscimento del diritto a beneficiare di ciascuna prestazione di previdenza o assistenza sociale, non potendo logicamente l’attività dell’interprete spingersi al punto tale da istituirne altri che il legislatore non abbia previsto (cfr. in tal senso Cass. n. 17397 del 2016).
Ora, con riferimento alla prestazione di cui trattasi, è certamente vero che l’art. 45, comma 3°, r.d.l. n. 1827/1935, cit., nel disporre che “l’assicurazione per la disoccupazione involontaria ha per scopo l’assegnazione agli assicurati di indennità nei casi di disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro”, si riferisce logicamente ad un periodo di mancanza involontaria di lavoro che sia stato trascorso nel territorio nazionale, restando invece ininfluente ogni evento che occorra in periodo trascorso all’estero (Cass. n. 22151 del 2008, cit.). Ma non è meno vero che l’art. 34, comma 2°, d.P.R. n. 818/1957, ancora la fruizione del beneficio semplicemente alla circostanza che l’assicurato sottostia “alle norme per il controllo della disoccupazione” e che l’art. 4, d.lgs. 181/2000 (per come sostituito dall’art. 5, d.lgs. ,n. 297/2002, e applicabile ratione temporis), nel fissare i principi per l’adozione da parte dei servizi regionali competenti di procedure uniformi in materia di accertamento dello stato di disoccupazione, stabilisce che la perdita dello stato di disoccupazione consegua “in caso di mancata presentazione senza giustificato motivo alla convocazione del servizio competente nell’ambito delle misure di prevenzione di cui all’articolo 3” (lett. b), oppure “in caso di rifiuto senza giustificato motivo di una congrua offerta di lavoro a tempo pieno ed indeterminato o determinato o di lavoro temporaneo ai sensi della legge 24 giugno 1997, n. 196, con durata del contratto a termine o, rispettivamente, della missione, in entrambi i casi superiore almeno a otto mesi, ovvero a quattro mesi se si tratta di giovani, nell’ambito dei bacini, distanza dal domicilio e tempi di trasporto con mezzi pubblici, stabiliti dalle Regioni” (lett. c). Ed avendo la Corte territoriale accertato che non vi è prova, nella specie, che l’odierno controricorrente, nel periodo in cui ha soggiornato all’estero, non si sia presentato senza giustificato motivo ad una convocazione del servizio competente o abbia rifiutato una congrua offerta di lavoro formulatagli, deve ritenersi che la sentenza impugnata non meriti le censure rivoltele, dal momento che, diversamente interpretate, le disposizioni richiamate nella rubrica del motivo del ricorso per cassazione finirebbero per attribuire all’INPS una potestà innominata di incidere sul diritto al trattamento previdenziale in essere per il semplice fatto che il suo titolare si sia allontanato provvisoriamente dal territorio dello Stato, vale a dire un significato che le renderebbe passibili di una censura di incostituzionalità, avendo la Corte costituzionale più volte precisato che il diritto al trattamento di disoccupazione ordinaria è collegato soltanto all’osservanza del comportamento attivo prescritto dall’ordinamento a chi ne è beneficiario (cfr. in specie Corte cost. n. 160 del 1974).
Si tratta, del resto, di una conclusione che è già emersa nella giurisprudenza di questa Corte allorché, al fine di escludere dal godimento dell’indennità di mobilità un assicurato che era nelle more espatriato all’estero, si è per un verso ribadita la stretta connessione funzionale esistente tra la percezione dell’indennità e la presenza del beneficiario sul territorio nazionale, ma si è per altro verso valorizzata la duplice circostanza che il lavoratore, oltre ad essere residente all’estero, non aveva comprovato il proprio stato di disoccupazione, omettendo di presentarsi presso il servizio competente nel cui ambito territoriale si trovava il suo domicilio e di rendere la dichiarazione attestante l’eventuale attività lavorativa precedentemente svolta nonché l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa (Cass. n. 17936 del 2013), così implicitamente ancorando la perdita del diritto non già ad un generico allontanamento all’estero, bensì all’inosservanza degli specifici comportamenti attivi imposti dal legislatore al fine di controllare la permanenza dello stato di disoccupazione.
Il ricorso, pertanto, va rigettato. Tenuto conto della complessità della questione e delle oscillazioni della giurisprudenza di questa Corte in merito all’effettiva portata del principio di inesportabilità delle prestazioni proprie del sistema di sicurezza sociale, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese.
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